sabato 17 ottobre 2009

Il Garante ha stabilito di rendere disponibile la registrazione di un colloquio telefonico.

Il Garante per la protezione dei dati personali (Comunicato del 9 ottobre 2009) ha stabilito che la registrazione di un colloquio telefonico che comporta l'attivazione di un nuovo servizio commerciale deve essere resa disponibile all'interessato che ne faccia richiesta e che non è sufficiente che l'azienda fornisca la sola trascrizione dei contenuti della conversazione. L’Autorità ha quindi evidenziato che anche suoni e le immagini costituiscono dati personali rispetto ai quali gli interessati possono far valere i diritti loro riconosciuti dalla normativa in materia di privacy. Conseguentemente, il diritto di accesso ai dati personali contenuti nel cd. verbal ordering non può ritenersi pienamente soddisfatto dall’azienda dalla sola trasposizione del contenuto giacchè solo la registrazione consente di accedere al dato vocale. L'Autorità ha quindi ordinato al gestore di mettere a disposizione del ricorrente la registrazione del colloquio telefonico.

domenica 11 ottobre 2009

Una sentenza discutibilissima.

Discutibile o almeno non condivisibile parzialmente la sentenza n. 799/09 della Commissione Tributaria provinciale di Lecce che accogliendo il ricorso di un proprietario di un albergo ha sostenuto che non ci devono essere disparità nelle tasse (tarsu) tra chi possiede una civile abitazione ed una struttura ricettiva.
Io ritengo che contrariamente a quanto sostenuto da alcuni organi di stampa non ci possa essere alcun terremoto negli enti locali da questa sentenza poichè sarà senz'altro impugnata nel caso di specie dal Comune di Gallipoli e disapllicata dai restanti Comuni.
Argomento del giorno è l'art. 68 del decreto legislativo 507/93 la tarsu e il regolamento comunale.
La norma di legge a ben vedere impone si ai Comuni di stabilire con regolamento la classificazione delle categorie sottoposte alla misura tariffaria ma detta "criteri di massima".
Pertanto i Comuni hanno la possibilità di derogare al detto criterio fissato dal legislatore.
Il tutto ovviamente motivando la differenziazione della tariffa.
E nel caso di specie è la "giusta" motivazione che è mancata e ad indurre la Commissione tributaria ad accogliere il ricorso del contribuente proprietario di un albergo.
Infatti per quanto riguarda le strutture ricettive turistiche (alberghi e ristoranti) ritengo non sia possibile prendere in considerazione per la tassazione dei rifiuti (tarsu) la metratura come avviene per le civili abitazioni.
Un solo esempio dovrebbe far riflettere quei giudici: un ristorante di appena 50 mq con spazio all'aperto di 100 mq può mai produrre gli stessi rifiuti di una civile abitazione degli stessi 50 mq.

venerdì 9 ottobre 2009

Annullato il licenziamento contestato in ritardo.

Interessante la sentenza n. 21221/09 della Corte di cassazione, sezione Lavoro, che ha stabilito che può essere annullato il licenziamento contestato in ritardo dall'azienda senza un motivo plausibile.
Gli Ermellini sottolineano che “la sentenza di questa Corte 14.4.2005 n. 7729, accogliendo il terzo motivo del ricorso allora in discussione, osservava che ‘nel licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura come elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessiva della struttura organizzata dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o mento il ritardo”.

I disabili devono pagare il parcheggio nelle aree blu.

Ecco quando succedono fatti come questi si evince la carenza delle leggi italiane.
Ebbene la Corte di Cassazione II sezione civile con la discutibile sentenza n. 21271/09 ha stabilito che devono pagare il ticket i disabili che parcheggiano nelle strisce blu e ciò anche se non hanno trovato posto negli spazi loro riservati.
Ma non sarebbe sufficiente esporre sul parabrezza il contrassegno o l'autorizzazione prevista per i disabili e al massimo accertare che l'autovettura sia davvero di un disabile?
Ebbene gli Ermellini hanno invece evidenziato che “(…) gli artt. 188, comma 3, c.d.s. e 11, comma 1, d.P.R. n. 503/1996, cit., prevedono per i titolari del contrassegno l’esonero, rispettivamente, dai limiti di tempo nelle aree di parcheggio a tempo determinato e dai divieti e limitazioni della sosta disposti dall’autorità competente; l’obbligo del pagamento di una somma è, invece, cosa diversa dal divieto o limitazione della sosta, come del resto è confermato dall’art. 4, comma 4, lett. d), c.d.s. (per il quale l’ente proprietario della strada può ‘vietare o limitare o subordinare al pagamento di una somma il parcheggio o la sosta dei veicoli’) che li considera alternativi”.
La Corte ha poi affermato che “né ha fondamento invocare a sostegno di una diversa interpretazione, come fa il ricorrente, l’esigenza di favorire la mobilità delle persone disabili . Dalla gratuità – anziché onerosità come per gli altri utenti – della sosta deriva, infatti, un vantaggio meramente economico, non un vantaggio in termini di mobilità, la quale è favorita dalla concreta disponibilità – piuttosto che dalla gratuità – del posto dove sostare; sicché, anche in caso di disponibilità dei posti riservati ai sensi dell’art. 11, comma 5, d.P.R. n. 503/1996, invocato dal ricorrente, non vi è ragione di consentire, in mancanza di previsione normativa, la sosta gratuita alla persona disabile che abbia trovato posto negli stalli a pagamento”.
Non condivido del tutto questa sentenza.

giovedì 8 ottobre 2009

Ancora sul sequestro preventivo dell'autoveicolo.

Il comproprietario dell'autovettura sequestrata ex art. 186 comma 2 Codice della Strada non ha diritto alla restituzione del veicolo, in quanto la misura cautelare reale è finalizzata alla confiscabilità della quota di proprietà dell'imputato, da considerarsi finalità ammissibile, la quale richiede il mantenimento del sequestro al fine di evitare che il bene sia disperso e che ritornato nella disponibilità dei comproprietari possa essere nuovamente usato dal soggetto che è stato trovato alla guida in stato di alterazione alcolica, situazione che la norma in oggetto intende prevenire; in ogni caso, il comproprietario non imputato potrà rivalersi sul prezzo ricavabile dalla vendita dell'autovettura. Di seguito la sentenza n. 28189/09.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RIZZO Aldo Sebastian Presidente Dott. CAMPANATO Graziana Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe " Dott. GALBIATI Ruggero " Dott. MARESCA Mariafrancesca "
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) X.Y., N. IL (omissis);
avverso ordinanza del 29/12/2008 Trib. Libertà di Cagliari;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CAMPANATO GRAZIANA;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. D'ANGELO Giovanni, che ha chiesto
il rigetto del ricorso.
OSSERVA

Il (omissis) veniva fermato dai carabinieri di Iglesias in località (omissis) alla guida dell'auto (omissis) tg. (omissis) e, sottoposto a controllo alcolimetrico, risultava in stato di ebbrezza alcolica (2,23 g/l alle ore 23,46 e 2,16 g/l alle ore 00,02). Il veicolo veniva sottoposto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria sancita dall'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), come modificato ed integrato dalla L. n. 125 del 2008. Detto sequestro veniva convalidato e tempestivamente reiterato dal GIP di Cagliari.

Con istanza 6.11.08 X.Y., moglie del (omissis) chiedeva la restituzione dell'autovettura, rivendicandone l'esclusiva proprietà e - comunque - contestando la sequestrabilità della medesima anche se ritenuta di proprietà comune con il marito.
Il GIP suddetto respingeva l'istanza ed in sede d'appello ex art. 322 bis c.p.p. il Tribunale di Cagliari confermava tale decisione, ribadendo che dal certificato di proprietà l'autovettura risultava appartenere ad entrambi i coniugi ed il fatto che la X.Y. avesse contratto un finanziamento per acquistarla non ne dimostrava la proprietà esclusiva. Dava atto che l'istante era estranea al reato e che quindi la sua quota di proprietà non poteva essere sacrificata, ma ciò non impediva di mantenere il sequestro al fine di confiscare la quota spettante all'imputato con la conseguente vendita dell'autovettura sul cui prezzo la X.Y. avrebbe potuto soddisfare il proprio diritto di comproprietaria.
Avverso questo provvedimento l'interessata ha proposto ricorso per cassazione deducendo inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p. e dell'art. 186 C.d.S., ribadendo la sua estraneità al reato e di conseguenza, in forza dell'esclusivo titolo di proprietà, l'illegittimità del sequestro.
Parimenti dovrebbe considerarsi annullabile il provvedimento in considerazione del titolo riconosciuto di comproprietà in forza anche della giurisprudenza di questa corte.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso è infondato.
Due sono le questioni proposte ed entrambe riguardano la non confiscabilità, e dunque la non sequestrabilità, dell'autovettura.
Secondo la prima questione la X.Y. sarebbe esclusiva proprietaria del mezzo perché avrebbe provveduto al pagamento della medesima attraverso un finanziamento.
Correttamente i giudici di merito hanno osservato che i coniugi sono in regime patrimoniale di comunione di beni e che l'autovettura è stata intestata ad entrambi, come risulta dal certificato di proprietà, per cui nessun elemento dimostra l'esclusività della proprietà a favore della ricorrente, non essendo certamente sufficiente che la medesima abbia ottenuto il finanziamento per il pagamento del bene.
Secondo la seconda questione poiché il bene non è divisibile non potrebbe essere sacrificato il diritto di comproprietà a vantaggio della confiscabilità.
Il Tribunale di Cagliari afferma correttamente che il diritto della X.Y. va salvaguardato, trattandosi di comproprietaria estranea al reato, ma ciò comporta che il sequestro dell'autovettura è finalizzato alla confiscabilità della quota di proprietà dell'imputato, finalità ammissibile che richiede il mantenimento del sequestro al fine di evitare che il bene sia disperso e che ritornato nella disponibilità dei coniugi possa essere nuovamente usato dal soggetto che è stato trovato alla guida in stato di alterazione alcolica, situazione che la norma in oggetto intende prevenire.
Il tribunale ha anche indicato il rimedio per la salvaguardia del valore della quota del bene a favore della X.Y. che potrà rivalersi sul prezzo ricavabile dalla vendita dell'autovettura.
Ciò premesso, il ricorso va rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2009.

Interessante sentenza sul sequestro preventivo dei veicolo.

L'art. 186, comma 2, del C.d.S. consente il sequestro preventivo - e la conseguente confisca - del veicolo in comproprietà, in quanto la norma esclude soltanto la confisca di veicolo appartenente ad un terzo, in ragione della tutela del suo diritto di proprietà, e del fatto che la presunzione assoluta di pericolosità derivante dall'uso del veicolo può risultare attenuata solamente in tale ultimo caso, mentre in caso di comproprietà, la presunzione medesima rimane integra. Di seguito la sentenza n. 24015/09.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri: Dott. MOCALI PIETRO Presidente Dott. CAMPANATO GRAZIANA Consigliere Dott. BRUSCO CARLO GIUSEPPE " Dott. MASSAFRA UMBERTO " Dott. MARESCA MARIAFRANCESCA "

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso presentato da:
1) X.Y. n. il XX/XX/19XX

avverso ordinanza del 22/09/2008 Trib. Libertà di Latina

sentita la relazione fatta dal Consigliere BRUSCO CARLO GIUSEPPE
sentite le conclusioni del P.G. Dr. AURELIO GALASSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte osserva:
1) X.Y. ha proposto ricorso avverso l'ordinanza 3 ottobre 2007 del Tribunale di Latina, sezione per il riesame delle misure cautelari reali, che ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso il 1° luglio 2008 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale ed avente ad oggetto un'autovettura a lui sequestrata.
Il Tribunale ha ritenuto legittimo il provvedimento emesso in relazione ad un procedimento per il reato di cui all'art. 186 del codice della strada (guida in stato di ebbrezza) rilevando come non fosse ostativa al sequestro preventivo la circostanza che l'autovettura fosse in comproprietà con altre persona (la madre del ricorrente) e che il fatto non poteva essere ritenuto occasionale essendo ciò escluso dall'elevato tasso alcolico rilevato.

2) A fondamento del ricorso si deduce, con il primo motivo, la violazione dell'art. 186 comma 2° del codice della strada e dell'art. 240 comma 2° cod. pen. perché il Tribunale non avrebbe considerato che il veicolo non era di proprietà esclusiva del ricorrente e l'interpretazione data dal Tribunale si porrebbe in contrasto con la lettera e la ratio della norma che prevede la confisca del veicolo.
Con il secondo motivo si deduce invece la violazione dell'art. 125 comma 3° c.p.p. perché il Tribunale non avrebbe considerato che si trattava di condotta occasionale e quindi difettavano le esigenze cautelari che peraltro non avrebbero potuto essere ravvisate nell'elevato tasso alcolico in mancanza di precedenti specifici.

3) Va preliminarmente rilevato che il sequestro preventivo in esame è stato disposto in base al nuovo testo dell'art. 186 comma 2° del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (codice della strada) modificato dall'art. 4 del d.1. 23 maggio 2008 n. 92 convertito, con modificazioni, nella 1. 24 luglio 2008 n. 125 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica).
Con questa modifica legislativa sono stati introdotti i seguenti periodi nel secondo comma dell'art. 186: "Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato."
Come è agevole verificare dal tenore della norma, si tratta di confisca obbligatoria: ciò risulta sia dalla terminologia utilizzata ("è sempre disposta") sìa dal richiamo al secondo comma dell'art. 240 cod. pen. che prevede, appunto, casi di confisca obbligatoria (in questo senso deve intendersi il richiamo all'art. 240: v. Cass., sez. IV, 11 febbraio 2009 n. 13831, Fumagalli, rv. 242479).
Dalla natura obbligatoria della confisca deriva un'importante conseguenza: che, nel caso di sequestro preventivo disposto ai sensi dell'art. 321 c.p.p., l'esistenza del periculum - cui l'emissione di tale misura cautelare reale è subordinata - è presunta per legge, con la conseguenza che non deve essere accertata caso per caso e che non può essere disposta (a meno che non vengano meno i presupposti per ritenere esistente il fumus) la restituzione del veicolo prima della sentenza definitiva (v. la già citata sentenza 13831/2009 nonché Cass., sez. fer., 28 agosto 2008 n. 36822, Simmerle, rv. 241269 - entrambe relative alla norma innovata del codice della strada - e in generale, precedentemente, Cass., sez. III, 6 aprile 2005, n. 17439, Amico, rv. 231516).

4) Ciò premesso, deve ancora osservarsi che il ricorso in cassazione contro le ordinanze del tribunale per il riesame, in materia di misure cautelari reali, è proponibile, per l'espresso disposto dell'art. 325 comma 1° c.p.p., solo "per violazione di legge". Ciò vale anche per l'ordinanza del tribunale che si pronunzi sulla richiesta di riesame del decreto del pubblico ministero, che abbia convalidato il sequestro operato dalla polizia giudiziaria, o sulla richiesta di riesame del sequestro disposto dall'autorità giudiziaria (v. artt. 355 c. 3° e 257 c.p.p. che rinviano entrambi all'art. 324 con la conseguente applicabilità dell'art. 325 in tema di ricorso in cassazione).
Ciò comporta in particolare, per quanto attiene ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, che con il ricorso in questa materia non sono deducibili tutti i vizi concernenti la motivazione del provvedimento impugnato previsti dall'art. 606, comma 1°, lett. e) del codice di rito, ma soltanto la mancanza assoluta, o materiale, della motivazione perché solo in questo caso può configurarsi la violazione di legge ed in particolare la violazione dell'art. 125 comma 3° c.p.p. che prescrive, a pena di nullità, l'obbligo di motivazione delle sentenze e delle ordinanze in attuazione del disposto dei commi 6° e 7° dell'art. 111 della Costituzione.
Tra i casi di mancanza assoluta della motivazione può certamente ricomprendersi anche il caso di motivazione meramente apparente o assolutamente inidonea a spiegare le ragioni addotte a sostegno dell' esistenza o meno dei presupposti per il mantenimento della cautela, Non possono invece formare oggetto di ricorso in cassazione le censure dirette ad evidenziare l'insufficienza, l'incompletezza, l'illogicità o la contradditorietà della motivazione.
La giurisprudenza di legittimità è univoca nel senso indicato: cfr. da ultimo Cass., sez. V, 11 gennaio 2007 n. 8434, Ladiana, rv. 236255; sez. III, 5 maggio 2004 n. 26853, Sainato, rv. 228738, sez. un. 28 gennaio 2004 n. 5876, Bevilacqua, rv. 226710.
Alla luce di questo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (che nel ricorso neppure viene posto in discussione) se anche la censura rivolta dal ricorrente all'ordinanza impugnata con il secondo motivo di ricorso, relativo alle esigenze cautelari, fosse da ritenere ammissibile (sotto il profilo della necessità di accertare in concreto l'esistenza del periculum anche nel caso di confisca obbligatoria) la censura sarebbe comunque inammissibile essendo rivolta all'accertamento di un vizio relativo alla motivazione che, nel nostro caso, non può essere ritenuta mancante.

5) E' invece infondato il primo motivo di ricorso che si riferisce all'interpretazione della norma innovata di cui al comma 2° dell'art. 186 in precedenza riportata e che, secondo il ricorrente, non consentirebbe la confisca - e quindi il sequestro preventivo - nei caso di veicolo in comproprietà.
La tesi è infondata perché la lettera della norma non autorizza questa interpretazione, sembrando al contrario escludere la confisca di veicolo appartenente ad un terzo per la tutela del suo diritto di proprietà.
Ma la tesi risulta in particolare infondata ove si consideri quale è la ratio della norma: solo nel caso di appartenenza integrale del veicolo ad un terzo la presunzione assoluta di pericolosità derivante dall'uso del veicolo può risultare attenuata mentre, in caso di comproprietà, la presunzione medesima rimane integra.
Resta il problema delia legittimità del sequestro (e della successiva eventuale confisca) della quota appartenente al terzo. Ma, su questo aspetto, il ricorrente è privo di interesse a richiedere l'annullamento del provvedimento impugnato, o la restituzione del bene, unico legittimato essendo il comproprietario del veicolo.

6) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
la Corte Suprema di Cassazione, Sezione IV penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il giorno 6 maggio 2009.

Il presidente
Dr. Piero Mocali


Il Consigliere Relatore
Dr. Carlo Brusco

Depositato in cancelleria il giorno 11 giugno 2009.

mercoledì 7 ottobre 2009

Interessante sentenza sul riconoscimento delle infermità.

Una precedente Sentenza della Corte dei Conti già riconosceva la riduzione delle difese immunitarie a causa dello stress sul lavoro (eccessiva responsabilità, ritmi lavorativi incongrui, sovraccarico di lavoro da eseguire in un arco di tempo strettamente prestabilito, ecc. ….): in particolare si trattava di un giovane videoterminalista che aveva contratto una patologia tumorale, anche per la prolungata esposizione del torace alla macchina videoterminale.

La vicenda che oggi diffondo grazie a Massimo Cassiano è, per certi versi, sovrapponibile e riguarda (con buona pace del Ministro Brunetta) un magistrato della Corte dei Conti, Presidente di Sezione, che, avendo assolto per anni ad un incredibile carico di doveri e responsabilità, ha contratto una infermità epatica che lo ha portato ad una morte fulminante!

La Sentenza, dopo aver minuziosamente riportato tutta la vicenda processuale (i fatti si riferiscono agli anni 1993 – 1999) riconosce che:

“Come evidenziato dal perito di parte, la vita professionale del dott. A.V., presidente di sezione della Corte dei Conti, rappresenta un esempio di abnegazione al dovere portata fino all’estremo sacrificio, il che porta a ritenere verosimile che la morte del magistrato sia stata, se non direttamente determinata, quanto meno anticipata e favorita dagli eventi stressanti che hanno caratterizzato il suo incarico ….”.

“A titolo di esempio, nell’anno 1995, il Presidente V. scrisse circa 400 sentenze oltre a presiedere tutte le udienze in calendario presso la Sezione de L’Aquila.

Dal 1996 al 1999 la Sezione Giurisdizionale per il Veneto ha tenuto 153 udienze, di cui 121 presiedute dal dott. V., e sono state emesse 3.768 pronunce, di cui 1.549 redatte dal Presidente V.

A ciò deve aggiungersi il disagio derivante dall’espletare il servizio in regioni con stagioni invernali particolarmente fredde, come l’Abruzzo ed il Veneto, dai frequenti spostamenti, dai pasti consumati fuori casa.

La perizia di parte ha specificato come i fattori psicologici possono influenzare il modo di reagire dell’organismo, associarsi fra di loro, slatentizzare una patologia e diventare essi stessi causa di malattia, il che è ormai considerato più un dato di fatto che una mera ipotesi”.

sabato 3 ottobre 2009

Altra tiratina d'orecchi a chi non da la precedenza ai pedoni in prossimità delle strisce pedonali

Una vera e propria 'tirata di orecchie' arriva dalla Corte di Cassazione nei confronti di quegli automobilisti che non danno la precedenza ai pedoni che attraversano sulle strisce pedonali.
Si tratta di un comportamento 'incivile' sottolinea la Corte ricordando che mentre si è alla guida di un'autovettura si è sempre obbligati a dare la precedenza ai pedoni in transito sulla segnaletica orizzontale loro dedicata.
Non si tratta dunque di un atto discrezionale dell'automobilista che deve sempre fermarsi. Sulla scorta di tale principio la Corte con la sentenza n.20949/09 ha accolto il ricorso dei tre figli di una donna investita sulle strisce da un motociclista e morta poco dopo per le gravi lesioni craniche.
I giudici di merito avevano attribuito il 30% della colpa dell'incidente alla donna che aveva attraversato la strada frettolosamente e senza guardare se stessero sopraggiungendo delle vetture. Il danno riconosciuto ai prossimi congiunti era stato quindi limitato nella misura del 70% del totale. La Cassazione su ricorso dei prossimi congiunti ha considerato inaccettabile un simile ragionamento. "A meno di riguardare l'attraversamento sulle strisce di una strada come un impegnativo momento di valutazioni di velocità e intenzioni altrui - si legge in sentenza -, occorre che ogni conducente, nell'approssimarsi alle strisce pedonali, ancora più se queste si trovino, come nella specie, in una zona centrale di una città, abbia la chiara consapevolezza che deve non solo dare la precedenza, ma anche tenere un comportamento idoneo ad ingenerare nel pedone la sicurezza che possa attraversare senza rischi".

Mano pesante della Corte di cassazione per chi non fornisce le proprie generalità ai controllori del treno

La prima sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n.38389/2009) ha stabilito che il controllore del treno deve considerarsi un "pubblico ufficiale" e che, pertanto, non ci si può rifiutare di fornire le generalità quando vengono richieste. Nel caso esaminato da Piazza Cavour una signora che aveva dimenticato di timbrare il biglietto aveva anche rifiutato di fornire al capotreno il suo documento di identità. Ne era scaturita una doppia sanzione ed il caso era finito nelle aule di giustizia. Della vicenda veniva interessata anche la Cassazione dove la donna ha sostenuto che il capotreno non poteva considerarsi pubblico ufficiale vista la trasformazione delle ferrovie dello Stato in società per azioni. La stessa aveva fatto anche rilevare che in ogni caso la consegna dei documenti era avvenuta davanti ad un agente della Polfer. Gli Ermellini nella parte motiva della sentenza hanno ricordato che anche "dopo la trasformazione dell'Ente Ferrovie dello Stato in societa' per azioni, gli addetti alle Ferrovie dello Stato, che come il capotreno-controllore dei biglietti provvedono alla constatazione dei fatti e alle relative verbalizzazioni nell'ambito di attivita' di prevenzione e accertamento delle infrazioni relative ai trasporti, sono pubblici ufficiali in quanto muniti di poteri autoritativi e certificativi e svolgenti una funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico''. Secondo i giudici del palazzaccio poco importa che la donna abbia esibito il suo documento all'agente della polfer. Ciò infatti è avvenuto in un momento successivo all'iniziale rifiuto con la conseguenza che il reato previsto dall'articolo 651 del codice penale si era già consumato.

venerdì 2 ottobre 2009

Un motivo in più per fare ricorso contro gli autovelox.

La conferma che per l'affidamento in concessione del servizio di rilevazione della velocità è necessario che si proceda con la relativa gara d'appalto arriva con la sentenza n. 38141/09 della Corte di cassazione e questa volta della sezione penale (la VI). Diversamente gli autovelox vanno sequestrati. La Corte infatti ha respinto il ricorso di un Comandante della polizia municipale indagato per abuso d'ufficio e turbata libertà degli incanti.
Secondo la Corte la "circostanza che il contratto di affidamento del servizio sia stato stipulato prima ancora che si concludesse la procedura di aggiudicazione della gara è sintomo univoco che questa era stata orientata verso un obiettivo prestabilito, con palese lesione del principio della libera concorrenza".
Il sequestro degli autovelox era scattato lo scorso gennaio. Inutilmente il Comandante si è rivolto alla suprema Corte perchè gli Ermellini hanno respinto il ricorso evidenziando come "l'ordinanza impugnata dà conto in maniera adeguata e logica delle ragioni che legittimano la riducibilità dei fatti prospettati dall'accusa nel paradigma dei reati di turbata libertà degli incanti e di abuso d'ufficio".
Un motivo in più ora per fare ricorso avverso le multe al c.d.s. ed in particolare gli accertamenti con gli autovelox.

giovedì 1 ottobre 2009

Sentenza sull'omissione di soccorso.

Bhè non può che essere condivisa la sentenza della Corte di cassazione con la quale ha stabilito che anche i passeggeri che si trovano a bordo di un veicolo che ha causato un incidente hanno l'obbligo di prestare soccorso a chi è stato investito.
Per la Corte non importa essere alla guida: chi scappa è comunque un pirata della strada e va sanzionato per omissione di soccorso. La decisione della Quarta sezione penale (sentenza n. 37455/2009) si riferisce al caso di due ragazzi che erano al bordo di un motorino insieme ad un'altro loro amico che era alla guida. Durante il percorso avevano investito una donna provocandone la morte. I ragazzi erano caduti, ma rialzatisi anzichè prestare soccorso alla donna erano fuggiti. Se contro il conducente veniva avviato un procedimento per omicidio colposo per i due passeggeri si era ipotizzata l'accusa di omissione di soccorso. La sezione minorenni della Corte d'appello di Napoli aveva concesso ai due ragazzi il perdono giudiziale ma la loro difesa, contro questa condanna "morale", aveva fatto ricorso in Cassazione sostenendo che "viaggiando come passeggeri a bordo del mezzo non potevano prevedere che si potesse verificare l'evento comunque ricollegabile al comportamento di chi stava alla guida". La Corte ha respinto i ricorsi dei due ragazzi facendo rilevare che gli stessi viaggiavano con un terzo amico "ben sapendo che la loro presenza comprometteva di molto le condizioni di stabilità del motoveicolo, rendendole precarie". Inoltre "dandosi alla fuga e non fermandosi per prestare assistenza all'investita, si erano resi colpevoli, anche se sono stati perdonati, delle ipotesi di reato previste dall'art. 189 del Cds". Nella sentenza la Cassazione richiama anche le testimonianze rese secondo cui i due passeggeri "erano caduti sopra il corpo dell'investita ed uno dei due era salito sul ciclomotore ed era scappato. Quindi non potevano non essersi resi conto che la donna urtata aveva riportato danni alla persona". Piazza Cavour ha dunque insistito sul fatto che i passeggeri "si dovevano fermare per verificare se" la donna investita "avesse bisogno di soccorso. E invece si sono allontanati". Di quì l'ipotesi di reato prevista dall'189 Cds. che punisce appunto l' omissione di soccorso.

Sentenza che condivido.

Anche se l’istanza che giustifica l’assenza del difensore per legittimo impedimento viene presentata via fax il giorno stesso dell’udienza, il giudice ha l’obbligo di esaminarla. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 37535/2009) osservando che “a fronte di una richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore, il giudice del dibattimento può accoglierla o respingerla, valutando se le ragioni addotte integrino gli estremi dell’assoluta impossibilità a comparire, ex art. 420 ter, comma 5, c.p.p. ma non può esimersi dal valutare l’istanza medesima, una volta che ne sia venuto a conoscenza. Il fatto che la comunicazione a mezzo fax non sia prevista specificamente dalla legge per il deposito delle istanze, espone il richiedente al rischio dell’intempestività nel caso la medesima istanza non venga portata a conoscenza del giudice, ma non rende la medesima nulla o inesistente”.
La Corte ha quindi precisato che “la segnalazione di un impedimento del difensore di fiducia con contestuale richiesta di rinvio, spedita via fax ai sensi dell’art. 150 cod. proc. pen. pervenuta alla cancelleria prima dell’inizio dell’udienza ma trasmessa al giudice dopo la celebrazione del dibattimento, non costituisce motivo di nullità della sentenza in quanto la scelta di un mezzo tecnico non previsto specificamente dalla legge per il deposito delle istanze, ai sensi dell’art. 121 cod. proc. Pen., espone il richiedente al rischio dell’intempestività con cui l’atto può pervenire alla conoscenza del giudice (..). Da tale orientamento giurisprudenziale si deduce che, ove l’istanza, spedita a mezzo fax, sia pervenuta prima dell’inizio dell’udienza, il giudice del dibattimento sia giustificato, non essendo ciò avvenuto, nel caso di specie si è verificata una violazione del diritto all’assistenza dell’imputato, con la conseguente nullità dell’ordinanza che ha disposto la prosecuzione del giudizio e di tutti gli atti successivi”.

Una sentenza che dovrebbe essere secondo me estesa anche per le altre circostanze.

Con la sentenza n.20611 del 24 settembre 2009 la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito che è illegittima la decurtazione dei punti dalla patente di guida a colui che ha noleggiato un’automobile, se non è stato confermato dall’agente di polizia che era proprio lo stesso soggetto alla guida dell’automobile noleggiata. La Corte ha così accolto il ricorso proposto dal ricorrente “per difetto di motivazione in punto di individuazione del conducente del veicolo”. Il primo grado, il giudice di pace, su ricorso proposto dal ricorrente, aveva ritenuto correttamente operata la contestazione e legittimamente disposta la sospensione della patente e la decurtazione dei punti, dovendosi ritenere l’opponente, quale utilizzatore del veicolo noleggiato, anche conducente al momento dell’accertamento. “In mancanza di un accertamento in ordine alla circostanza relativa alla individuazione concreta del conducente del veicolo al momento della infrazione, la relativa opposizione – ha stabilito la Corte - doveva essere accolta”. Secondo gli Ermellini, infatti, essere l’utilizzatore del veicolo (per averlo noleggiato), “non determina automaticamente, come sembra aver ritenuto il giudicante, che egli fosse anche alla guida del veicolo”.

Interessante sentenza sulle offese e ingiurie durante le arringhe.

Via libera dalla Cassazione alle offese durante le arringhe degli avvocati. Lo stabilisce la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 35880/2009) secondo cui le arringhe animate e a tratti offensive devono considerarsi lecire giacché servono al legale per sostenere una “strategia difensiva”. La Corte ha osservato peraltro che “per il riconoscimento della c.d. ‘immunità giudiziale’, prevista dall’art. 598 c.p., è necessaria l’esistenza di un nesso logico tra le offese e l’oggetto della causa, donde solo gli insulti del tutto estranei a detto oggetto vengono ad integrare i reati di ingiuria o di diffamazione. Ciò premesso, deve rilevarsi che il decidente ha argomentato come nella specie le frasi pronunciate dall’avvocato, nel corso dell’arringa difensiva – lungi dal rivelarsi gratuite – si ponevano in rapporto di strumentalità con la tesi della difesa e pertanto rientravano nell’ambito di applicazione della scriminante in esame. E’ stato infatti osservato che le espressioni contestate – se pur offensive – facevano parte della strategia posta in essere dal difensore dell’imputata, la quale appariva tesa anche ‘a verificare ed a mettere in rilievo l’attendibilità della persona offesa’”.
“Trattasi – prosegue la Corte -, di considerazioni ragione in base alle quali il giudice di merito ha accertato, con apprezzamento coerente e quindi non censurabile in sede di legittimità, un collegamento logico-causale tra le offese pronunciate dal difensore e l’oggetto del procedimento”.

Decisione ineccepibile delle Sezioni Unite.

Giro di vite della Corte di Cassazione contro quei magistrati che non consentono ai difensori di seguire la propria linea difensiva e che anzi li invitano a tagliare l'arringa. D'ora in avanti si corre il rischio di pesanti sanzioni disciplinari fino addirittura al trasferimento. La decisione che io condivisdo pienamente è delle Sezioni Unite Civili della Corte che hanno convalidato la sanzione disciplinare del trasferimento inflitta a un magistrato del Tribunale di Ancona, che aveva tenuto "comportamenti abitualmente e gravemente scorretti nei confronti dei difensori, invitandoli a rassegnare le conclusioni per poi dichiarare inammissibile o improcedibile la domanda".
La suprema Corte (sentenza 20730/2009) ha evidenziato che il comportamento del magistrato aveva determinato una grande persistente tensione con il foro di Ancona. Ne era scaturita una decisione del Cconsiglio Superiore della Magistratura che nel gennaio del 1009 aveva inflitto al togato la sanzione della censura e il trasferimento ad altra sede. Il Magistrato ha tentato di difendersi sostenendo che tensioni non c'erano nel foro di Ancona ma che l'ostilità nei suoi confronti proveniva da un solo avvocato. Gli ermellini che hanno respinto il ricorso hanno sottolineato come la sezione disciplinare del consiglio superiore della magistratura abbia "congruamente motivato la misura del trasferimento disciplinare in considerazione sia della natura degli illeciti accertati che si erano tradotti in un comportamento abitualmente e gravemente scorretto nei confronti delle parti e dei loro difensori, sia dal fatto che un tale esercizio delle funzioni giurisdizionali aveva determinato una situazione di grave conflittualita' del magistrato con il Foro di Ancona sicuramente pregiudizievole per il buon andamento dell'amministrazione della giustizia". La corte ha rilevato peraltro che le segnalazioni erano arrivate da diversi avvocati del foro e che si riferivano a più di 100 procedimenti civili.

sabato 26 settembre 2009

Interessante la sentenza 24.07.2009 n° 17355 della Cassazione in Sezioni Unite

In data 24 luglio 2009, le Sezioni Unite civili della Suprema Corte hanno depositato la decisione n. 17355 (Pres. Carbone, rel. Oddo), che appare di particolare importanza per il cospicuo contenzioso su cui va ad incidere nonché per i principi di diritto enunciati. La causa è stata decisa dalle Sezioni Unite attesa la particolare importanza della questione relativa “all'efficacia probatoria delle attestazioni contenute nel verbale di accertamento delle violazioni amministrative”.

In realtà, sulla questione il Plenum era già intervenuto, con la decisione n. 12545 del 1992 che viene ora ribadita obliterando la giurisprudenza più recente che dalla stessa si era discostata. Il punctum pruriens involgeva la ammissibilità o non, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, di contestazioni involgenti i fatti della violazione attestati nel verbale come percepiti direttamente o indirettamente dal pubblico ufficiale e, così, la possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione.

Le Sezioni Unite, disattendendo alcune più recenti aperture, opta per l’orientamento più rigoroso, reintroducendo, dunque, di fatto, un ricorso più “indotto” all’istituto della querela di falso.

Secondo i giudici della nomofilachia, la correlazione tra il dovere di menzionare nel verbale in modo preciso e dettagliato, anche se sommario, l'elemento fattuale delle violazione e l'efficacia che l'art. 2700 c.c., attribuisce ai fatti che il Pubblico ufficiale attesta nell'atto pubblico essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti comportano che tale efficacia concerna inevitabilmente tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alle violazioni menzionate nell'atto indipendentemente dalle modalità statica o dinamica della loro percezione, fermo l'obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le particolari condizioni soggettive ed oggettive dell'accertamento, giacché egli deve dare conto nell'atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l'attestazione.

L'approccio alla questione relativa all'ammissibilità della contestazione e della prova nel giudizio di opposizione alla ordinanza-ingiunzione non va conseguentemente condotto con riferimento alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente o indirettamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione, ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall'accertamento, quali l'identificazione dell'autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell'elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità ovvero rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (ad esempio, tra numero di targa e tipo di veicolo al quale questa è attribuita). Ogni diversa contestazione va, invece, svolta nel procedimento di querela di falso che consente di accertare senza preclusione di alcun mezzo di prova qualsiasi alterazione nell'atto pubblico, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti o del loro effettivo svolgersi .

La materia, in conclusione, viene plasmata come da tavole sinottiche che seguono.

Giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione del pagamento di una sanzione amministrativa

Ammessa contestazione e prova

- Circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale

- Circostanze di fatto della violazione rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (es. targa rilevata dall’accertatore non attribuibile al tipo di veicolo indicato nel verbale dal Pubblico ufficiale)

Necessaria Querela di falso

- Circostanze di fatto della violazione che sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale

- Ogni questione concernente l’alterazione del verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realità degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti, come accertati dal pubblico ufficiale


Circostanze che esulano dall'accertamento:

· l'identificazione dell'autore della violazione e la sua capacità
· la sussistenza dell'elemento soggettivo
· la sussistenza di cause di esclusione della responsabilità

Interessante sentenza sulla validità della delibera e spese proprie dell'amministratore di condominio.

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 18192 del 10 agosto 2009, ha stabilito alcuni punti fermi in tema di impugnabilità di delibere condominiali. In primo luogo, i giudici di legittimità hanno affermato il principio di diritto, in base al quale deve considerarsi nulla, e non semplicemente annullabile, la delibera dell'assemblea di condominio che ratifichi ed approvi una spesa del tutto estranea alla gestione condominiale, come, con riferimento al caso di specie, gli esborsi relativi ad un'utenza telefonica privata dell'amministratore ovvero all'acquisto in proprio di una licenza software da parte dello stesso. Tale principio, la cui portata concreta va ravvisata nella conseguente impugnabilità in ogni tempo di una simile delibera assembleare, al di là del termine di decadenza altrimenti stabilito dall'art. 1137 c.c., opera peraltro indipendentemente dall'eventuale esiguità dell'importo della spesa oggetto di contestazione, anche in relazione al complessivo numero dei condòmini ed all'entità del bilancio consuntivo di cui si vada a discutere nell'ambito della medesima assemblea. Sotto un diverso profilo, con la medesima pronuncia i giudici della Cassazione hanno altresì riconosciuto la validità di ogni delibera condominiale, che, pur non indicando espressamente l'elenco dei condòmini che abbiano approvato la delibera stessa, riporti in maniera sufficiente i nominativi di tutti i condòmini presenti alla riunione, personalmente o a mezzo delega, nonché dei condòmini astenutisi o che abbiano manifestato voto contrario e delle rispettive quote millesimali, ritenendo che le suddette indicazioni consentano in ogni caso la verifica del raggiungimento dei quorum costitutivi e deliberativi richiesti dall'art. 1136 c.c. Le argomentazioni sviluppate dagli ermellini a sostegno di tale tesi muovono innanzitutto dal tenore letterale dell'art. 1136 c.c., testè citato, il quale dispone, al secondo, al terzo, al quarto, al quinto ed al settimo comma, per quanto qui interessa, che le deliberazioni delle assemblee dei condòmini debbono approvarsi con un numero di voti che rappresenti la maggioranza, semplice o qualificata, dei partecipanti al condominio intervenuti nella riunione e del valore dell'edificio, e che delle deliberazioni deve redigersi il verbale. La norma indicata, di contro, non prevede espressamente che, ai fini della validità delle deliberazioni adottate, debbano individuarsi, mediante riproduzione nel verbale, i nomi dei singoli partecipanti alla votazione, assenzienti e dissenzienti, ed i valori delle rispettive quote millesimali. Tuttavia, secondo l'insegnamento della Cassazione, il silenzio del legislatore sul punto non deve far dubitare circa il carattere essenziale dell'individuazione nel verbale assembleare dei partecipanti assenzienti e dissenzienti. Non si può trascurare, infatti, che nelle maggioranze richieste ai fini della validità dell'approvazione delle deliberazioni, nonché della costituzione stessa dell'assemblea, debbono essere computati, oltre all'elemento personale (il numero dei partecipanti al condominio), quello reale (la quota proporzionale dell'edificio espressa in millesimi); e che la legittimazione ad impugnare la delibera è riservata ai condomini dissenzienti o assenti. Peraltro i giudici di legittimità colgono l'occasione di precisare che l'identificazione dei condomini assenzienti e dissenzienti rileva anche ad altri effetti. In particolare, i condòmini debbono essere posti in grado di valutare l'esistenza di un eventuale conflitto di interessi, possibile solo previa individuazione dei soggetti che abbiano manifestato il voto. Sulla scorta di tali premesse, la sentenza in commento ha richiamato il costante orientamento interpretativo della Suprema Corte, che ritiene illegittima, tra l'altro, quella delibera che ometta di riprodurre nel verbale l'indicazione nominativa dei singoli condomini favorevoli e contrari e le loro quote di partecipazione al condominio, limitandosi a prendere atto del risultato della votazione, mediante l'espressione "l'assemblea, a maggioranza, ha deliberato" o altra locuzione analoga (cfr. Cass., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10329; Cass., sez. II, 29 gennaio 1999, n. 810), nonché la delibera il cui verbale contenga omissioni relative alla individuazione dei singoli condomini assenzienti, dissenzienti, assenti o al valore delle rispettive quote (in tal senso Cass., Sez. Un., 7 marzo 2005, n. 4806). Con riferimento al caso di specie, la Cassazione è invece giunta ad affermare la validità della delibera assembleare impugnata, in quanto contenente, come si era potuto pacificamente accertare nel corso dell'istruttoria, l'elenco dei condomini deleganti, con l'indicazione del nome del rappresentante di ciascuno e del valore delle rispettive quote; l'elenco dei condomini presenti, con i relativi millesimi; l'elenco nominativo di tutti i condomini che si erano astenuti e di coloro che avevano espresso voto contrario, e l'approvazione, con l'indicazione delle quote rappresentate dal totale sia degli astenuti che dei contrari; l'indicazione del numero dei condomini favorevoli e la relativa quota proporzionale dell'edificio espressa in millesimi.

(Autore: www.soluzionegiuridica.it)

Sentenza che fa giustizia al diritto del singolo cittadino.

La sentenza del T.a.r. del Lazio, la n. 8560/90, sarà destinata a far discutere ancor di più in Parlamento che non è in grado a questo punto di riconoscere quanto già previsto dalla Carta Costituzionale.
Ebbene il T.a.r. del Lazio ha stabilito che "I pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare non devono in ogni caso essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, possono, nel caso in cui loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti". I giudici del Tar aggiungono che il paziente "vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi". La sentenza è stata emessa su ricorso presentato dal Movimento difesa del cittadino (Mdc), difeso dall'Avv. Pellegrino di Lecce, in relazione alla direttiva del Ministero del welfare che aveva intimato a tutte le strutture del Ssn di impedire sempre l'interruzione dell'idratazione e alimentazione artificiali in pazienti in stato vegetativo permanente. Decisione che io non condividevo.
Ora la sentenza fissa il principio per cui la volontà del paziente va sempre rispettata in relazione al trattamento di alimentazione e idratazione artificiali.
Secondo il T.a.r. si tratta di questioni che coinvolgono il diritto di rango costituzionale quale è quello della libertà personale che l'articolo 13 della costituzione qualifica come inviolabile.

sabato 12 settembre 2009

Distacco illegittimo di linee telefoniche (Giudice di Pace di Bari Sentenza 2781/09)

La questione sottoposta al Giudicante, trae spunto dall’illegittimo comportamento delle compagnie telefoniche, nei confronti degli utenti, i quali si vedono distaccare la propria utenza telefonica, immotivatamente, privi di tutela effettiva. Nel caso di specie l’attore, dopo aver ricaricato la propria utenza mobile, per problemi di “contabilizzazione” della ricarica in capo al gestore, si è visto sospendere il servizio in essere. Il proponente, pertanto, richiedeva al Giudicante l’interpretazione, in proprio favore, dell’art. 1 della Legge 40/2007- Decreto Bersani-, secondo la quale “e' altresì vietata la previsione di termini temporali massimi di utilizzo del traffico o del servizio acquistato”. In ragione di ciò, riteneva che anche qualora il gestore non avesse “contabilizzato” la ricarica, sarebbe stato comunque illegittimo, che lo stesso continuasse a porre termini temporali alla scadenza del servizio (telefonico). Il Giudice, invece, ha ritenuto che la L. 40 è applicabile solo con riferimento a contratti tra consumatori e professionisti e non tra professionisti, come nel caso di specie, essendo la previsione normativa tesa alla realizzazione di “misure urgenti per la tutela dei consumatori”. Tuttavia, ha messo in evidenza un fatto comunque apprezzabile, ritenendo che l’utente possa, come nel caso di specie, anche a mezzo di prova testimoniale, avvalorare di aver effettuato la ricarica nei 12 mesi precedenti e pertanto, vantare l’inadempimento contrattuale nel sinallagma, da parte del gestore, con conseguente responsabilità del debitore (gestore), tenuto al risarcimento del danno nei confronti del creditore (utente). Un altro spunto che si trae dalla lettura della sentenza è che per individuare se trattasi di contratti in essere tra professionisti o consumatori, non serve valutare che forma di contratto è stata sottoscritta tra le parti (business o privata), ma l’effettivo uso che della utenza se ne faccia. L’attore, in questo caso, pur aver sottoscritto un contratto “privato”, nella pratica ne ha fatto un uso professionale. Dott. Maurizio Cardanobile –Presidente NoiconsumatoriBari
www.noiconsumatoribari.it
Cultore di diritto pubblico c/o l’Università degli Studi di Bari




Il testo della sentenza


Sent. 2781/09 del 27/03/2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace, Avv. M. Mazzei, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile, contrassegnata con il numero RG. 15046/2007, affari contenziosi civili, tra

XXXXXXXXXXXXXX

CONTRO

Vodafone Omnitel, in persona........

avente ad oggetto: inadempimento contrattuale - risarcimento danni-

conclusioni

all'udienza del 27 febbraio 2009, l'attore ha concluso, riportandosi ai propri scritti difensivi: (1. accertare il rapporto contrattuale esistente tra le parti; 2. dichiarare la convenuta inadempiente nei confronti dell'attore 3.ordianare l'immediato ripristino dell'utenza sospesa; 4. Condannare la convenuta alla restituzione del credito residuo, esistente sulla scheda, prima della sospensione del servizio, pari a circa € 100,00; 5. condannare la convenuta al risarcimento del danno subito, pari ad €. 2.200,00 o alla somma maggiore o minore, ritenuta di giustizia e/o equità, nei limiti della competenza del GdP. adito 6. inibire alla convenuta di riassegnare a terzi l'utenza indicata; 7. condannare la convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa). La convenuta ha concluso per il rigetto della domanda attorea.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'attore, dopo aver inutilmente interessato il Corecom ed espletato, con esito negativo, il tentativo obbligatorio di conciliazione, con atto di citazione, ritualmente notificato, conveniva in giudizio, innanzi l'ufficio del Giudice di Pace di Bari, la Vodafone Omnitel, in persona del legale rappresentante pro-tempore, per ivi sentire: (1. accertare il rapporto contrattuale esistente tra le parti; 2. dichiarare la convenuta inadempiente nei confronti dell'attore 3.ordinare l'immediato ripristino dell'utenza sospesa; 4. Condannare la convenuta alla restituzione del credito residuo, esistente sulla scheda, prima della sospensione del servizio, pari a circa € 100,00; 5. condannare la convenuta al risarcimento del danno subito, pari ad €. 2.200,00 o alla somma maggiore o minore, ritenuta di giustizia e/o equità, nei limiti della competenza del GdP. adito 6. inibire alla convenuta di riassegnare a terzi l'utenza indicata; 7. condannare la convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa.

L’attore assumeva di essere Presidente e legale rappresentante di una società iscritta al Roc e di occuparsi di progettare, realizzare e gestire servizi culturali, socio educativi, sanitari, nonché di pubblicare diverse riviste in ambito sociale; che per far fronte a tutte le esigenze lavorative, circa 7 anni fa, stipulava un contratto telefonico con il Gestore Vodafone; che tale numero telefonico veniva usato per lo svolgimento delle attività del Gruppo; che venivano investite ingenti somme di denaro al fine di stampare la brochure informative sull’attività dell’associazione, oltre che riviste, manifesti, biglietti da visita, sulle quali era riportato il detto numero di telefono; che l’utenza in questione veniva utilizzata, anche come numero di riferimento dei un’altra Associazione, di cui l’attore riveste, anche la Presidenza; che successivamente l’utenza veniva trasformata in “ricaricabile”, restando sempre di uso aziendale, a nome dell’amministratore; che nel mese di febbraio 2007 veniva effettuata una ricarica telefonica, per far fronte alle esigenze lavorative; che in data 11/08/2007, la Vodafone decideva, unilateralmente, di sospendere l’utenza, così procurando gravissimi disagi e grave nocumento all’attore; che le sollecitazioni epistolari non sortivano esito positivo.

Con comparsa di costituzione e risposta, depositata in data 15/02/2008, si costituiva la Vodafone che eccepiva la nullità dell’atto di citazione, poiché la copia notificata era priva della pagina n. 2, contenente l’esposizione dei fatti. Nel merito evidenziava che la convenuta ha agito nel rispetto delle condizioni generali del contatto, in virtù delle quali, se la sim card non viene utilizzata o ricaricata per un periodo superiore a dodici mesi, la scheda telefonica viene disattivata, fermo restando che il credito residuo può essere richiesto in restituzione a mezzo lettera racc. Né quindi, vi è stata violazione del decreto Bersani. Concludeva 1) nullità dell’atto di citazione 2) in subordine, per il rigetto della domanda attorea.

Revocata la contumacia della convenuta; disposta l’integrazione della domanda attorea, preso atto che la convenuta, in seguito all’integrazione della domanda ha provveduto a costituirsi con regolare mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta; ammesse le prove documentali in atti; espletata la prova testimoniale; preso atto della rinuncia esplicita al deferito interrogatorio formale del legale rappresentante pro tempore della Vodafone e della relativa accettazione, all’udienza del 27/02/2009, la causa è stata riservata per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La nullità dell’atto di citazione, sollevata dalla convenuta, conseguente alla notificazione dello stesso, privo della pagina numero due e l’eccezione di inammissibilità e/o inesistenza della costituzione della Vodafone, conseguente al “mandato allegato a mezzo di spille all’atto di costituzione…”, appaiono sanate alla luce dell’integrazione della domanda attorea della nuova costituzione della Vodafone. Il contratto stipulato tra le parti, non rientra tra quelli perfezionati tra professionista e consumatore. Invero, entrambi le parti hanno agito nell’esercizio delle rispettive attività imprenditoriali. L’attore, non riveste la qualità di consumatore, avendo stipulato il contratto, per la propria attività lavorativa, come dichiarato nell’atto di citazione (“che l’attore è Presidente, nonché legale rappresentante del xxxxxxxxxxxxx, iscritto al ROC -Registro degli Operatori della Comunicazione-, e si occupa di progettare, realizzare e gestire servizi culturali, socioeducativi e sanitari, nonché di pubblicare diverse riviste in ambito sociale; che per far fronte a tutte le esigenze lavorative, circa sette anni fa, stipulava un contratto telefonico con il Gestore Vodafone - Omnitel e, dunque, gli veniva assegnato il n. xxxxxxxxxxx; tale utenza diveniva fondamentale per lo svolgimento delle attività del Gruppo, infatti conteneva numeri telefonici importanti ed era usata quale numero di riferimento per la segnalazione di disservizi od inchieste che condotte sui giornali di proprietà dello stesso; che, pertanto, venivano investite ingenti somme di denaro al fine di stampare brochure informative sull’attività della associazione,oltre che riviste, manifesti, biglietti da visita, sulle quali era riportato detto numero al quale fare riferimento; che, invero, l’utenza in questione veniva utilizzata, altresì, come numero di riferimento del xxxxxxxxxxxx, di cui l’attore riveste la Presidenza”.

Pertanto, non sono applicabili, nel caso di specie, le norme poste a tutela del consumatore, poiché l’attore ha stipulato il contratto di fonia mobile, non in veste di consumatore, ma in veste di imprenditore e per il raggiungimento di scopi propri dell’attività imprenditoriale svolta.

La domanda merita accoglimento parziale e nei termini che seguono. E’ provato, né è in contestazione che l’attore ha stipulato un contratto telefonico con la Vodafone;che gli è stato assegnato un numero telefonico n..; che l’utenza telefonica, corrispondente al numero …………., nel corso del tempo è stata trasformata in “ricaricabile” che nel mese di agosto 2007, l’utenza è stata unilateralmente sospesa dalla Vodafone Omnitel. Quest’ ultima ha sic et simpliciter sostenuto di aver provveduto alla definitiva disattivazione della scheda – utenza telefonica – conformemente alle condizioni generali del contratto per non aver provveduto, l’attore, ad utilizzare e/o a ricaricare la Sim card per il tempo di dodici mesi. Nella fattispecie de qua, a prescindere dall’applicabilità o dell’interpretazione che si intenda dare all’art. 1 della L. 40/07, che ha convertito il DL 7/07 – Decreto Bersani, l’attore ha provato di aver provveduto ad eseguire ricariche sull’utenza telefonica in questione nel mese di Febbraio ed anche prima dell’estate 2007 (vedi dichiarazioni testimoniali rese). Appare, quindi, provato che l’utenza telefonica non è rimasta inattiva o inutilizzata per dodici mesi, come sostenuto dalla convenuta, ove si consideri che una ricarica è stata eseguita nel mese di febbraio 2007 e un’altra prima dell’estate 2007 e che l’utenza telefonica è stata sospesa definitivamente a far data dall’11/08/07.

Deve quindi ritenersi illegittimo, il comportamento della convenuta, per aver violato il disposto di cui all’art. 5, comma 4, delle condizioni generali di contratto, in atti, ed in generale, per aver disattivato l’utenza telefonica immotivatamente, così violando le norme di correttezza e buona fede nei rapporti contrattuali in itinere. Tanto importa il diritto dell’attore a vedersi riattivato e riassegnato il numero di telefono xxxxxx. E’ provato, inoltre, che l’utenza telefonica disattivata veniva utilizzata dall’attore per l’esercizio delle attività professionali (vedi rivista, manifesti pubblicitari in cui è riportato il numero telefonico in questione) e giusta dichiarazione testimoniali rese da xxxx. Non v’è dubbio, pertanto, che l’attore in conseguenza della repentina sospensione dell’utenza telefonica abbia sopportato disagi, disguidi e problemi di vario genere con la propria clientela. Né è da escludere un calo di clientela, con conseguente danno economico, stante la difficoltosa rintracciabilità telefonica da parte della clientela. Ai sensi dell’art. 1226 c.c., apparendo il danno indeterminato e non potendo lo stesso essere determinato con precisione, liquida e riconosce all’attore, in via equitativa, per i danni sopportati in conseguenza del sicuro e necessitato mutamento del numero telefonico, la somma di € 300,00. Condanna, inoltre, la convenuta alla rassegnazione del credito monetario telefonico esistente prima della sospensione dell’utenza telefonica, che si riconosce in € 50,00, ai sensi dell’art. 1226 c.c. L’accoglimento della domanda importa la condanna alle spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

IL Giudice di Pace di Bari, definitivamente pronunciando sulla domanda, promossa da XXXXXXXXX c/ Vodafone Omnitel, in persona del legale rappresentante p.t., rigetta ogni altra domanda, eccezione e deduzione, così provvede:

1. Condanna la Vodafone Omnitel, in persona del suo legale rappresentante p.t., al pagamento della somma di € 300,00, a titolo di risarcimento danni, in favore dell’attore;

2. Condannala Vodafone Omnitel, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla riattivazione del numero di utenza xxxxxxxxxxx e con accredito di € 50,00;

3. Condanna la Vodafone Omnitel, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento delle spese del giudizio, in favore dell’attore, che si liquidano in € 1.100,00 (di cui € 500,00 per diritti, € 400,00 per onorario, € 112,50 per rimborso forfettario del 12,5% ed € 87,50 per spese anticipate), oltre cna ed iva.

Bari, 27/03/2009

Il Giudice di Pace Avv. M. Mazzei

giovedì 10 settembre 2009

Cassazione: multe nulle se il numero civico è sbagliato

Sono nulle le multe se vengono notificate indicando un numero civico sbagliato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza n. 19323/2009 della seconda sezione civile) che ha accolto le richieste di un automobilista a cui era stata recapitata una cartella esattoriale che gli intimava di pagare 331 euro per tre sanzioni amministrative di cui non era mai stato portato a conoscenza. Nella parte motiva della sentenza la Corte spiega che le raccomandate ''non erano state recapitate ma erano state restituite per compiuta giacenza''. In una delle notifiche però ''risultava errato il civico presso il quale risultava essere stata fatta la ricerca da parte dell'ufficiale notificante''. In primo grado il Giudice di Pace non aveva voluto sentire ragioni ed aveva ritenuto che l'automobilista dovesse comunque pagare quelle multe. Il caso è così finito in Cassazione dove l'automobilista ha fatto notare la presenza di diversi errori di notifica e tra questi l'errata indicazione del numero civico. Accogliendo il ricorso la Corte ha annullando la cartella esattoriale mettendo in chiaro che ''non si puo' prescindere dalla verifica dell'esito del procedimento notificatorio (rilevabile solo dall'avviso di ricevimento) ai fini di considerare regolare o meno la notifica del verbale, non potendosi escludere in linea generale che l'avviso di deposito-giacenza dell'atto non sia in effetti pervenuto alla conoscenza dell'interessato, privandolo cosi' della possibilita' di tutelare i propri diritti''. Ora sarà il Comune a dover pagare all'automobilista 400 euro per le spese legali.

mercoledì 12 agosto 2009

Una sentenza che vale più della perdita dei punti sulla patente.

Spero che questa recentissima sentenza dei giudici della Corte di Cassazione arrivi a far riflettere quei parlamentari italiani che grazie alla complicità di qualche imprenditore senza scrupoli hanno deciso di istituire la patente a punti e l'utilizzo di costosi autovelox ovunque come se fossero un deterrente per eliminare o ridurre gli incidenti mortali sulle strade italiane.
Mentre in realtà con questi aggeggi si fanno ben altri affari. Allora sarebbe meglio tornare al blocchetto e alla penna e comunque ad assumere personale che costerebbe sicuramente meno delle odiate macchinette.
Il parlamento secondo la mia umile opinione deve prendere spunto proprio da questa sentenza se vuole veramente risolvere la questione che ritengo può essere risolta condannando penalmente se ritenuto colpevole chi si macchia di una morte.
Con questa ultima sentenza la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 13 mesi di reclusione per un uomo ritenuto responsabile di un incidente mortale poichè causato dall'eccessiva velocità. L'automobilista, infatti, a bordo della sua Mercedes, finì fuori strada sull'autostrada A29 Trapani-Palermo, precipitando in una scarpata dopo un volo di 20 metri.
A salvarsi fu solo il conducente mentre i quattro passeggeri che erano con lui morirono.
Ben vengano decisioni come queste.

venerdì 7 agosto 2009

Non commette reato chi uccide un animale per proteggere i suoi beni e se stesso.

Bhe non posso che condividere in questo caso la sentenza della III Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 25526/09) che ha stabilito che non commette reato chi uccide un animale per difendere un proprio diritto patrimoniale nonché la incolumità delle persone con lui conviventi.
Gli Ermellini hanno avuto modo di affermare che “nel concetto di ‘necessità’, escludente la configurabilità del reato, è compreso non solo lo stato di necessità, quale assunto dall’art. 54 c.p., ma anche ogni altra situazione che induca alla uccisione o al danneggiamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile”.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che “in applicazione di tale principio il giudice di legittimità ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza di reato nella ipotesi di uccisione di un cane, pastore tedesco, che introdottosi in un pollaio, aveva mangiato gli animali ivi rinchiusi e quindi aggredito il loro proprietario, accorso per allontanarlo”. costretto a sparare sull’animale, per difendere un proprio diritto patrimoniale, nonché la incolumità delle persone con lui conviventi.

Interessante sentenza sulla nota spese.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 14553/09) ha stabilito che è possibile la liquidazione dei compensi dell’avvocato e ciò anche se questi non ha depositato la nota spese. La Corte ha precisato che “vero è che, nel caso di mancata presentazione della nota spese ad opera della parte che chiede il rimborso delle spese processuali, il giudice deve indicare gli atti a cui si riferisce la liquidazione di diritti ed onorari. Ma chi proponga ricorso per cassazione per questo motivo è tenuto ad esplicitare le ragioni per cui la liquidazione operata dalla sentenza impugnata è da ritenere incongrua o sproporzionata in relazione all’attività svolta nel giudizio (…)”.
Nel caso di specie, gli Ermellini hanno osservato che “spese diritti ed onorari sono stati contenuti in termini modesti, ed il ricorrente ha svolto le sue censure in termini meramente astratti, senza neppur teoricamente dedurre la difformità degli importi liquidati rispetto a quelli spettanti per legge”.

mercoledì 5 agosto 2009

Vergogna tutta italiana.

Lo dicevo e denunciavo in tutti i ricorsi da me predisposti per amici e parenti.
Ora viene fuori l'illecito rilevamento delle infrazioni stradali.... ma vah?
Autovelox truccati a Caserta, indagati: Sindaci, assessori e membri della Polizia municipale sono accusati di truffa, falsità, violazione della privacy e abuso d'ufficio.
Più di 200 le persone indagate per profitti illeciti ottenuti per mezzo di autovelox truccati.
Chi ha previsto questi strumenti con legge?
Nessuno avrebbe immaginato di come sarebbe andata finire? Io si.
Una legge voluta ed ottenuta da imprenditori senza scrupoli ed ora anche sindaci, assessori e comandanti delle Polizie municipali. Ma che bello ... proprio bello.... alla faccia della brava gente...
Le indagini, sfociate in seguito nell'emissione del decreto, hanno avuto per oggetto il rilevamento delle infrazioni attraverso rilevatori di velocità, photored o altri macchinari simili.
I destinatari di tali provvedimenti erano alcuni Comuni della provincia di Caserta e numerose ditte private.
L'accusa riguarda le modalità di affidamento del servizio da parte dei Comuni alle ditte private, la non corretta indicazione in bilancio delle somme provento delle sanzioni, le illecite modalità di rilevazione delle infrazioni, l'omessa comunicazione alle competenti autorità delle infrazioni per il decurtamento dei punti e illeciti nel trattamento dei dati personali.
A queste circa 200 persone vorrei inviare un pubblico messaggio: siete la vergogna dell'Italia.
Ai politici: basta autovelox e stratagemmi simili che servono e serviranno a far arricchire solo questi imprenditori senza scrupoli!

domenica 2 agosto 2009

La sentenza emessa dall’Ufficio del Giudice di Pace di Lecce (visibile in allegato) sembra consolidare l’orientamento della Corte di Cassazione che, con la sentenza n° 21816/08, contesta la validità degli accertamenti effettuati dalle Forze dell’Ordine sulla base di semplici rilievi visivi.
Secondo quanto affermato dai Giudici di Piazza Cavour, infatti, non è necessario sporgere querela di falso per contestare quanto affermato da un vigile. In base a quanto statuito dalla predetta sentenza della Cassazione, e richiamato dal Giudice di Pace di Lecce nella sentenza di cui trattasi, “l’efficacia di piena prova sino a querela di falso non sussiste né con riguardo ai giudizi valutativi che esprima il Pubblico Ufficiale, né con riguardo alla menzione di quelle circostanze relative a fatti i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obiettivo e abbiano potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento”.
Nella sentenza emessa dal Giudice di Pace di Lecce, la contestazione sarebbe stata rilevata erroneamente, in quanto il processo formativo del verbale opposto si sarebbe basato su una percezione soggettiva di un veicolo in movimento. Il verbalizzante, infatti, non avrebbe dato prova di quanto contestato al ricorrente con il verbale opposto.
Nel giudizio ex art. 22 e 23 legge 689/81, si realizza una inversione dell’onere della prova in favore del ricorrente, atteso che la P.A., assumendo la veste sostanziale di attrice è chiamata a provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., la fondatezza dei fatti e delle motivazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato e, quindi, la sussistenza della pretesa sanzionatoria.
Avv. Raffaello Esposito
Via Paolo Grassi n° 9 -
74015 Martina Franca (TA)
Tel. fax 080/4806962
Cell. 338/5680122
mail: avv.raf-esposito@libero.it



Di seguito la sentenza.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL GIUDICE DI PACE DI LECCE

Avv. Franco Giustizieri ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A


nella causa civile iscritta al numero del ruolo generale indicato a margine, avente l’oggetto pure a margine indicato, discussa e passata in decisione all’udienza del 05.11.2008, promossa da S.G.. rappresentato e difeso dall’Avv. Raffaello Esposito del Foro di Taranto, elettivamente domiciliato in Lecce presso lo studio dell’avv. L. P.

ricorrente –

Contro: Prefetto di Lecce; - resistente -

All’udienza del 05.11.2008 la causa è stata decisa sulle conclusioni rassegnate dalla parte ricorrente.

Svolgimento del processo

Con ricorso al Giudice di Pace di Lecce, depositato in Cancelleria in data 12.05.2008, parte ricorrente proponeva opposizione avverso il verbale di accertamento di violazione al cds n. XXXXXXX, irrogato in data 24.03.2008 e notificato immediatamente, per la presunta violazione dell’art. 141 commi 3 e 8 cds, elevato dalla Stazione di Carabinieri di Melendugno, al conducente del veicolo tg. XXXXXXX perchè "ometteva di regolare adeguatamente la velocità in modo da non costituire pericolo in prossimità di intersezione stradale" con detto verbale alla parte ricorrente era irrogata la sanzione amministrativa di € 74,00 oltre alla decurtazione di cinque punti della patente di guida. Lo stesso ricorrente con il ricorso eccepiva e sosteneva quanto segue.

Inesistenza della violazione. Dal verbale impugnato non si evincevano le circostanze di fatto esistenti al momento della presunta infrazione. Mancanza di motivazione ed eccesso di potere. Strada poco trafficata. Errore di percezione diretta del reale accadimento.

Concludeva parte ricorrente per una dichiarazione di nullità del verbale impugnato, con vittoria di spese.
Preliminarmente questo Giudice provvedeva, con proprio decreto, a fissare innanzi a sé l’udienza di comparizione delle parti.
Nessuno si costituiva per il Prefetto di Lecce, il quale attraverso l’organo accertatore provvedeva ad inviare nei termini la documentazione di cui all’art. 23 legge 681/81, corredata di apposita memoria difensiva.
All’udienza del 05.11.2008 venivano rassegnate le conclusioni della parte ricorrente, indi questo Giudice provvedeva a delibare la causa, dando lettura del dispositivo in udienza.
Motivi della decisione
Preliminarmente, rilevata la tempestività dell’opposizione proposta in data 12.05.2008, avverso la sanzione amministrativa n. XXXXXX, elevata dalla Stazione dei Carabinieri di Melendugno e notificata in data 24.03.08, la medesima opposizione deve essere accolta per i seguenti motivi.
Preliminarmente và rilevato che dalla lettura del verbale opposto è emerso che il verbalizzante impegnato alla disciplina del traffico, situazione questa che condiziona tutto il processo formativo, rilevava la presunta infrazione erroneamente.
Infatti, parte ricorrente ha dedotto in giudizio che il mezzo contravvenzionato al momento della rilevazione attraversava l’incrocio predetto a velocità moderata ed in ossequio alle norme dettate dal Codice della Strada, perciò il conducente in prossimità dell’intersezione stradale regolava la velocità e non costituiva pericolo come sostenuto dagli agenti verbalizzanti, quindi contestava la rilevazione effettuata dall’organo accertatore che ricostruiva la dinamica con una visione postuma all’effettivo svolgersi del fatto, suscettibile quindi la stessa di valutazione erronea non essendoci stata una visione diretta del fatto.
Pertanto, non si comprende quale fosse in quel giorno il tipo di violazione commessa, visto che il transito del veicolo al momento della presunta infrazione non ha violato alcuna norma del Codice della Strada. Dunque, alla luce di tale situazione di fatto, anche a seguito della contestazione effettuata dalla parte ricorrente, và ritenuto che nel giudizio ex art. 22 e 23 legge 689/81, si realizza una inversione dell’onere della prova in favore del ricorrente, atteso che la P.A., assumendo la veste sostanziale di attrice è chiamata a provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., la fondatezza dei fatti e delle motivazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato e, quindi, la sussistenza della pretesa sanzionatoria.
L’inadempienza, si ribadisce, assume quindi rilevanza giuridica posto che il Giudice, a seguito delle contestazioni rilevate dalla parte ricorrente, non è stato messo in condizioni di comprovare la legittimità della pretesa sanzionatoria portata avanti Sezione Carabinieri di Melendugno.
In definitiva, il ricorso esattamente per tutte queste motivazioni, in assenza di elementi contrari, è accolto ed il relativo verbale annullato, unitamente ad ogni altro atto ad esso presupposto e/o consequenziale..
Restando assorbita ogni altra deduzione, eccezione e conclusione.
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace di Lecce accoglie il ricorso.

Spese compensate.

Così deciso in Lecce 05.11.2008

Il Cancelliere Il Giudice di Pace

Avv. Franco Giustizieri

sabato 1 agosto 2009

La Cassazione ha detto stop agli sms inesiderati.

Ora infatti si rischia anche una condanna per violenza privata se il loro contenuto costituisce una violenza morale. Con la sentenza n. 31758/09 la V sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha sottolineato che alcuni messaggini possono configurare qualcosa di più rispetto a una semplice molestia tanto da potersi parlare appunto di una vera e propria ''violenza morale'' che fa scattare la condanna a norma dell'art. 610 c.p..
Il caso affrontato dalla Corte riguarda un uomo di 55 anni condannato per violenza privata per avere inviato degli sms al marito della sua amante cercando di indurlo a tirarsi indietro dal tentativo di riconciliarsi con la moglie. L'uomo era stato anche condannato per minaccia perchè aveva cercato di indurre la sua amante a riprendere la relazione minacciando altrimenti di diffondere video in cui erano ripresi i loro rapporti sessuali. Nel ricorso in Cassazione l'uomo aveva sostenuto che i suoi messaggini non potevano essere motivo per una condanna per violenza privata ma la Corte gli ha respinto il ricorso evidenziando che "i messaggi inviati al marito adombrano chiaramente una condotta di violenza privata ai danni del marito di [...] e denotano la conferma solare della violenza morale attuata nei confronti della donna''.

domenica 26 luglio 2009

Se il cane abbaia disturba ovvio. Quindi in casi estremi giusto il risarcimento del danno per il disturbo arrecato ai vicini.

Si dice che "can che abbaia non morde", e forse è vero, ma di certo disturba la quiete e il riposo delle persone. Proprio per questo la Corte di Cassazione invita a mettere la sordina agli amici a quattro zampe che si dimostrano troppo vivaci e il loro abbaiare va oltre la normale tollerabilità Secondo la Corte il disturbo c'è sempre e non solo in un contesto cittadino, ma anche se il cane è tenuto in aperta campagna. E' stato così riconosciuto il "danno da latrato" dalla Prima sezione penale della Corte (sent. 29375/09) che ha confermato una multa di 200 euro per disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone con tanto di risarcimento del danno ai vicini che per lungo tempo avevano dovuto sopportare il continuo abbaiare dei cani accuditi da una cinofila.
Nella parte motiva della sentenza si legge che gli animali spesso abbaiavano anche di notte disturbando due famiglie che vivevano nella zona. Gli ululati si sentivano anche a distanza di 100 metri. La difesa di chi accudiva gli animali aveva sostenuto che i vicini non potevano lamentarsi dato che gli animali si trovavano in aperta campagna ed aveva anche evidenziato il proprio amore per gli animali che accudiva gratuitamente. Piazza Cavour però non ha sentito ragione evidenziando che l'amore per gli animali "non discrimina la condotta". Il fatto poi che ci si trovasse in campagna "resta irrilevante poichè anche le persone che abitano in campagna hanno diritto al rispetto del riposo e chi vuole tenere dei cani nei pressi di altre abitazioni, sia in città che in campagna, deve usare gli accorgimenti necessari per evitare il disturbo dei vicini, come ha esattamente rilevato la sentenza impugnata". Quanto al criterio della "normale tollerabilita" la Corte scrive che "Il criterio va riferito alla media sensibilità delle persone che vivono nell'ambiente ove i rumori fastidiosi vengono percepiti, mentre è irrilevante la eventuale assuefazione di altre persone che abbiano giudicato non molesti i rumori".

martedì 21 luglio 2009

La prova evidente che non sempre le cinture di sicurezza salvano la vita.

Oggi mi sento di segnalare per vari motivi il gesto di questo (solo ora) premiato eroe Otrantino che tre anni fa salvò sulla A14 una coppia di coniugi rimasti intrappolati nella loro autovettura capovolta e in fiamme.
A voler segnalare oggi non è solo il fatto che l'eroe in questione al quale faccio i complimenti è Otrantino ma soprattutto il fatto che proprio l'uso delle cinture di sicurezza nel caso specifico come sostengo nei miei ricorsi stava causando due morti.
Qualcuno si chiederà il motivo di questo mio post ma per chi mi segue ormai da tempo sa bene che io sostengo che l'uso delle cinture di sicurezza debba essere facoltativo e non invece obbligatorio poichè non si può morire per "legge".
Salvo a non chiedere poi il risarcimento dei danni allo Stato per aver obbligato all'uso delle cinture di sicurezza.
Ebbene nell'occorso all’interno dell’auto, il militare, trovò due coniugi in preda alle fiamme e alle lamiere contorte e senza perdersi d’animo e con lucida freddezza frantumò il vetro della portiera anteriore senza alcuna esitazione e procuratosi un estintore si creò un varco tra le fiamme.
Tirò fuori la donna rimasta bloccata anche dalle cintura di sicurezza e dopo averla adagiata sull’asfalto soccorse anche lo sfortunato marito.
Con questo atto eroico Stefano Panareo, oggi maresciallo della G.d.F. di San Pietro Vernotico, si è guadagnato una medaglia di bronzo al valor civile.
Congratulazioni.

sabato 18 luglio 2009

Non rivelate mai le "corna".

L'Amante che invia sms alla rivale tradita per farle sapere del tradimento rischia una multa per il reato di molestie. Secondo la Corte di Cassazione infatti chi riceve messaggi del genere viene leso nella sua dignità e a nulla rileva il fatto che il tradimento fosse noto.
I giudici hanno così respinto il ricorso di una donna calabrese che i giudici di merito avevano condannato a 300 euro di multa per il fatto di aver rilevato le corna alla moglie del suo amante inviandole 5 sms.
Nel ricostruire la vicenda, la Corte di cassazione, I sezione penale, con la sentenza n. 28852/09 evidenzia che l'imputata aveva inviato messaggi che facevano riferimento alla relazione sentimentale clandestina riportando anche ''asserite espressioni dell'uomo in termini sprezzanti nei confronti della compagna''. Il tribunale aveva considerato il comportamento inammissibile e lesivo "della dignità oltre che del decoro e dell'onore della persona offesa'' anche se i messaggi erano stati pochi. Davanti alla Suprema Corte la donna ha fatto presente che la relazione clandestina era già stata scoperta e che non si può parlare di molestia a fronte di un numero irrisorio di sms. Nel respingere il ricorso la Corte ha evidenziato che la molestia ''puo' essere arrecata anche mediante l'invio di brevi messaggi di testo''. Ora a parte la multa, l'amante che ha rivelato le corna dovrà ora pagare le spese processuali oltre a 1.000 euro alla cassa delle ammende.

giovedì 9 luglio 2009

Finalmente riconosciuto un concetto che ripeto da anni nei miei ricorsi.

Finalmente la Corte di cassazione ha riconosciuto un concetto che io ripeto da anni nei ricorsi predisposti da me per amici e parenti.
E cioè se i comuni intendono disporre la circolazione a targhe alterne sono obbligati a fare una preventiva campagna mediatica per rendere conoscibile i divieti imposti anche agli automobilisti che vengono da fuori città. In sostanza è necessaria una adeguata campagna mediatica che sia conoscibile anche fuori dalla cinta cittadina. I comuni inoltre devono collocare "cartelli indicanti il divieto su tutte le vie d'accesso" per avvisare gli automobilisti del limite di circolazione. In mancanza di tuto questo eventuali multe vanno annullate. La decisione è stata presa dalla seconda Sezione civile della Corte di Cassazione (sentenza 15769/2009) che ha annullato una contravvenzione fatta a una signora che in viaggio a Roma aveva circolato senza rispettare le limitazioni imposte dalle targhe alterne. In prima battuta il Giudice di Pace convalidava la contravvenzione sostenendo che "le ordinanze sindacali di divieto di circolazione per le auto per prevenzione dell'inquinamento atmosferico sono propagate a mezzo mass media e portate a conoscenza degli automobilisti anche attraverso cartelli". Secondo il Giudice di pace la donna che proveniva da altra città avrebbe dovuto informarsi. Con successo l'automobilista ha fatto ricorso in Cassazione evidenziando di non essere assolutamente a conoscenza delle disposizioni che precludevano la circolazione a Roma. I Giudici della Corte le hanno dato ragione bacchettando il giudice di pace ed annullando la multa. Le targhe alterne, spiega la Corte, sono "disposizioni da considerarsi eccezionali rispetto alla normativa generale del Cds la cui conoscenza e' obbligatoria per tutti gli utenti di tutte le strade, si deve ritenere che incomba sull'ente proprietario delle specifiche strade sulle quali e' imposto l'eccezionale divieto l'onere di dimostrare la responsabilita' del preteso contravventore per essere state adottate tutte le possibili e per questo esaustive misure di informazione di modo che qualunque utente di queste strade, qualsiasi ne sia la provenienza, non possa fondatamente allegare di non conoscere la disposizione". Secondo Piazza Cavour il Giudice di Pace "ha risposto con motivazione del tutto generica e inconferente" dato che "non ha allegato che il comune di Roma avesse provato la diffusione della notizia anche con media generalmente conoscibili fuori dalla citta' e l'apposizione di cartelli indicanti il divieto su tutte le vie d'accesso" alla città.
Concetto e principio che secondo la mia umile dovrebbe valere anche per le restanti ipotesi per chi non è residente.

mercoledì 8 luglio 2009

Un prestito tra marito e moglie? Non si restituisce.

Un prestito tra marito e moglie? Non si restituisce o per lo meno non si può ottenere giudizialmente la restituzione. A stabilirlo è la Corte di cassazione con la sentenza 12551/09 che condivido ovviamente anche se il caso fosse al contrario.
La Corte ha infatti bocciato il ricorso di una donna separata che aveva chiesto la restituzione di un prestito di 19mila euro fatto al suo ex consorte per pagare un mutuo "aperto nel corso del matrimonio per lavori alla casa coniugale e per il ripianamento dei debiti dell'impresa del marito".
Secondo la Corte, questo genere di prestiti, tenendo conto dello spirito del mutuo soccorso proprio del matrimonio dovrebbero rimanere "nella riservatezza della vita familiare".
La Suprema Corte ha sottolineato inoltre che i 'prestiti' tra coniugi sono una modalità per fare fronte a quella solidarietà reciproca che dovrebbe esistere tra marito e moglie. In ogni caso, spiegano gli Ermellini, "il giudice di merito ha evidentemente escluso la sussistenza di circostanze", tali da determinare la restituzione del denaro, "in particolare non ha considerato tali, la documentazione prodotta dalla moglie, nè il fatto che la consegna o un prestito di denaro tra coniugi avviene generalmente nella riservatezza della vita familiare, nè che i lavori di ristrutturazione della casa coniugale sono stati effettivamente eseguiti".

martedì 7 luglio 2009

Si salvi chi può. Ora anche i ciclisti se commettono una infrazione perdono punti sulla patente.

Bhe ora mi sembra si stia veramente esagerando. Anzichè invogliare i cittadini all'uso della bicicletta ora si trova il sistema di guadagnare anche sui ciclisti.
Infatti, i ciclisti, con l'approvazione del ddl sicurezza, perderanno i punti sulla patente nell'eventualità che commettano un'infrazione che prevede la decurtazione.
Attenti non è uno scherzo!
Evidentemente in parlamento non hanno altro da pensare.
La norma che prevede la sanzione accessoria è contenuta nell'articolo 3, comma 48-1 e 2 della nuova legge licenziata da Palazzo Madama.
"Nell’ipotesi in cui - recita la norma - ai sensi del presente codice, è disposta la sanzione amministrativa accessoria del ritiro, della sospensione o della revoca della patente di guida e la violazione da cui discende è commessa da un conducente munito di certificato di idoneità alla guida di cui all’articolo 116, commi 1-bis e 1-ter, le sanzioni amministrative accessorie si applicano al certificato di idoneità alla guida secondo le procedure degli articoli 216, 218 e 219.
In caso di circolazione durante il periodo di applicazione delle sanzioni accessorie si applicano le sanzioni amministrative di cui agli stessi articoli.
Mi fermo qui perchè ritengo questa modifica veramente esagerata in tempi di crisi e di inquinamento atmosferico.
Evidenzio però che la norma è estendibile non solo a chi utilizza le due ruote a pedali per muoversi nel traffico cittadino o per fare una scampagnata, ma anche nei confronti di chi guida un carro trainato da cavalli oppure buoi.
Ora ci sarà nuovamente la corsa ai ricorsi per l'illeggitimità della norma che vede una questione non indifferente. Infatti la sottrazione dei punti è un dettaglio che creerà disparità di trattamento tra chi possiede la patente e guida una bicicletta e chi, invece, utilizza la bicicletta proprio perché non ha la patente. O perchè non ha più un solo centesimo per la benzina o per il gasolio.

Per fare una festa danzante in un agriturismo ci vuole l'ok del Sindaco.

D'ora in avanti chi desidera organizzare una festa aperta al pubblico (e non sono solo ai propri clienti), in un agriturismo dovrà prima chiedere il via libera al sindaco.
Senza l'autorizzazione infatti il gestore dovrà pagare una multa.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15375/09 precisando che "la previsione di partecipazione" ad eventi ricreativi "da parte di persone di passaggio elide l'applicabilità della normativa concernente i soli ospiti delle aziende di agriturismo e dimostra con l'afflusso di persone di passaggio la dilatazione delle riunioni ben oltre l'ambito di eventi limitati ai clienti dell'azienda".
Per questo si rende necessario secondo la Corte di Cassazione l'autorizzazione "in relazione all'ordine pubblico e all'organizzazione.
La vicenda esaminata dalla Corte riguarda il caso del proprietario di un agriturismo che si era visto irrogare una multa per aver organizzato due feste danzanti senza autorizzazione.
La multa veniva convalidata dal Giudice di pace e ora anche dalla Corte di Cassazione.
Nel suo ricorso, il titolare, aveva sostenuto che si era trattato di due eventi occasionali e che comunque non ci sarebbe stato l'obbligo di richiedere l'autorizzazione.
Nel respingere il ricorso la Corte è stata tassativa.
L'autorizzazione del sindaco è necessaria in relazione all'ordine pubblico e all'organizzazione che ne consegue. Nè si può parlare di sporadicità degli eventi giacché annota la Corte "la successiva cessazione di tali eventi ben poteva essere dovuta alla contestazione delle infrazioni".

sabato 27 giugno 2009

Sentenza che non condivido assolutamente specie se l'uso del telefonino è solo presunto.

Questa sentenza può anche dimostrare la linea dura della Cassazione contro chi fa uso del cellulare mentre è alla guida. Ma credo che non si possa esagerare e consentire ad un agente di multare un automobilista anche mentre si mette una mano tra i capelli.
Perchè è possibile che un vigile veda a distanza una cosa per una altra....
Quindi giudizio estremamente negativo per la sentenza n. 13118/09 con la quale la corte di cassazione ha stabilito che i vigili possono fare la multa anche senza la contestazione immediata.
Questa sentenza è in contrasto con altre precedenti.
Secondo la corte di cassazione l'unica possibilità di difendersi per il conducente sarebbe quella di dimostrare (quando? dopo 6 mesi?) che la posizione del vigile era a una distanza tale da non poter vedere che l'automobilista sta parlando al telefono.
Insomma se non si vuol pagare la multa secondo la corte di cassazione si deve dimostrare, metro alla mano, "la posizione effettiva dell'agente rispetto a quella del veicolo, così da potere in concreto valutare se a tale distanza si potesse incorrere in errore".
Assurdo, assurdo, assurdo....
La Corte ha così respinto il ricorso di un'automobilista sorpresa a parlare con il celllare in auto senza l'auricolare.
Probabilmente questa conducente era alla guida con il telefonino in mano ... ma ... se in altre circostanze .... il vigile ha un abbaglio?
In ogni modo la multa le era stata recapitata a casa ma non vi era stata alcuna contestazione immediata al momento del fatto.
Il caso è finito in Cassazione dove la donna ha sostenuto che la contravvenzione non poteva considerarsi valida perchè chi parla al cellulare mentre guida dovrebbe essere fermato al momento dal vigile. Se cio' non accade, vuol dire che il vigile si trovava ad una distanza tale da rendere possibile un errore di percezione (come da precedenti sentenze).
A nulla è valsa la fatica di portare il caso sino alla suprema Corte. Il ricorso è stato respinto e la Corte ha evidenziato che "la prova del possibile errore di percezione da parte dell'agente non può essere fondata su una valutazione presuntiva in ordine alla distanza" del vigile. Solo con una misurazione ad hoc "si sarebbe potuto provare la posizione effettiva dell'agente rispetto a quella del veicolo, così da poter in concreto valutare se a tale distanza" il vigile avesse potuto cadere in errore. Secondo la Corte "non è neppure sufficiente dedurre la lontananza dell'agente dal luogo della violazione solo sulla base dell'omessa immediata contestazione, posto che tale accertamento può essere effettuato anche a distanza che, per svariati motivi, non permette il fermo del veicolo".

Sentenza sui termini del Prefetto.

VIOLAZIONI AL CODICE DELLA STRADA – TERMINE COMPLESSIVO PER L’EMISSIONE DELL’ORDINANZA-INGIUNZIONE DA PARTE DEL PREFETTO – CUMULO DEI TERMINI PREVISTO DAL COMMA 1 BIS DELL’ART. 204 C.D.S. – SIGNIFICATO.

Interessante la sentenza n. 13303 del 9.6.09.
In tema di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni di norme del codice della strada cui sia applicabile la nuova disciplina procedimentale conseguente alle innovazioni normative introdotte dal d.l. 27 giugno 2003, n. 151, conv., con modif., nella legge 1° agosto 2003, n. 214, la nuova disposizione prevista dal comma 1 bis dell'art. 204 del d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285, secondo cui i termini di cui ai commi 1 bis e 2 dell'art. 203 e al comma 1 dello stesso articolo 204 sono perentori e si cumulano fra loro ai fini della considerazione di tempestività dell'adozione dell'ordinanza-ingiunzione, deve intendersi nel senso che la cumulabilità dei due termini consente al Prefetto di usufruire - per il complessivo svolgimento della sua attività di accertamento e decisione - del tempo massimo previsto dalla somma delle due scansioni operative, ovvero di 60 giorni per la raccolta dei dati e le deduzioni degli accertatori e di 120 giorni per l'emissione del provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa, senza che, a tal fine, abbia alcuna incidenza sul computo totale di 180 giorni l'eventuale trasmissione anticipata (ovvero prima della scadenza del termine massimo prescritto di sessanta giorni) degli atti di competenza da parte dell’organo accertatore.
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Interessante decisione sull'abuso di diffondere i dati del cedolino stipendio.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha reso noto di aver ribadito al Ministero dell’Interno che i cedolini dello stipendio devono essere consegnati spillati o in busta chiusa e non devono contenere informazioni lesive della riservatezza e che gli addetti alla predisposizione e alla consegna dei cedolini sono tenuti a tutelare la privacy dei lavoratori, limitando l'inserimento di informazioni sulla sfera privata e impedendo l'indebita conoscenza dei dati da parte di persone non autorizzate.

lunedì 22 giugno 2009

Cassazione: off limits le auto blu per mogli delle autorità

Mi sembrano anche logiche e legittime queste sentenze. Insomma le condivido in pieno.
Infatti le mogli delle autorità non possono utilizzare le auto d'ordinanza per ragioni private e neppure per un uso sporadico. A stabilirlo ora è la Corte di Cassazione che ha finalmente rilevato che detto utilizzo costituisce un danno sia per il costo di carburante sia per il costo di mercato dell'utilizzo del mezzo sia per le ore di impiego del personale.
Questo divieto, spiega la Corte, si estende anche a chi riveste incarichi in comune e ne fa uso privato anche sporadico. Con la Sentenza 25537/09 la VI Sezione penale ha così confermato una condanna per abuso d'ufficio inflitta ad un prefetto per aver disposto e consentito "l'utilizzo di autovetture e personale di servizio per scopi estranei ai compiti di istituto alla moglie per accompagnamenti in vari viaggi".
Al prefetto era stato anche contestato l'utilizzo di personale di servizio per lavori di rimessaggio del proprio natante. Dalla vicenda era scaturita una condanna a nove mesi di reclusione. Ricorrendo in Cassazione il prefetto ha sostenuto che i viaggi della moglie sull'auto blu non avrebbero inciso sulle finanze perchè si trattava di viaggi "sporadici" e perchè in ogni caso sua moglie le aveva utilizzate "per autonoma iniziativa ritenendosi autorizzata nella veste di presidente onoraria della locale sezione femminile della Croce rossa e che altre volte utilizzava l'auto blu per esigenze istituzionali della stessa prefettura".
Va precisato peraltro che la sesta sezione penale ha dovuto prendere atto dell'intervenuta prescrizione di alcuni episodi riducendo così la pena da nove a quattro mesi. È stato però confermato l'abuso d'ufficio e, nella sentenza, la Corte ha ricordato che "i rilievi della Corte di merito sulla conoscenza da parte del prevenuto dei movimenti effettuati dalla moglie con la macchina di servizio da lui fatta predisporre e poi utilizzata dalla consorte sono basati non illogicamente sull'assenza di elementi indicativi di criticità del rapporto coniugale e sulla generale cognizione da parte del [...] (per il ruolo rivestito e indipendentemente da specifici momenti di rendicontazione) dei movimenti delle autovetture disponibili, e risultano decisivamente corroborati (anche ai fini della piena integrazione dell'elemento soggettivo del reato) dall'attestazione di espliciti ordini, da lui dati, di accompagnare la consorte con l'autovettura di servizio". La corte ha infine rilevato che, in merito alla dedotta irrilevanza economica di un utilizzo sporadico delle autovetture del personale in servizio, ciò che conta non è tanto l'entità del danno in sé ma solo il fatto che vi sia stato un ingiusto vantaggio patrimoniale procurato a sé o a terzi. Proprio su tale vantaggio, spiega la Corte, non possono nutrirsi dubbi, tenuto conto dell'oggettivo e non irrilevante valore economico, del consumo di carburante, del costo dell'utilizzo del mezzo e delle ore di impegno del personale.
E sempre in tema di auto blu un'altra sentenza della VI Sezione penale (la numero 25541) ha reso definitiva la condanna a 9 mesi di reclusione per peculato d'uso nei confronti di un consigliere comunale del Comune campano di Camigliano per avere fatto momentaneamente uso personale dell'auto del Comune. Inutile la sua difesa volta ad attenuare la condanna sulla base del fatto che aveva utilizzato l'auto blu in un giorno prefestivo e in via del tutto episodica ed occasionale. Piazza Cavour ha dichiarato inammissibile il ricorso del consigliere comunale e ha evidenziato che "integra la contestata ipotesi di peculato d'uso", l'utilizzo dell'auto d'ordinanza dal momento che il consigliere ha "esercitato, ancorche in termini temporalmente contenuti e isolati, una vera e propria azione 'uti dominus' sulla disponibilità della vettura del comune di cui era consigliere, esulando da tanto sia la necessità di ragioni di servizio sia di improvvise e imprescindibili ragioni di assoluta urgenza personale non altrimenti fronteggiabile nell'immediato".