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mercoledì 7 ottobre 2009

Interessante sentenza sul riconoscimento delle infermità.

Una precedente Sentenza della Corte dei Conti già riconosceva la riduzione delle difese immunitarie a causa dello stress sul lavoro (eccessiva responsabilità, ritmi lavorativi incongrui, sovraccarico di lavoro da eseguire in un arco di tempo strettamente prestabilito, ecc. ….): in particolare si trattava di un giovane videoterminalista che aveva contratto una patologia tumorale, anche per la prolungata esposizione del torace alla macchina videoterminale.

La vicenda che oggi diffondo grazie a Massimo Cassiano è, per certi versi, sovrapponibile e riguarda (con buona pace del Ministro Brunetta) un magistrato della Corte dei Conti, Presidente di Sezione, che, avendo assolto per anni ad un incredibile carico di doveri e responsabilità, ha contratto una infermità epatica che lo ha portato ad una morte fulminante!

La Sentenza, dopo aver minuziosamente riportato tutta la vicenda processuale (i fatti si riferiscono agli anni 1993 – 1999) riconosce che:

“Come evidenziato dal perito di parte, la vita professionale del dott. A.V., presidente di sezione della Corte dei Conti, rappresenta un esempio di abnegazione al dovere portata fino all’estremo sacrificio, il che porta a ritenere verosimile che la morte del magistrato sia stata, se non direttamente determinata, quanto meno anticipata e favorita dagli eventi stressanti che hanno caratterizzato il suo incarico ….”.

“A titolo di esempio, nell’anno 1995, il Presidente V. scrisse circa 400 sentenze oltre a presiedere tutte le udienze in calendario presso la Sezione de L’Aquila.

Dal 1996 al 1999 la Sezione Giurisdizionale per il Veneto ha tenuto 153 udienze, di cui 121 presiedute dal dott. V., e sono state emesse 3.768 pronunce, di cui 1.549 redatte dal Presidente V.

A ciò deve aggiungersi il disagio derivante dall’espletare il servizio in regioni con stagioni invernali particolarmente fredde, come l’Abruzzo ed il Veneto, dai frequenti spostamenti, dai pasti consumati fuori casa.

La perizia di parte ha specificato come i fattori psicologici possono influenzare il modo di reagire dell’organismo, associarsi fra di loro, slatentizzare una patologia e diventare essi stessi causa di malattia, il che è ormai considerato più un dato di fatto che una mera ipotesi”.

domenica 8 febbraio 2009

No all'annullamento di decreti pensionistici dopo lunghissimo tempo.

Interessante la Sentenza n. 563/08/A della Corte dei Conti, Sez. I, Giurisdizionale centrale emessa sull’appello proposto da D.D. e, dopo il suo decesso, riassunto dagli eredi, avverso la sentenza 220/05 della Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la regione Piemonte.
Il signor D.D., con ricorso impugnava il provvedimento con il quale l'INPDAP aveva revocato la pensione a suo tempo concessagli, con la motivazione che non avrebbe "maturato l'anzianità contributiva prevista per il diritto a pensione"; il ricorrente chiedeva di accertare l'illegittimità del provvedimento dell'ente previdenziale, il riconoscimento del suo diritto a percepire la pensione di anzianità attribuitagli con decreto del Ministro del Tesoro, Direzione generale II.PP. – CPDEL, nonchè le somme non corrisposte a decorrere dal giugno 2001, maggiorate di interessi e rivalutazione, ed il risarcimento dei danni.
A sostegno della sua richiesta il D. evidenziava invece di aver prestato servizio in via continuativa presso il Comune di S. dall'anno 1953 sino al 31.12.1974 e che al momento del pensionamento gli era stato riconosciuto solo il periodo compreso fra il 1° gennaio 1955 e il 1967, nel corso del quale avrebbe prestato la sua opera continuativa alle dipendenze del Comune.
Con la sentenza n. 220/05, la Sezione giurisdizionale per il Piemonte accertava che il rapporto di lavoro subordinato del ricorrente con il Comune di S. era cessato il 31 maggio 1967; circostanza, peraltro, avvalorata dal successivo comportamento delle parti che, perlomeno in base al Regolamento organico del personale ed alle delibere prodotte dallo stesso ricorrente non avevano inteso dar corso ad alcun rapporto di lavoro subordinato, il cui svolgimento potesse essere utilizzato per calcolare l'anzianità necessaria per la pensione CPDEL.
In particolare, osservava il primo Giudice la chiara volontà che gli organi competenti (Consiglio comunale e Giunta Comunale), manifestata nelle relative delibere, di non costituire alcun rapporto di lavoro, con l'ulteriore specificazione, contenuta in ciascuna delibera, che il rapporto non avrebbe comportato l'insorgenza di obblighi previdenziali a carico del Comune e l'accettazione di tale situazione da parte del D. per cui, la successiva rivendicazione del trattamento pensionistico da parte del ricorrente (con l'avallo degli stessi amministratori) non poteva che configurare quella “illiceità della causa” che in base all'art. 2126 cod. civ. esclude ogni forma di tutela per il lavoratore.
Il provvedimento di revoca dell'INPDAP è stato pertanto ravvisato dal Giudice come pienamente legittimo, poiché l'ente previdenziale dopo aver ricevuto dal Comune di S. un nuovo “modello 98.1” in sostituzione del precedente, non poteva che verificare se in base alle nuove dichiarazioni dell'Amministrazione il D. avesse o meno diritto alla pensione di anzianità.
Avverso la sentenza interponeva appello l’interessato, il quale deduceva di aver prestato un servizio continuativo, senza soluzione, presso il comune di S. dall’1.1.55 al 31.12.74; in particolare, dal 1.7.67 al 31.12.74 – a seguito della soppressione del posto di capo dell’ufficio tecnico, operata dal Regolamento organico del comune - egli espletò l’incarico di tecnico comunale a tempo parziale, ma sempre con carattere di continuità, con vincolo di subordinazione, stipendio predeterminato mensilmente e regolare versamento di contributi previdenziali da parte dell’ente alla CPDEL.
Si tratterebbe, quindi, di un rapporto di lavoro avente tutte le caratteristiche per la quiescibilità in base alla normativa INPDAP, sulla qualificazione giuridica del quale la Corte dei conti avrebbe piena giurisdizione.
Sotto altro profilo, lamentava l’errata e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., e dei principi in materia di rapporto lavorativo di fatto: per la valorizzabilità in pensione di un determinato periodo, afferma parte appellante, è irrilevante il nomen iuris attribuito dalla parti al rapporto, dovendosi considerare in proposito il concreto atteggiarsi e le caratteristiche del servizio svolto.
Da ultimo, viene dedotta la violazione degli artt. 204 e segg. del T.U. n. 1092/1973 sulla revoca dei provvedimenti di pensione; revoca che non sarebbe stata giustificata nel caso di specie.

Dopo il decesso dell’appellante, il gravame veniva riassunto dagli eredi.
Con memoria depositata il 1.10.08, si costituiva in giudizio l’INPDAP, che eccepiva, in rito, il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in ordine all’esatta qualificazione del rapporto intercorso per il periodo dal 1967 al 1974 tra il comune e il de cuius D.
Nel merito, affermava la piena legittimità del provvedimento di revoca della pensione, adottato sulla scorta di quanto stabilito dagli artt. 7 L. n. 379/1955 (sull’anzianità lavorativa minima per il conseguimento del diritto a pensione) e 30 D.L. 28.2.1983, n. 55, sulla rilevanza della certificazione dei servizi da parte dell’amministrazione di provenienza del pensionato CPDEL.
All’udienza dibattimentale, il legale intervenuto per gli appellanti, insisteva per l’accoglimento del gravame, riportandosi alle memorie depositate. Parte avversa invece ripetuto l’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice in ordine al rapporto di lavoro intercorso tra le parti nella fattispecie; in subordine, chiedeva il rigetto dell’appello.
La corte dei conti precisava che la giurisdizione non poteva essere seriamente posta in discussione (v. art. 62 t.u. n. 1214/1934), facendosi questione relativa al diritto a pensione.
Nel merito riteneva l’appello fondato con relativo accoglimento con conseguente riforma dell’impugnata sentenza di prime cure, la quale ha erroneamente riteneva legittima la revoca del primo decreto (definitivo) di pensione, emesso dalla CPDEL.
La Corte dei Conti precisava che l’art. 203 del t.u. n. 1092/1973 dispone che “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”. Ai sensi del successivo art. 204, “La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente può aver luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”.
Orbene, come correttamente lamentato da parte appellante, la CPDEL nel caso di specie non avrebbe potuto in alcun modo ritenere valido, ai fini della revoca poi emessa, il nuovo modello 98.1, correttivo di quello a suo tempo inviato all’Istituto previdenziale, predisposto dal comune di Strambino nel 2003, dopo 17 anni (!) dal primo provvedimento di pensione. Tale documento, infatti, non integra alcuno dei presupposti di cui alla norma sopra riportata, e che soli possono legittimare la revoca in esame: non vi era stato un errore di fatto o un errore nel computo dei servizi; non sono emersi nuovi documenti decisivi dopo l'emissione del primo provvedimento; infine, il decreto del 1976 non fu emesso in base a documenti falsi, giacchè il comune era stato sempre perfettamente a conoscenza della particolare situazione di servizio del dipendente.
Insomma, non ricorre alcuno dei – tassativi – presupposti richiesti dalla legge perché sia possibile far luogo, e per giunta dopo un tempo lunghissimo, alla revoca del decreto già emesso. Ha dunque errato il primo Giudice nel ritenere corretto il su detto provvedimento del quale, al contrario, va dichiarata l’illegittimità.
L’appello proposto quindi il 24.10.08 è stato accolto con conseguente annullamento dell’impugnata sentenza di prime cure.
Sentenza depositata il 18/12/2008.