Visualizzazione post con etichetta Sentenze corte di cassazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sentenze corte di cassazione. Mostra tutti i post

lunedì 23 novembre 2009

Ci si salva se il tradimento è unico ed isolato?

Mah non condivido molto questa sentenza in quanto il tradimento è sempre un tradimento. Invece per la cassazione quando sono entrambi i coniugi a violare i doveri che discendono dal matrimonio il fatto che uno dei due abbia tradito non giustifica di per sè la pronuncia di addebito della separazione. Lo afferma la Corte di Cassazione chiarendo che il giudice di merito deve pur sempre procedere ad un raffronto dei comportamenti tenuti da entrambe le parti. Solo questo confronto consente infatti di di stabilire quale delle condotte abbia avuto incidenza nel determinare la crisi coniugale. Secondo i giudici del Palazzaccio (sentenza 6697/09) sussiste un "potere-dovere del giudice del merito di procedere ad un accertamento rigoroso e ad una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, onde stabilire se l'infedeltà di un coniuge (come in genere ogni altro comportamento contrario ai doveri del matrimonio) possa essere rilevante al fine dell'addebitabilità della separazione, essendo stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, ovvero se non risulti aver spiegato concreta incidenza negativa sull'unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza". Il caso preso in esame dalla Corte riguarda una ex moglie a cui i giudici di merito avevano attribuito la colpa della separazione in relazione ad un unico ed isolato episodio di tradimento senza considerare i comportamenti del marito che aveva nascosto per ben due anni alla moglie la sua incapacità di procreare.

I cani non sempre devono avere guinzaglio e museruola.

La II Sez. Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23820/09 ha stabilito che non può essere multato un padrone di un cane che gira libero per piccole strade con qualche abitazione intorno.
Difatti, osserva la Corte, i cani non sempre devono avere guinzaglio e museruola.
La Corte, nel caso di specie, ha osservato che “risulta (…) fondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta che non sia stata indicata la norma di legge violata, ma soltanto un’ordinanza comunale, che vieta la circolazione degli animali in centro abitato.
Deduce inoltre che egli aveva rispettato l’ordinanza, poiché il proprio cane si trovava lungo un tratturo nei pressi della propria abitazione e non nel centro abitato.
La sentenza impugnata presta il fianco alla doglianza (che non è inammissibile censura di merito, ma attiene alla motivazione resa sul punto relativo alla nozione di centro abitato), giacché il giudice di pace ha desunto l’esistenza della violazione dal fatto che i cani del (…) circolavano liberamente ‘in prossimità di altre abitazioni, e dunque nel pieno centro abitato del comune’, circostanza riscontrata dalla cartografia in atti.
Il giudicante ha quindi equiparato al centro abitato la presenza di alcune abitazioni, ma tale equiparazione è concettualmente errata, poiché la mera presenza di ‘altre abitazioni’ (è da intendere oltre quella dell’opponente) non è di per sé prova della ubicazione in centro abitato.
E’ invece positivo riscontro del contrario, poiché altrimenti sia il verbale, contestato sul punto, che la sentenza avrebbero potuto (e dovuto) indicare il nome della via in cui avvenne il fatto e gli altri elementi oggettivi e inequivocabili che connotano la nozione di centro abitato, senza ricorrere a un’indicazione presuntiva talmente vaga da fornire implicitamente prova della inconsistenza dell’ipotesi sostenuta”.

venerdì 13 novembre 2009

Nulle le multe elevate nelle ztl il cui orario è stato esteso dal Comune in occasione di festività.

La II Sez. Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23661/09 che condivido ha stabilito che sono nulle le multe elevate nelle zone a traffico limitato il cui orario è stato esteso dal Comune in occasione di festività o eventi senza che sia stato prima modificato il cartello all’ingresso della zona vietata.
Gli Ermellini hanno evidenziato che se la giunta comunale prolunga, in un determinato periodo dell’anno, l’orario della zona a traffico limitato, "il Comune deve darne idonea pubblicità, modificando la segnaletica posta all’ingresso dei varchi o in altri modi considerati dalla normativa equipollenti, in modo che l’utente sia adeguatamente informato del provvedimento; l’onere della prova al riguardo spetta all’autorità amministrativa, sicché, in difetto, non può essere affermata la responsabilità dell’opponente che sia transitato nella zona a traffico limitato facendo affidamento su un cartello stradale, posto all’ingresso del varco, che, con riguardo a quella fascia oraria, non ponga alcuna delimitazione né all’ingresso né alla circolazione”.

lunedì 9 novembre 2009

Questione infinita sugli ausiliari del traffico. Ora possono fare le multe anche fuori le strisce blu se dipendenti del Comune.

Evidentemente la questione dei c.d. vigilini non finisce mai. Secondo la Corte di cassazione ora quelli dipendenti del Comune (per quanto è di mia conoscenza in casi rari) possono sanzionare gli automobilisti “indisciplinati” che parcheggiano in divieto di sosta le proprie autovetture: i limiti di competenza sono validi solamente per coloro che si trovano alle dipendenze delle società concessionarie e per gli ispettori del trasporto pubblico.
Ha stabilirlo è la  sentenza 22676/09.

I poteri degli ausiliari del traffico: la normativa di riferimento
Per quanto concerne il profilo normativo, va ricordato che la Legge 15 maggio 1977, n. 127 (e la successiva legge 488/1999), art. 17, ha stabilito che i Comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione.
Il legislatore, in base a quanto disposto dalle sopra menzionate normative, in presenza ed in funzione di particolari esigenze di traffico cittadino, tra cui possono comprendersi anche e soprattutto le problematiche connesse alle aree da riservare a parcheggio a pagamento, ha stabilito che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati, i quali abbiano una particolare investitura, da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto, in considerazione “della progressiva rilevanza dei problemi delle soste e parcheggi” (cfr. anche sull’argomento Corte cost., ord. n. 157/2001).
Il legislatore, pertanto, secondo quanto stabilito nelle richiamate discipline, che estendono a soggetti non compresi tra quelli ai quali tali funzioni sono istituzionalmente attribuite, le suddette funzioni, ha pertanto delimitato con rigore il senso di tale attribuzione, precisando come la competenza delegata ai dipendenti della concessionaria siano limitate alle violazioni in materia di sosta dei veicoli commesse nelle aree comunali oggetto di concessione e specificamente destinate al parcheggio, previo pagamento di ticket, potendosi estendere anche alle aree poste a servizio di quelle a pagamento, immediatamente limitrofe, se ed in quanto precludano la funzionalità del parcheggio stesso.

La vicenda
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso di un Comune nei confronti di un automobilista, “colpevole” di aver parcheggiato in divieto di sosta.
In primo grado il giudice aveva annullato la sanzione con la motivazione che l’ausiliario aveva elevatola contravvenzione in una zona non inclusa nel capitolato per la gestione dei parcheggi comunali, dunque, fuori dal raggio di azione dei c.d. vigilini.
L’automobilista era riuscito ad ottenere l’annullamento della multa fatta da un ausiliario, in una strada che non era stata data in concessione, come area di parcheggio, ad una società privata.
I giudici di legittimità, però, sono stati di avviso contrario ritenendo che le funzioni di verifica della sosta possono essere delegate agli ispettori della aziende di trasporto pubblico urbano, ai lavoratori della società concessionaria di un'area destinata a parcheggio e ai dipendenti comunali. Mentre le prime due categorie, chiarisce la Corte, hanno poteri limitati al territorio "assegnato" i dipendenti del Comune possono elevare multe per divieto di sosta in qualsiasi zona.
I precedenti giurisprudenziali
Le violazioni in materia di sosta che non riguardino le aree contrassegnate con le strisce blu e/o da segnaletica orizzontale e non comportanti pregiudizio alla funzionalità delle aree distinte come sopra precisato, non possono essere legittimamente rilevate da personale dipendente delle società concessionarie di aree adibite a parcheggio a pagamento, seppure commesse nell’area oggetto di concessione (ma solo limitatamente agli spazi distinti con strisce blu)” (Cassazione Civile, sezioni unite, sentenza del 9 marzo 2009, n. 5621).

Sempre la Corte di cassazione, con sentenza n. 20558/07, (richiamandosi ad una recente pronuncia della stessa Corte sent. n. 9287/06), ha stabilito che il potere dell’ausiliario dipendente dalla società concessionaria del parcheggio a pagamento, previsto dall’art. 17 comma 132 della L. 127/1997, non è limitato a rilevare le infrazioni strettamente collegate al parcheggio stesso (ovvero il mancato pagamento della tariffa o il pagamento effettuato in misura inferiore al dovuto, l’intralcio alla sosta degli altri veicoli negli appositi spazi e così via), ma è esteso anche alla prevenzione ed al rilievo di tutte le infrazioni ricollegabili alla sosta nella zona oggetto della concessione, in relazione al fatto che nella suddetta zona la sosta deve ritenersi consentita esclusivamente negli spazi concessi e previo pagamento della tariffa stabilita; pertanto ogni infrazione alle norme sulla sosta in tali zone può essere rilevata dagli ausiliari dipendenti della società concessionaria, essendo quest’ultima direttamente interessata, nell’ambito territoriale suddetto, al rispetto dei limiti e dei divieti per il solo fatto che qualsiasi violazione incide sul suo diritto alla riscossione della tariffa medesima.

Se un corriere sbaglia indirizzo e il ricorso non viene depositato chi paga?

L’art. 1218 c.c. fissa il principio fondamentale, in base al quale il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto a risarcire il danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile . L’avvocato che assume l’incarico di proporre il ricorso per cassazione avverso una sentenza di merito, assume l’obbligo giuridico, tra gli altri, di procedere al deposito dell’atto nel rispetto dei termini previsti dal codice di rito.
L’art. 369 c.p.c., infatti. prevede che “il ricorso per cassazione deve essere depositato nella cancelleria della Corte, a pena di improcedibilità, nel termine di giorni venti dall’ultima notifica …”. 
Ne deriva che il professionista, che ometta di depositare il ricorso nel termine appena indicato, sia inadempiente alla sua obbligazione e, pertanto, tenuto a risarcire i danni, salva la prova della impossibilità sopravvenuta per causa a lui non imputabile. Quid iuris se i termini per il deposito non siano rispettati perché il corriere, al quale l’avvocato abbia affidato il plico contenente il ricorso affinché lo recapiti al Collega domiciliatario su Roma, lo consegna ad un destinatario sbagliato? Si può ritenere integrata la causa non imputabile, ai fini dell’esonero del professionista dalla responsabilità? 
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15895/09 del 7.7.09 fornisce una risposta negativa a tale quesito, riconoscendo il diritto del cliente ad ottenere il risarcimento dei danni che sono derivati in suo pregiudizio dalla improcedibilità del ricorso. 
Secondo i giudici di Piazza Cavour, in particolare, l’avvocato ha la facoltà di affidare il ricorso a terzi, affinché questi provvedano per suo conto all’adempimento delle successive formalità, quali il deposito, ma non può limitarsi a fare affidamento sulla diligenza dei suoi ausiliari, ovvero del corriere o del servizio postale, essendo tenuto comunque a accertarsi che il deposito avvenga entro i termini stabiliti.
Il professionista, dunque, è in ogni caso responsabile dei danni patiti dal cliente per effetto della mancata esecuzione degli obblighi nascenti dal contratto d’opera professionale, anche nel caso in cui l’inadempimento sia ascrivibile non solo a sua colpa, ma anche alla responsabilità di coloro di cui si sia avvalso per l’espletamento dell’incarico ricevuto. 
La soluzione prospettata dalla Corte appare l’effetto di una lineare applicazione dell’art. 1228 c.c. e, per altro verso, rappresenta un fulgido esempio di come, quanto meno con riferimento alle attività c.d. “riturali”, l’obbligazione dell’avvocato sia sempre più una obbligazione di risultato e non di mezzi.
Per la sentenza cliccate qui 

giovedì 5 novembre 2009

Sentenza sulla legitima difesa.

La Corte di Cassazione, occupandosi della vicenda di un sindaco che aveva sparato a tre rapinatori che lo avevano appena aggredito portandogli via 3.500 euro, ha chiarito, che l'utilizzo dell'arma contro i banditi in fuga non integra gli estremi del reato di lesioni volontarie aggravate.
Mi pare che con questa sentenza si sia cambiando il vecchio principio.
In ogni modo annullando la sentenza di merito che in precedenza aveva deciso per la condanna, la Suprema Corte ha chiarito che nella fattispecie, considerato che i tre malviventi avevano affrontato armati il primo cittadino mentre rientrava a casa , si può riconoscere l'esimente della legittima difesa putativa.
L'avvocato Enzo Fragalà che ha difeso nel processo il sindaco ha dichiarato: "Sono stato sempre convinto della sussistenza della legittima difesa e del comportamento esemplare del sindaco che ha voluto con la sua reazione evitare che i tre rapinatori aggredissero i suoi congiunti portando il gravissimo delitto già commesso alle estreme conseguenze.
La sentenza [...] rassicura tutti i cittadini onesti che di fronte al crimine ogni cittadino ha diritto a difendersi e a reagire".
Sono d'accordo su questo ma chi ha invece sparato davvero per legittima difesa e si trova ancora nei guai?

mercoledì 4 novembre 2009

Ancora una sentenza favorevole sull'assenza del vigile al semaforo.

La Corte di cassazione conferma ancora una volta la nullità delle multe per chi passa con semaforo rosso se sono state rilevate con il "photo red" e senza la presenza del vigile.
Proprio ieri è stato inoltrato da un cittadino un ricorso da me predisposto sulla base di questo principio. Ebbene la Corte, infatti, con la sentenza n. 23084/09 ha accolto il ricorso di un automobilista ed ha ricordato che ''la fattispecie dell'attraversamento del semaforo a luce rossa, rilevata solo con apparecchiatura a posto fisso, si presta a possibili errori, in tutti i casi in cui, il veicolo, pur avendo impegnato l'incrocio correttamente col semaforo a luce verde, sia costretto a fermarsi, subito dopo il crocevia, per possibili ingorghi, con la conseguente rilevazione non completa delle varie fasi che solo la presenza del vigile può evitare''.
In primo grado il giudice di pace aveva confermato la contravvenzione sulla base della considerazione che l'automobilista non aveva provato il ''non corretto funzionamento dell'apparecchiatura''. La Cassazione ha ora ribaltato il verdetto ribadendo la necessità della presenza del vigile in quanto l'apparecchiatura a posto fisso, soprattutto nei casi di ingorgo, rappresenta un rilevamento che ''si presta a possibili errori''.
Nella sentenza si legge inoltre che "non è decisivo il fatto che l'art. 384 reg. att. del Cds ricomprenda nell'ipotesi di impossibilità della contestazione immediata l'attraversamento dell'incrocio col semaforo rosso perchè si tratta di una norma che non può derogare a quella generale sulla necessità della contestazione immediata, quando possibile, e sulla presenza dei vigili".

martedì 3 novembre 2009

Ancora una conferma sull'invalidità della multa sulla base di una percezione soggettiva.

La Corte di Cassazione conferma i precedenti orientamenti e cioè devono considerarsi nulle le multe per alta velocità inflitte solo sulla base di quello che ha rilevato l'occhio dell'agente.
Secondo la Corte un agente accertatore può certamente contestare una guida senza cinture o la mancanza di fari accesi ma non può fare multe per eccesso di velocità sulla base della sua "percezione soggettiva" che, spiega la Corte, si deve considerare inattendibile.
La decisione è della II sezione civile (sent. n.22891/09) che ha confermato l'annullamento di una contravvenzione per eccesso di velocità inflitta da un carabinere nei confronti di un automobilista che nella circostanza guidava anche con i fari spenti e senza indossare le cinture.
"Il giudice di pace - scrive la Corte - ha chiarito che, dalla stessa descrizione dell'agente, risultavano carenti elementi oggettivi cui ancorare la valutazione operata" sulla velocità eccessiva "che in definitiva era risultata esclusivamente riferita alla sua percezione soggettiva di per sè inattendibile".

lunedì 2 novembre 2009

Sulla confisca del ciclomotore.

In caso di violazione amministrativa a opera di un soggetto minore di anni 18, la responsabilità, sorge in capo al genitore, soggetto deputato alla sorveglianza del minore che, pertanto non è estraneo alla violazione posta in essere dal minore.
Lo ha stabilito la II sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 21881/09 che condivido.
Secondo la ricostruzione della vicenda, il giudice di Pace di Pordenone aveva accolto l’opposizione proposta da un soggetto, nel caso di specie , il genitore del minore alla guida del ciclomotore, contro il Prefetto di Pordenone, per l’annullamento dell’ordinanza di ingiunzione con cui erano stati disposti la confisca di un ciclomotore sequestrato e il pagamento della sanzione amministrativa e delle spese di custodia il minore circolava alla guida di un ciclomotore.
Il genitore aveva eccepito che secondo quanto prevede l’art. 213 C.d.S., “la sanzione accessoria della confisca non è applicabile nel caso in cui il veicolo non sia di proprietà del trasgressore”.
Su ricorso proposto dal Prefetto di Pordenone, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, e ribaltando la decisione del Giudice di Pace ha risolto la questione in linea con l’orientamento della Corte in materia, affermando che “in caso di violazione amministrativa commessa da minore degli anni diciotto, incapace “ex lege”, di essa risponde in via diretta, a norma della L. n. 689 del 1981, art. 2, comma 2, applicabile anche agli illeciti amministrativi previsti dal codice della strada (art. 194 C.d.S.), colui che era tenuto alla sorveglianza dell'incapace, che, pertanto, non può essere considerato persona estranea alla violazione stessa. Ne consegue che, in caso di circolazione di minore alla guida di ciclomotore non rispondente alle prescrizioni indicate nel certificato di idoneità tecnica, ben può essere ordinata la confisca del ciclomotore di proprietà del genitore in relazione alla violazione dell'art. 97 C.d.S., comma 6 senza che sia applicabile, nella specie , l'art. 213 C.d.S., comma 6, dello stesso codice, che esclude detta misura qualora il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione amministrativa" (Cass. 7268/00; v. inoltre utilmente Cass. 9493/00 e Cass. 18469/07)”.

domenica 25 ottobre 2009

Sentenza penale sulla legge 241/90

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 39706/2009) ha stabilito che chiunque può accedere liberamente ai provvedimenti e alle procedure in corso nelle PA con una sola eccezione, i casi specifici in cui sia la legge ad imporre il segreto d’ufficio, e allora solo il cittadino che ha un concreto interesse nella pratica potrà accedervi. Gli Ermellini hanno infatti evidenziato che “occorre (…) ricordare come la legge n. 241/1990 abbia rivoluzionato la disciplina degli atti e dell’accesso agli stessi, sancendo in definitiva il principio che tutto ciò che non è segreto è accessibile. Essa contiene soltanto la regolamentazione del diritto di accesso e non anche di un parallelo obbligo di segretezza, regolando tale diritto unicamente in base all’interesse del richiedente, ovvero alla giustificazione addotta dallo stesso. Con ciò il legislatore ha inteso porre soltanto un freno all’ipotetico proliferare di richieste, che potenzialmente potrebbero paralizzare la Pubblica Amministrazione, esigendo il requisito dell’interesse, quale elemento regolatore del generico principio della completa accessibilità agli atti, restando quest’ultima comprimibile solo attraverso l’imposizione del segreto nei casi previsti dalla legge. E il caso in rassegna non rientra tra le ipotesi di segreto normativamente previste, né risulta che il Sindaco avesse imposto alcun vincolo sugli atti e sulla vicenda di (…)”.
La Corte, in relazione alla portata della norma incriminatrice che tutela le notizie che devono rimanere segrete, ha quindi evidenziato che “giurisprudenza pregressa, ma ancora attuale, è attestata sul principio che ai fini della configurabilità del reato il dovere di segreto, cui è astratto il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, deve derivare da una legge, da un regolamento, ovvero dalla natura stessa della notizia che può recare danno alla pubblica amministrazione”.

Assolto padre che fa mancare i mezzi di sussistenza se è in difficili condizioni economiche.

La VI Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 33492/09 ha stabilito che può essere assolto il padre che nonostante abbia fatto mancare i mezzi di sussistenza alla ex e ai figli piccoli versando meno di quanto stabilito in sede di separazione e in ritardo, si trovi in difficili condizioni economiche.
La Corte evidenzia che “il reato di cui all’art. 570/2° n. 2 c.p. si realizza, a prescindere dall’eventuale inadempimento degli obblighi di natura squisitamente civilistica, solo nel caso in cui sussistano, da una parte, lo stato di bisogno degli aventi diritto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza e, dall’altra, la concreta capacità economica dell’obbligato a fornirli.
In relazione alla ritenuta sussistenza del primo requisito, la sentenza impugnata non merita censure, perché sostanzialmente pone in evidenza oggettivi dati di fatto emersi dall’istruttoria dibattimentale e univocamente indicativi dello stato di bisogno degli aventi diritto: la (…) infatti, per soddisfare le esigenze minime vitali di sé stessa e del figlio minore (quest’ultimo certamente privo di un qualsiasi reddito autonomo), era stata costretta a fare ricorso all’aiuto economico dei propri genitori. Questa realtà non può ritenersi contrastata dal fatto che la donna avrebbe intrapreso una propria attività autonoma con l’apertura di una lavanderia, circostanza questa che di per sé, in difetto di altri elementi di giudizio, non smentisce lo stato di bisogno.
Censurabile, invece, è la sentenza nella parte in cui omette di verificare in concreto la sussistenza del secondo requisito e di dare una risposta ai precisi rilievi mossi sul punto, con l’atto di appello, dall’imputato. E’ pacifico che costui, nell’arco temporale preso in considerazione, versò alla moglie, senza peraltro rispettare le scadenze previste, somme d’importo inferiore a quello stabilito nel provvedimento del giudice della separazione, rendendosi così chiaramente inadempiente”.

Interessante sentenza sul comportamento dei minori sulla strada.

Una sentenza questa che merita la massima attenzione.
Infatti secondo la Corte di Cassazione quando i bambini si trovano sulla carreggiata, occorre considerare che possono avere comportamenti imprevedibili e si comportano come pedoni inesperti. Per questo gli automobilisti debbono prestare particolare prudenza e attenzione. A ricordarlo è la Corte di Cassazione, IV Sezione penale, sentenza 40587, che ha sottolineato l'obbligo di fermarsi in presenza di minorenni per strada.
In mancanza, in caso di incidente, l'automobilista che non ha rispettato le norme di comune prudenza dovrà rispondere del danno. Sulla scorta di tale motivazione la Corte ha confermato una condanna per omicidio colposo nei confronti di un giovane che procedeva alla guida di un autocarro alla velocità di appena 20 chilometri orari.
Pur essendosi reso conto che sul suo percorso marciavano due bambini in bicicletta, il camionista non si era fermato e uno di loro era stato investito ed era morto. Piazza Cavour non ha voluto sentire ragioni neppure sulla richiesta di concessione delle attenuanti. Secondo la Corte i giudici di merito hanno correttamente affermato "la responsabilità del conducente per omicidio colposo per investimento di un bambino che, giocando a rincorrersi con coetanei su uno stretto marciapiede adiacente alla carreggiata stradale, si sia spostato sulla carreggiata medesima, per non aver tenuto una velocità adeguata alla situazione di pericolo, costituita dalla presenza dei bambini".
In sostanza, si legge nella sentenza, chi era alla guida doveva "rallentare fino a fermarsi, per evitare ogni pericolo di investimento, in quanto si trattava di bambini che non sono in grado di valutare e ovviare ai pericoli inerenti alla circolazione stradale e che compiono normalmente movimenti irregolari, inconsulti e pericolosi e che possono equipararsi a pedoni incerti che tardano a scansarsi". Ricorrendo in Cassazione l'uomo aveva cercato di dimostrare che la sua guida non era stata imprudente ma che, avendo visto i bambini, aveva rallentato la corsa del mezzo. Nel respingere il ricorso Piazza Cavour ha ricordato che "in caso di investimento, esattamente viene affermata la responsabilità del conducente che non abbia moderato particolarmente la velocità del veicolo e viene escluso che la condotta del bambino che si sposti incautamente sulla carreggiata possa concretare una concausa" dell'incidente.

venerdì 9 ottobre 2009

Annullato il licenziamento contestato in ritardo.

Interessante la sentenza n. 21221/09 della Corte di cassazione, sezione Lavoro, che ha stabilito che può essere annullato il licenziamento contestato in ritardo dall'azienda senza un motivo plausibile.
Gli Ermellini sottolineano che “la sentenza di questa Corte 14.4.2005 n. 7729, accogliendo il terzo motivo del ricorso allora in discussione, osservava che ‘nel licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura come elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessiva della struttura organizzata dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o mento il ritardo”.

I disabili devono pagare il parcheggio nelle aree blu.

Ecco quando succedono fatti come questi si evince la carenza delle leggi italiane.
Ebbene la Corte di Cassazione II sezione civile con la discutibile sentenza n. 21271/09 ha stabilito che devono pagare il ticket i disabili che parcheggiano nelle strisce blu e ciò anche se non hanno trovato posto negli spazi loro riservati.
Ma non sarebbe sufficiente esporre sul parabrezza il contrassegno o l'autorizzazione prevista per i disabili e al massimo accertare che l'autovettura sia davvero di un disabile?
Ebbene gli Ermellini hanno invece evidenziato che “(…) gli artt. 188, comma 3, c.d.s. e 11, comma 1, d.P.R. n. 503/1996, cit., prevedono per i titolari del contrassegno l’esonero, rispettivamente, dai limiti di tempo nelle aree di parcheggio a tempo determinato e dai divieti e limitazioni della sosta disposti dall’autorità competente; l’obbligo del pagamento di una somma è, invece, cosa diversa dal divieto o limitazione della sosta, come del resto è confermato dall’art. 4, comma 4, lett. d), c.d.s. (per il quale l’ente proprietario della strada può ‘vietare o limitare o subordinare al pagamento di una somma il parcheggio o la sosta dei veicoli’) che li considera alternativi”.
La Corte ha poi affermato che “né ha fondamento invocare a sostegno di una diversa interpretazione, come fa il ricorrente, l’esigenza di favorire la mobilità delle persone disabili . Dalla gratuità – anziché onerosità come per gli altri utenti – della sosta deriva, infatti, un vantaggio meramente economico, non un vantaggio in termini di mobilità, la quale è favorita dalla concreta disponibilità – piuttosto che dalla gratuità – del posto dove sostare; sicché, anche in caso di disponibilità dei posti riservati ai sensi dell’art. 11, comma 5, d.P.R. n. 503/1996, invocato dal ricorrente, non vi è ragione di consentire, in mancanza di previsione normativa, la sosta gratuita alla persona disabile che abbia trovato posto negli stalli a pagamento”.
Non condivido del tutto questa sentenza.

giovedì 8 ottobre 2009

Ancora sul sequestro preventivo dell'autoveicolo.

Il comproprietario dell'autovettura sequestrata ex art. 186 comma 2 Codice della Strada non ha diritto alla restituzione del veicolo, in quanto la misura cautelare reale è finalizzata alla confiscabilità della quota di proprietà dell'imputato, da considerarsi finalità ammissibile, la quale richiede il mantenimento del sequestro al fine di evitare che il bene sia disperso e che ritornato nella disponibilità dei comproprietari possa essere nuovamente usato dal soggetto che è stato trovato alla guida in stato di alterazione alcolica, situazione che la norma in oggetto intende prevenire; in ogni caso, il comproprietario non imputato potrà rivalersi sul prezzo ricavabile dalla vendita dell'autovettura. Di seguito la sentenza n. 28189/09.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RIZZO Aldo Sebastian Presidente Dott. CAMPANATO Graziana Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe " Dott. GALBIATI Ruggero " Dott. MARESCA Mariafrancesca "
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) X.Y., N. IL (omissis);
avverso ordinanza del 29/12/2008 Trib. Libertà di Cagliari;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CAMPANATO GRAZIANA;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. D'ANGELO Giovanni, che ha chiesto
il rigetto del ricorso.
OSSERVA

Il (omissis) veniva fermato dai carabinieri di Iglesias in località (omissis) alla guida dell'auto (omissis) tg. (omissis) e, sottoposto a controllo alcolimetrico, risultava in stato di ebbrezza alcolica (2,23 g/l alle ore 23,46 e 2,16 g/l alle ore 00,02). Il veicolo veniva sottoposto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria sancita dall'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), come modificato ed integrato dalla L. n. 125 del 2008. Detto sequestro veniva convalidato e tempestivamente reiterato dal GIP di Cagliari.

Con istanza 6.11.08 X.Y., moglie del (omissis) chiedeva la restituzione dell'autovettura, rivendicandone l'esclusiva proprietà e - comunque - contestando la sequestrabilità della medesima anche se ritenuta di proprietà comune con il marito.
Il GIP suddetto respingeva l'istanza ed in sede d'appello ex art. 322 bis c.p.p. il Tribunale di Cagliari confermava tale decisione, ribadendo che dal certificato di proprietà l'autovettura risultava appartenere ad entrambi i coniugi ed il fatto che la X.Y. avesse contratto un finanziamento per acquistarla non ne dimostrava la proprietà esclusiva. Dava atto che l'istante era estranea al reato e che quindi la sua quota di proprietà non poteva essere sacrificata, ma ciò non impediva di mantenere il sequestro al fine di confiscare la quota spettante all'imputato con la conseguente vendita dell'autovettura sul cui prezzo la X.Y. avrebbe potuto soddisfare il proprio diritto di comproprietaria.
Avverso questo provvedimento l'interessata ha proposto ricorso per cassazione deducendo inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p. e dell'art. 186 C.d.S., ribadendo la sua estraneità al reato e di conseguenza, in forza dell'esclusivo titolo di proprietà, l'illegittimità del sequestro.
Parimenti dovrebbe considerarsi annullabile il provvedimento in considerazione del titolo riconosciuto di comproprietà in forza anche della giurisprudenza di questa corte.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso è infondato.
Due sono le questioni proposte ed entrambe riguardano la non confiscabilità, e dunque la non sequestrabilità, dell'autovettura.
Secondo la prima questione la X.Y. sarebbe esclusiva proprietaria del mezzo perché avrebbe provveduto al pagamento della medesima attraverso un finanziamento.
Correttamente i giudici di merito hanno osservato che i coniugi sono in regime patrimoniale di comunione di beni e che l'autovettura è stata intestata ad entrambi, come risulta dal certificato di proprietà, per cui nessun elemento dimostra l'esclusività della proprietà a favore della ricorrente, non essendo certamente sufficiente che la medesima abbia ottenuto il finanziamento per il pagamento del bene.
Secondo la seconda questione poiché il bene non è divisibile non potrebbe essere sacrificato il diritto di comproprietà a vantaggio della confiscabilità.
Il Tribunale di Cagliari afferma correttamente che il diritto della X.Y. va salvaguardato, trattandosi di comproprietaria estranea al reato, ma ciò comporta che il sequestro dell'autovettura è finalizzato alla confiscabilità della quota di proprietà dell'imputato, finalità ammissibile che richiede il mantenimento del sequestro al fine di evitare che il bene sia disperso e che ritornato nella disponibilità dei coniugi possa essere nuovamente usato dal soggetto che è stato trovato alla guida in stato di alterazione alcolica, situazione che la norma in oggetto intende prevenire.
Il tribunale ha anche indicato il rimedio per la salvaguardia del valore della quota del bene a favore della X.Y. che potrà rivalersi sul prezzo ricavabile dalla vendita dell'autovettura.
Ciò premesso, il ricorso va rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2009.

Interessante sentenza sul sequestro preventivo dei veicolo.

L'art. 186, comma 2, del C.d.S. consente il sequestro preventivo - e la conseguente confisca - del veicolo in comproprietà, in quanto la norma esclude soltanto la confisca di veicolo appartenente ad un terzo, in ragione della tutela del suo diritto di proprietà, e del fatto che la presunzione assoluta di pericolosità derivante dall'uso del veicolo può risultare attenuata solamente in tale ultimo caso, mentre in caso di comproprietà, la presunzione medesima rimane integra. Di seguito la sentenza n. 24015/09.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri: Dott. MOCALI PIETRO Presidente Dott. CAMPANATO GRAZIANA Consigliere Dott. BRUSCO CARLO GIUSEPPE " Dott. MASSAFRA UMBERTO " Dott. MARESCA MARIAFRANCESCA "

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso presentato da:
1) X.Y. n. il XX/XX/19XX

avverso ordinanza del 22/09/2008 Trib. Libertà di Latina

sentita la relazione fatta dal Consigliere BRUSCO CARLO GIUSEPPE
sentite le conclusioni del P.G. Dr. AURELIO GALASSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte osserva:
1) X.Y. ha proposto ricorso avverso l'ordinanza 3 ottobre 2007 del Tribunale di Latina, sezione per il riesame delle misure cautelari reali, che ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso il 1° luglio 2008 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale ed avente ad oggetto un'autovettura a lui sequestrata.
Il Tribunale ha ritenuto legittimo il provvedimento emesso in relazione ad un procedimento per il reato di cui all'art. 186 del codice della strada (guida in stato di ebbrezza) rilevando come non fosse ostativa al sequestro preventivo la circostanza che l'autovettura fosse in comproprietà con altre persona (la madre del ricorrente) e che il fatto non poteva essere ritenuto occasionale essendo ciò escluso dall'elevato tasso alcolico rilevato.

2) A fondamento del ricorso si deduce, con il primo motivo, la violazione dell'art. 186 comma 2° del codice della strada e dell'art. 240 comma 2° cod. pen. perché il Tribunale non avrebbe considerato che il veicolo non era di proprietà esclusiva del ricorrente e l'interpretazione data dal Tribunale si porrebbe in contrasto con la lettera e la ratio della norma che prevede la confisca del veicolo.
Con il secondo motivo si deduce invece la violazione dell'art. 125 comma 3° c.p.p. perché il Tribunale non avrebbe considerato che si trattava di condotta occasionale e quindi difettavano le esigenze cautelari che peraltro non avrebbero potuto essere ravvisate nell'elevato tasso alcolico in mancanza di precedenti specifici.

3) Va preliminarmente rilevato che il sequestro preventivo in esame è stato disposto in base al nuovo testo dell'art. 186 comma 2° del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (codice della strada) modificato dall'art. 4 del d.1. 23 maggio 2008 n. 92 convertito, con modificazioni, nella 1. 24 luglio 2008 n. 125 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica).
Con questa modifica legislativa sono stati introdotti i seguenti periodi nel secondo comma dell'art. 186: "Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato."
Come è agevole verificare dal tenore della norma, si tratta di confisca obbligatoria: ciò risulta sia dalla terminologia utilizzata ("è sempre disposta") sìa dal richiamo al secondo comma dell'art. 240 cod. pen. che prevede, appunto, casi di confisca obbligatoria (in questo senso deve intendersi il richiamo all'art. 240: v. Cass., sez. IV, 11 febbraio 2009 n. 13831, Fumagalli, rv. 242479).
Dalla natura obbligatoria della confisca deriva un'importante conseguenza: che, nel caso di sequestro preventivo disposto ai sensi dell'art. 321 c.p.p., l'esistenza del periculum - cui l'emissione di tale misura cautelare reale è subordinata - è presunta per legge, con la conseguenza che non deve essere accertata caso per caso e che non può essere disposta (a meno che non vengano meno i presupposti per ritenere esistente il fumus) la restituzione del veicolo prima della sentenza definitiva (v. la già citata sentenza 13831/2009 nonché Cass., sez. fer., 28 agosto 2008 n. 36822, Simmerle, rv. 241269 - entrambe relative alla norma innovata del codice della strada - e in generale, precedentemente, Cass., sez. III, 6 aprile 2005, n. 17439, Amico, rv. 231516).

4) Ciò premesso, deve ancora osservarsi che il ricorso in cassazione contro le ordinanze del tribunale per il riesame, in materia di misure cautelari reali, è proponibile, per l'espresso disposto dell'art. 325 comma 1° c.p.p., solo "per violazione di legge". Ciò vale anche per l'ordinanza del tribunale che si pronunzi sulla richiesta di riesame del decreto del pubblico ministero, che abbia convalidato il sequestro operato dalla polizia giudiziaria, o sulla richiesta di riesame del sequestro disposto dall'autorità giudiziaria (v. artt. 355 c. 3° e 257 c.p.p. che rinviano entrambi all'art. 324 con la conseguente applicabilità dell'art. 325 in tema di ricorso in cassazione).
Ciò comporta in particolare, per quanto attiene ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, che con il ricorso in questa materia non sono deducibili tutti i vizi concernenti la motivazione del provvedimento impugnato previsti dall'art. 606, comma 1°, lett. e) del codice di rito, ma soltanto la mancanza assoluta, o materiale, della motivazione perché solo in questo caso può configurarsi la violazione di legge ed in particolare la violazione dell'art. 125 comma 3° c.p.p. che prescrive, a pena di nullità, l'obbligo di motivazione delle sentenze e delle ordinanze in attuazione del disposto dei commi 6° e 7° dell'art. 111 della Costituzione.
Tra i casi di mancanza assoluta della motivazione può certamente ricomprendersi anche il caso di motivazione meramente apparente o assolutamente inidonea a spiegare le ragioni addotte a sostegno dell' esistenza o meno dei presupposti per il mantenimento della cautela, Non possono invece formare oggetto di ricorso in cassazione le censure dirette ad evidenziare l'insufficienza, l'incompletezza, l'illogicità o la contradditorietà della motivazione.
La giurisprudenza di legittimità è univoca nel senso indicato: cfr. da ultimo Cass., sez. V, 11 gennaio 2007 n. 8434, Ladiana, rv. 236255; sez. III, 5 maggio 2004 n. 26853, Sainato, rv. 228738, sez. un. 28 gennaio 2004 n. 5876, Bevilacqua, rv. 226710.
Alla luce di questo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (che nel ricorso neppure viene posto in discussione) se anche la censura rivolta dal ricorrente all'ordinanza impugnata con il secondo motivo di ricorso, relativo alle esigenze cautelari, fosse da ritenere ammissibile (sotto il profilo della necessità di accertare in concreto l'esistenza del periculum anche nel caso di confisca obbligatoria) la censura sarebbe comunque inammissibile essendo rivolta all'accertamento di un vizio relativo alla motivazione che, nel nostro caso, non può essere ritenuta mancante.

5) E' invece infondato il primo motivo di ricorso che si riferisce all'interpretazione della norma innovata di cui al comma 2° dell'art. 186 in precedenza riportata e che, secondo il ricorrente, non consentirebbe la confisca - e quindi il sequestro preventivo - nei caso di veicolo in comproprietà.
La tesi è infondata perché la lettera della norma non autorizza questa interpretazione, sembrando al contrario escludere la confisca di veicolo appartenente ad un terzo per la tutela del suo diritto di proprietà.
Ma la tesi risulta in particolare infondata ove si consideri quale è la ratio della norma: solo nel caso di appartenenza integrale del veicolo ad un terzo la presunzione assoluta di pericolosità derivante dall'uso del veicolo può risultare attenuata mentre, in caso di comproprietà, la presunzione medesima rimane integra.
Resta il problema delia legittimità del sequestro (e della successiva eventuale confisca) della quota appartenente al terzo. Ma, su questo aspetto, il ricorrente è privo di interesse a richiedere l'annullamento del provvedimento impugnato, o la restituzione del bene, unico legittimato essendo il comproprietario del veicolo.

6) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
la Corte Suprema di Cassazione, Sezione IV penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il giorno 6 maggio 2009.

Il presidente
Dr. Piero Mocali


Il Consigliere Relatore
Dr. Carlo Brusco

Depositato in cancelleria il giorno 11 giugno 2009.

sabato 3 ottobre 2009

Altra tiratina d'orecchi a chi non da la precedenza ai pedoni in prossimità delle strisce pedonali

Una vera e propria 'tirata di orecchie' arriva dalla Corte di Cassazione nei confronti di quegli automobilisti che non danno la precedenza ai pedoni che attraversano sulle strisce pedonali.
Si tratta di un comportamento 'incivile' sottolinea la Corte ricordando che mentre si è alla guida di un'autovettura si è sempre obbligati a dare la precedenza ai pedoni in transito sulla segnaletica orizzontale loro dedicata.
Non si tratta dunque di un atto discrezionale dell'automobilista che deve sempre fermarsi. Sulla scorta di tale principio la Corte con la sentenza n.20949/09 ha accolto il ricorso dei tre figli di una donna investita sulle strisce da un motociclista e morta poco dopo per le gravi lesioni craniche.
I giudici di merito avevano attribuito il 30% della colpa dell'incidente alla donna che aveva attraversato la strada frettolosamente e senza guardare se stessero sopraggiungendo delle vetture. Il danno riconosciuto ai prossimi congiunti era stato quindi limitato nella misura del 70% del totale. La Cassazione su ricorso dei prossimi congiunti ha considerato inaccettabile un simile ragionamento. "A meno di riguardare l'attraversamento sulle strisce di una strada come un impegnativo momento di valutazioni di velocità e intenzioni altrui - si legge in sentenza -, occorre che ogni conducente, nell'approssimarsi alle strisce pedonali, ancora più se queste si trovino, come nella specie, in una zona centrale di una città, abbia la chiara consapevolezza che deve non solo dare la precedenza, ma anche tenere un comportamento idoneo ad ingenerare nel pedone la sicurezza che possa attraversare senza rischi".

Mano pesante della Corte di cassazione per chi non fornisce le proprie generalità ai controllori del treno

La prima sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n.38389/2009) ha stabilito che il controllore del treno deve considerarsi un "pubblico ufficiale" e che, pertanto, non ci si può rifiutare di fornire le generalità quando vengono richieste. Nel caso esaminato da Piazza Cavour una signora che aveva dimenticato di timbrare il biglietto aveva anche rifiutato di fornire al capotreno il suo documento di identità. Ne era scaturita una doppia sanzione ed il caso era finito nelle aule di giustizia. Della vicenda veniva interessata anche la Cassazione dove la donna ha sostenuto che il capotreno non poteva considerarsi pubblico ufficiale vista la trasformazione delle ferrovie dello Stato in società per azioni. La stessa aveva fatto anche rilevare che in ogni caso la consegna dei documenti era avvenuta davanti ad un agente della Polfer. Gli Ermellini nella parte motiva della sentenza hanno ricordato che anche "dopo la trasformazione dell'Ente Ferrovie dello Stato in societa' per azioni, gli addetti alle Ferrovie dello Stato, che come il capotreno-controllore dei biglietti provvedono alla constatazione dei fatti e alle relative verbalizzazioni nell'ambito di attivita' di prevenzione e accertamento delle infrazioni relative ai trasporti, sono pubblici ufficiali in quanto muniti di poteri autoritativi e certificativi e svolgenti una funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico''. Secondo i giudici del palazzaccio poco importa che la donna abbia esibito il suo documento all'agente della polfer. Ciò infatti è avvenuto in un momento successivo all'iniziale rifiuto con la conseguenza che il reato previsto dall'articolo 651 del codice penale si era già consumato.

venerdì 2 ottobre 2009

Un motivo in più per fare ricorso contro gli autovelox.

La conferma che per l'affidamento in concessione del servizio di rilevazione della velocità è necessario che si proceda con la relativa gara d'appalto arriva con la sentenza n. 38141/09 della Corte di cassazione e questa volta della sezione penale (la VI). Diversamente gli autovelox vanno sequestrati. La Corte infatti ha respinto il ricorso di un Comandante della polizia municipale indagato per abuso d'ufficio e turbata libertà degli incanti.
Secondo la Corte la "circostanza che il contratto di affidamento del servizio sia stato stipulato prima ancora che si concludesse la procedura di aggiudicazione della gara è sintomo univoco che questa era stata orientata verso un obiettivo prestabilito, con palese lesione del principio della libera concorrenza".
Il sequestro degli autovelox era scattato lo scorso gennaio. Inutilmente il Comandante si è rivolto alla suprema Corte perchè gli Ermellini hanno respinto il ricorso evidenziando come "l'ordinanza impugnata dà conto in maniera adeguata e logica delle ragioni che legittimano la riducibilità dei fatti prospettati dall'accusa nel paradigma dei reati di turbata libertà degli incanti e di abuso d'ufficio".
Un motivo in più ora per fare ricorso avverso le multe al c.d.s. ed in particolare gli accertamenti con gli autovelox.

giovedì 1 ottobre 2009

Sentenza sull'omissione di soccorso.

Bhè non può che essere condivisa la sentenza della Corte di cassazione con la quale ha stabilito che anche i passeggeri che si trovano a bordo di un veicolo che ha causato un incidente hanno l'obbligo di prestare soccorso a chi è stato investito.
Per la Corte non importa essere alla guida: chi scappa è comunque un pirata della strada e va sanzionato per omissione di soccorso. La decisione della Quarta sezione penale (sentenza n. 37455/2009) si riferisce al caso di due ragazzi che erano al bordo di un motorino insieme ad un'altro loro amico che era alla guida. Durante il percorso avevano investito una donna provocandone la morte. I ragazzi erano caduti, ma rialzatisi anzichè prestare soccorso alla donna erano fuggiti. Se contro il conducente veniva avviato un procedimento per omicidio colposo per i due passeggeri si era ipotizzata l'accusa di omissione di soccorso. La sezione minorenni della Corte d'appello di Napoli aveva concesso ai due ragazzi il perdono giudiziale ma la loro difesa, contro questa condanna "morale", aveva fatto ricorso in Cassazione sostenendo che "viaggiando come passeggeri a bordo del mezzo non potevano prevedere che si potesse verificare l'evento comunque ricollegabile al comportamento di chi stava alla guida". La Corte ha respinto i ricorsi dei due ragazzi facendo rilevare che gli stessi viaggiavano con un terzo amico "ben sapendo che la loro presenza comprometteva di molto le condizioni di stabilità del motoveicolo, rendendole precarie". Inoltre "dandosi alla fuga e non fermandosi per prestare assistenza all'investita, si erano resi colpevoli, anche se sono stati perdonati, delle ipotesi di reato previste dall'art. 189 del Cds". Nella sentenza la Cassazione richiama anche le testimonianze rese secondo cui i due passeggeri "erano caduti sopra il corpo dell'investita ed uno dei due era salito sul ciclomotore ed era scappato. Quindi non potevano non essersi resi conto che la donna urtata aveva riportato danni alla persona". Piazza Cavour ha dunque insistito sul fatto che i passeggeri "si dovevano fermare per verificare se" la donna investita "avesse bisogno di soccorso. E invece si sono allontanati". Di quì l'ipotesi di reato prevista dall'189 Cds. che punisce appunto l' omissione di soccorso.