venerdì 8 maggio 2009

Caro ex .... non entrare in quella casa.

Una sentenza questa non del tutto condivisibile ma che merita la massima attenzione.
Infatti secondo la sentenza n. 19116/09 della Corte di cassazione l'ex marito che fa ingresso nella ex casa coniugale commtte reato e deve risarcire il danno se non autorizzato (ma potrebbe anche esserlo stato verbalmente) dalla moglie.....
Bhè mi sembra un tantino esagerata questa sentenza poichè sarebbe una motivazione valida per una vendetta da parte della ex anche in caso di buon rapporto. Ciò che stupisce è che la sentenza comprende anche l'ipotesi che l'ex marito sia comproprietario della casa.
Ebbene secondo i giudici della corte se la casa è stata assegnata alla moglie, un ingresso non autorizzato integra la fattispecie del reato di invasione di edificio e questo da anche diritto ad ottenere il risarcimento.
I giudici per il caso in questione ha confermato la condanna ad una provvisionale di 15.500,00 euro per l'invasione della casa assegnata all'ex consorte.
In primo grado l'uomo era stato assolto dal Tribunale di Roma. La Corte d'Appello invece lo aveva ritenuto colpevole condannandolo al pagamento di una provvisionale di 15.500,00 euro per il reato di invasione di edificio. Inutile il ricorso in Cassazione in cui l'ex marito aveva sostenuto di essere comproprietario dell'appartamento e che il risarcimento da liquidare alla moglie era eccessivo anche considerato il fatto che lei intendeva darlo in affitto per 600,00 euro mensili.
I giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso evidenziando la manifesta infondatezza dei motivi "che preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità".

lunedì 4 maggio 2009

Una stangata per le aziende o meglio per chi ha auto aziendali.

Condivido la sentenza n. 9847/09 della Corte di Cassazione, II^ Sezione Civile, con la quale si è stabilito che le società sono tenute a comunicare chi era alla guida dell’auto perché in aziende ben organizzate “l’uso dei veicoli normalmente risulta dai turni di servizio”.
In effetti per le macchine aziendali succede sempre quello che succede per le auto blu, per le auto delle forze armate e forze di polizia.
D'ora in avanti quando non lo fanno pagano una multa salata.
La Corte, nel caso di specie, ha precisato che “il giudicante è pervenuto a una decisione errata, considerato che l’obbligo di cui all’art. 126 bis del codice della strada (come modificato dalla sentenza della corte costituzionale n. 27 del 2005), sanzionato dall’articolo 180, ottavo comma, del codice della strada non può essere eluso adducendo, come nel caso di specie, la difficoltà di individuazione del soggetto che ha utilizzato il veicolo.
Infatti, occorre tener conto che nell’ambito di un’attività correttamente organizzata, l’uso dei veicoli normalmente risulta dai turni di servizio e che comunque anche in organizzazione di piccole dimensioni spetta al proprietario del veicolo tener nota dell’utilizzo dei veicoli adottando gli opportuni accorgimenti e ciò ai fini di adempiere a quanto richiesto dall’art. 180 Codice della Strada”.
Ha quindi aggiunto che “questa Corte ha già avuto occasione di affermare tale principio e di recente con Cass. 2007 n. 13748, la cui massima ufficiale è la seguente: in tema di violazioni alle norme del codice della strada, con riferimento alla sanzione pecuniaria inflitta per l’illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli articoli 126 bis, secondo comma, penultimo periodo, e 180, ottavo comma, del codice suddetto, il proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento in guisa da essere in grado di adempiere al dovere di comunicare l’identità del conducente.
Peraltro, la sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2005 – che pure ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 126 bis cod. strada, nella parte in cui era comminata la riduzione dei punti della patente a carico del proprietario del veicolo che non fosse stata anche responsabile dell’infrazione stradale – ha affermato, con asserzione che in quanto interpretativa e confermativa della validità di norma vigente, trova applicazione anche ai fatti verificatisi precedentemente e regolati dalla norma stessa, che ‘nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180, comma ottavo, del codice della strada’ e che ‘in tal modo viene anche fugato il dubbio in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente’. (Nella specie, il giudice di pace aveva rigettato l’opposizione al verbale di accertamento, per violazione dell’articolo 180, comma ottavo, cod. strada, proposta da una società in a.s., secondo cui le era stato impossibile identificare il conducente a causa dei numerosi automezzi di sua proprietà affidati a vari dipendenti e dell’insussistenza dell’obbligo di registrare ciascun affidamento; la S.C., poiché non era stata fornita idonea ragione per esimersi da responsabilità, ha rigettato il ricorso per erronea interpretazione della norma suddetta in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2005)”.
Unico neo, secondo me, presente in questa sentenza, come già riportato su alcuni ricorsi da me predisposti, sta nel fatto che nelle norme citate il legislatore avrebbe dovuto prevedere l'obbligo - per tutti -, ovvero, per ogni veicolo, di un apposito registro ..........

Sentenza sul furto subito dal condomino per la presenza di ponteggi a ridosso dell'edificio.

Interessante la sentenza n. 6435 del 17 marzo 2009 relativa all’ipotesi di furto subito dal condomino per la presenza di ponteggi posti a ridosso dell’edificio che in assenza di opportune precauzioni, hanno agevolato la produzione dell’evento dannoso. Secondo la corte di cassazione sussiste la responsabilità concorrente del condominio e dell’appaltatore.
Nel caso di specie due comproprietari lamentano un furto perpetrato nell’appartamento di loro proprietà, agevolato dai ponteggi esterni all’edificio realizzati dall’imprenditore, al quale, il condominio aveva affidato l’incarico di eseguire lavori di rifacimento della facciata.
La domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti del condominio per l’accaduto, viene, però, rigettata in secondo grado poiché i giudici di appello non rinvenendo alcuna colposa omissione da parte del condominio, nonché l’assenza di un potere di sorveglianza del cantiere, escludono a carico del convenuto l’imputabilità dell’evento sia ai sensi dell'art. 2043 c.c. che dell'art. 2051 c.c..
Secondo i giudici di merito il potere di sorveglianza del cantiere spetta esclusivamente all’impresa che lo ha costruito e gestisce in regime di appalto. Avverso tale decisione i due comproprietari ricorrono in Cassazione. I giudici di legittimità accolgono il ricorso riformando la sentenza di merito. Le conclusioni a cui giungono i giudici di merito per la Cassazione sono infatti "in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale" espresso da tempo dalla Suprema Corte.
L’eventualità che i ponteggi posti a ridosso dello stabile possano agevolare l’accesso ai ladri e conseguentemente arrecare un danno per il proprietario è stata già affrontata dalla Cassazione. Il caso di specie vanta diversi precedenti specifici.
Il comportamento negligente tenuto dall’imprenditore è contrario al principio del neminem laedere. L’imprenditore che esegue lavori di manutenzione dello stabile avvalendosi dell’apporto dei ponteggi deve adottare ogni cautela idonea ad impedire l’uso anomalo delle impalcature.
Alla responsabilità aquiliana dell’appaltatore, la Cassazione nella pronuncia in commento affianca quella più rigorosa prevista per i danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.) per il condominio. La decisione tocca tre fondamentali questioni giuridiche:
L’esistenza di un nesso causale tra il cantiere e la produzione dell’evento dannoso (il furto nell’appartamento); la responsabilità del Condominio in base all’art. 2051 c.c.; l’illecito perpetrato dal terzo quale elemento idoneo per escludere la responsabilità del custode.
Rispetto alla prima questione i giudici di legittimità constatano che «Nel caso di specie era stato accertato in fatto dal giudice di merito: l’esistenza alla data del furto del ponteggio metallico a ridosso della facciata dell’edificio condominiale, su cui si aprono le finestre dell’appartamento dei due attori che avevano subito il furto».
Orbene, in ordine al nesso eziologico si rende necessario appurare l’esistenza di un legame fra l’esistenza dei ponteggi e l’accesso dei ladri nell’appartamento. Attraverso l’indagine ricostruttiva dell’iter che ha portato al verificarsi dell’evento dannoso, i ponteggi esterni all’edificio – che hanno favorito l’accesso dei ladri nell’appartamento - devono qualificarsi come antecedenti necessari.
Infatti i ponteggi si rivelano nella fattispecie in esame quale elemento necessario, all’interno della catena causale, nella produzione dell’eventus danni.
Quanto al secondo quesito bisogna spostare l’attenzione sul responsabilità concorrente del condominio in quanto non si può sottovalutare la differenza che intercorre tra l'art. 2043 c.c. e il più gravoso criterio di imputazione previsto dall’art. 2051 c.c..
Di fronte al generale obbligo del neminem laedere, viceversa l'art. 2051 c.c. prevede un dovere costante di vigilanza per il custode sul bene con la presunzione di colpa che può essere superata solo facendo ricorso alla prova del caso fortuito. Per questo la dottrina maggioritaria colloca la norma citata, tra le ipotesi di responsabilità oggettiva.
Per il verificarsi della responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. è necessaria e sufficiente una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, nonché l'esistenza dell'effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe l'obbligo di vigilarla e di mantenerne il controllo onde evitare che produca danni a terzi.
Pertanto va evidenziato che il rapporto tra il condominio e i ponteggi realizzati dall’appaltatore si inserisce perfettamente nell’ambito della custodia in quanto sussiste un potere diretto sulla «cosa» che permette di controllare e prevedere i rischi ad essa insiti.
Nel caso di specie, osservano i giudici di legittimità «gli originari attori avevano dedotto che il condominio aveva omesso di vigilare sulla osservanza, da parte della impresa appaltatrice, di tutte le precauzioni del caso essendo stata l’impalcatura montata senza luci esterne e senza alcuna struttura di sicurezza per l’inviolabilità degli appartamenti».
Resta da affrontare l’analisi del fatto illecito compiuto dal terzo, quale circostanza di per sé sufficiente o meno ad escludere la responsabilità del custode. Si è affermato in giurisprudenza che il fatto illecito del terzo può essere equiparato al caso fortuito finendo così con l’interrompere il nesso causale con il danno.
In ogni caso la stessa giurisprudenza precisa che il fatto del terzo esclude la responsabilità del custode in quanto intervenga, nella determinazione dell'evento dannoso, con un impulso autonomo e con i caratteri dell'imprevedibilità e della inevitabilità.
Dunque imprevedibilità ed eccezionalità che dovranno confrontarsi col comportamento assunto dal custode facendo riferimento al grado della sua diligenza.
Pertanto nel caso di specie l’azione dei ladri non può ritenersi causa di esclusione della responsabilità del condominio custode dei ponteggi, in quanto, l’evento era ampiamente prevedibile adottando le precauzioni necessarie a tutela dei singoli condomini.

venerdì 1 maggio 2009

Singolare contestazione al semaforo.

La sentenza n. 9888/09 della Corte di assazione (II sez.) tratta un procedimento davvero singolare.
La Corte annullando un verbale di contestazione per presunto passaggio con il rosso ha stabilito che deve essere annullata la multa elevata a un’automobilista che passa con il rosso se nel verbale non viene indicata l’esatta infrazione commessa.
Nel caso di specie, ha evidenziato che “occorre, infatti, considerare che il rilievo, del tutto fondato, dell’indeterminatezza dell’addebito appare assorbente rispetto ad ogni altra questione.
Infatti, nel caso in questione la contestazione era stata effettuata con riferimento all’avvenuto superamento dell’incrocio regolato da semaforo con luce rossa o con quella gialla, essendo evidente che si tratta di due fattispecie del tutto diverse e potendo il passaggio con luce gialla, ai sensi dell’articolo 41 decimo comma del Codice della strada, risultare non sempre vietato.
Occorre, altresì, osservare che il passaggio avvenuto ai sensi di quest’ultima disposizione costituisce eccezione alla regola imponente negli altri casi l’arresto anche con luce gialla, ma la contestazione risultava comunque generica in quanto formulante due ipotesi alternative, delle quali l’una escludeva l’altra. Si è di fronte quindi a due ipotesi di contestazione del tutto diverse, ancorché accomunate dallo stesso trattamento sanzionatorio di cui all’articolo 146, terzo comma, Codice della Strada”.
Ma come si fa dico io a inviare ad un cittadino un verbale di contestazione del genere?

giovedì 30 aprile 2009

Interessante sentenza sul Telelaser.

Interessante la sentenza del giudice di pace Avv. Antonio Sindaco di Galatina (Lecce) secondo il quale lo stato di necessità esclude la responsabilità ex articolo 4, Legge 689/81.
La sentenza è del 20 settembre 2008.
Il GdP di Galatina che affrontando anche le ulteriori censure ha enucleato importanti principi in materia di circolazione stradale e rilevazione delle infrazioni a mezzo di apparecchiature elettroniche (in particolare tramite telelaser).
Per il Giudice salentino, infatti, il verbale impugnato, elevato per eccesso di velocità, va annullato essendo stata prodotta in atti idonea documentazione medica rilasciata dall'Ospedale di Scorrano, in cui si legge che il giorno della contestazione di cui al verbale impugnato il ricorrente si recava presso il Pronto Soccorso in quanto affetto da un dolore toracico e da crisi ipertensiva.
Per il GdP il verbale impugnato è da considerarsi comunque nullo in quanto sulla strada percorsa dal ricorrente non vi era alcuna segnalazione preventiva del sistema di rilevamento della velocità utillizzato dagli Agenti accertatori. Secondo il Giudice, infatti, le caratteristiche e le specifiche capacità del telelaser richiedono che questo sia utilizzato solo in costanza di un idoneo segnale di avvertimento per gli utenti della strada.
Inoltre, per il GdP il verbale è da annullare per un ulteriore motivo: non vi è prova in atti che il Telelaser utilizzato sia stato regolarmente tarato secondo le normative europee e nazionali di riferimento, trattandosi di apparecchiatura rientrante nella categoria delle strumentazioni a "metrologia legale", dall'utilizzazione delle quali derivano concreti effetti giuridici.
Sempre per il giudicante non e stato provato e dimostrato quindi, che tale strumentazione sia stata sottoposta a periodiche tarature e controlli presso centri opportunamente predisposti e in linea con la normativa europea, i cosiddetti centri SIT (i quali sono depositari delle grandezze metrologiche).
Pertanto, ha concluso il GdP, la totale assenza di un certificato di taratura rilasciato da un apposito centro rende inidonea e assolutamente inattendibile la fondatezza del rilevamento effettuato con apparecchiatura utilizzata, che non può dipendere solo da un generico autocontrollo, contrario ad ogni principio di certezza del diritto.
(Altalx, 30 gennaio 2009. Nota di Alfredo Matranga).

Padre assente? Ai figli va comunque il suo cognome.

Con la sentenza 4819/09 la Corte di cassazione ha stabilito che anche se un padre è “assente” e non adempie ai suoi doveri naturali (anche dopo la sentenza di primo grado non aveva versato nessuna somma per il suo mantenimento) ai figli spetta sempre e in ogni caso il cognome paterno.

Io non condivido assolutamente questa sentenza.
Portare un cognome del proprio genitore oltre ad essere previsto dalla legge deve essere un onore.....
Pertanto è vero che ai figli spetta il cognome del padre ... ma quando questi non lo merita?
In una situazione del genere perchè non riconoscere anche al figlio il diritto (al contrario) di disconoscere il proprio padre e suo relativo cognome?

La Corte di Cassazione quindi ha convalidato la decisione dei giudici di merito e imposto alla minorenne di continuare a conservare il cognome del padre.
Fossi io il suo legale in considerazione che in alcuni paesi europei si prevede persino il doppio cognome proporrei ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'uomo.

domenica 26 aprile 2009

Licenziata perchè in malattia navigava in facebook.

Mi sembra un pò bizzarra la decisione di una azienda nei confronti di una dipendente in malattia "beccata" mentre usa Facebook.
Infatti una 31enne di Basilea ha perso il posto perchè secondo l'azienda: «Chi è in grado di navigare in Rete, può anche lavorare»...
Vero ma una azienda può impedire al dipendente che sta nel proprio domicilio seppur in malattia di utilizzare il proprio pc anche solo per leggere alcuni messaggi su internet?
Io credo di no a prescindere da un emicrania che potrebbe anche essere momentanea.
Ebbene una dipendente di un nota compagnia di assicurazioni svizzera Nationale Suisse si è data malata per un giorno per una forte emicrania.
Tuttavia, non si comprende bene ma il datore di lavoro ha scoperto che la donna navigava su Facebook. Quindi, anche per la stupidità della donna, che ben poteva sostenere che a navigare era una altra persona , il licenziamento in tronco.
La motivazione dell'azienda: "Chi è in grado di navigare in Rete, può anche lavorare".
Certamente ma un conto stare cinque minuti sul pc un conto è stare 7 ore.
Fosse per me impugnerei questo licenziamento.
Non sarà certamente un datore di lavoro a dire cosa o non cosa deve fare un dipendente in malattia al proprio domicilio.
La decisione di questa azienda è sicuramente censurabile poichè non permetterebbe ad un dipendente in malattia di stare a letto con il proprio computer poggiato sulle ginocchia per cinque minuti. A rendere noto il fatto è un giornale elvetico online "20 Minuten".
E in Italia come sarebbe accolta una decisione del genere?