giovedì 7 gennaio 2010

Se l'airbag non funziona la vittima in caso di sinistro soprattutto mortale deve essere risarcita dal costruttore.

Condivido pienamente quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 2010/09 la quale ha affermato che in caso di incidente, se l'airbag non funziona, chi lo ha prodotto deve risarcire il danno alla vittima o ai parenti della vittima.
Molti potrebbero pensare ad un caso raro ma cosi non è perchè proprio alcuni giorni fa un avvocato del posto è stato vittima di un brutto tamponamento e guarda anche in questa occasione gli airbag non si sono aperti. Ma non solo a detta dello stesso avvocato nella circostanza anche la cintura di sicurezza non ne voleva sapere di sganciarsi dalla sua sede con tutti i rischi possibili e immaginabili qualora l'autovettura avesse preso fuoco.
Ebbene ora finalmente la Corte di Cassazione ha stabilito che se il dispositivo di sicurezza è difettoso i danneggiati potranno ottenere il risarcimento semplicemente dimostrando "il collegamento causale tra le lesioni subite e l'omesso funzionamento dell'airbag".
La decisione è della III sezione civile che ha confermato la condanna nei confronti di Opel la nota casa automobilistica al risarcimento dei danni in favore dei prossimi congiunti di un uomo deceduto in un incidente stradale.
La morte era stata causata appunto dalla mancata apertura dell'airbag sull'autovettura in cui viaggiava. In precedenza i giudici di merito avevano riconosciuto il diritto al risaricmento ai familiari della vittima per la mancata apertura del dispositivo di sicurezza.
Ricorrendo in Cassazione la casa automobilistica ha contestato un presunto ''vizio di motivazione'' delle decisioni dei precedenti gradi di giudizio. Nel respingere il ricorso Piazza Cavour ha evidenziato che il giudice di merito ''ha spiegato con motivazione congrua e logica priva di vizi giuridici'' che giustamente la casa automobilistica era colpevole in quanto ''l'onere del danneggiato si esaurisce nella dimostrazione di aver subito un danno causalmente connesso con l'uso del prodotto''. In conclusione, hanno evidenziato i supremi giudici, è stato provato ''il collegamento causale tra le lesioni subite dalla vittima e l'omesso funzionamento dell'airbag''.
La Opel, oltre a risarcire i familiari dell'automobilista morto nell'incidente, è stata anche condannata a pagare ai familiari della vittima 5.200 euro di spese processuali.
A quando ora una sentenza che riguarda anche il non corretto funzionamento delle cinture di sicurezza? Ovvero una sentenza che riconosca la facoltà del loro uso?

sabato 2 gennaio 2010

La stangata agli Italiani. A qualcuno piace distrarre l'attenzione dei cittadini verso argomenti diversi.

Ci si lamentava delle troppi leggi ad personam finalmente siamo stati accontentati.
Ecco a Voi una legge che riguarda tutti. Ma proprio tutti anche se non tocca chi viene scarrozzato di qua e di là con l'auto blu.
Trovo davvero vergognosa la "stangata" di questo Governo che con continue richieste di fiducia e con una finanziaria ha stabilito che per fare ricorso al Giudice di Pace per una multa dal 1° Gennaio 2010 dovrà "nuovamente" pagare un contributo unificato anticipatamente. Ma questo Governo si è forse dimenticato che il contributo è stato ritenuto incostituzionale?
E per fortuna che il Governo ha sempre detto e dice che "non mette le mani nelle tasche degli italiani". Questa invece è una vera è propria rapina oltre che in-giustizia.
Ebbene d'ora in avanti in attesa di un sicuro ripensamento o abrogazione della norma (con perdita di tempo e caos) chi intende impugnare una multa ingiusta e vuole ricorrere al Giudice di pace dal 1° gennaio 2010 dovrà pagare un minimo di 38 euro.
In pratica si torna indietro di qualche anno.
A stabirlo è la Finanziaria. In sostanza il pagamento del contributo unificato introdotto dalla legge 115/2002 viene esteso alle cause in materia di lavoro, famiglia e sanzioni amministrative.
Il ricorrente deve versare il contributo unificato minimo di 30 e la marca da 8 per il rimborso forfettario dei diritti di cancelleria: in tutto 38 euro.
Con questa manovra si vorrebbe raggiungere lo scopo di diminuire i contenziosi invece secondo me aumenteranno. Basti pensare che ora aumenteranno i ricorsi dinanzi al Prefetto (art. 203 C.d.s.) con tutte le conseguenze immaginabili e il rischio che non si prenda un solo euro.
Addio allo stato di "diritto".
D'ora in avanti, se non si porrà rimedio, chi ricorrerà in prima persona (in base alla legge 689/81), contro i verbali senza l’ausilio di un avvocato, difficilmente si vedrà rimborsate le spese.
La decisione di questo Governa comporta per l'ennesima volta certamente ad una contrazione del diritto alla difesa (art. 24 cost.) senza contare le serie difficoltà di chi deve difendersi a distanza.
Un consiglio spassionato ai parlamentari: abbassare le multe come hanno fatto negli Stati Uniti d'America, far tornare tutti gli agenti al blocchetto e alla penna e soprattutto alla "contestazione immediata" di una multa pena la sua illegittimità.

venerdì 1 gennaio 2010

Sulle insidie stradali

In materia di insidie stradali la Corte di Cassazione ha ribadito che in linea generale non si può escludere l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. nei confronti dell'ente proprietario della strada, se tali beni hanno una notevole estensione tale da non consentire una idonea vigilanza per evitare situazioni di pericolo.
La Corte con la sentenza n. 24529/09, richiamando un orientamento precedentemente espresso (Cass., n. 20427/08) ricorda di aver superato il precedente indirizzo, secondo cui l'art. 2051 c.c., sarebbe "applicabile nei confronti della P.A., per le categorie di beni demaniali quali le strade pubbliche, solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A., tale da impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti".
Il nuovo orientamento è ora nel senso di dover affermare il diverso principio per cui "la responsabilità da cosa in custodia presuppone che il soggetto al quale la si imputa sia in grado di esplicare riguardo alla cosa stessa un potere di sorveglianza, di modificarne lo stato e di escludere che altri vi apporti modifiche". Nella motivazione la Corte chiarisce:
a) che per le strade aperte al traffico l'ente proprietario si trova in questa situazione una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa (e l'onere probatorio di tale dimostrazione grava, palesemente, sul danneggiato);
b) che è comunque configurabile la responsabilità dell'ente pubblico custode, salvo che quest'ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno;
c) che l'ente proprietario non può far nulla quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada ma in maniera improvvisa, atteso che solo quest'ultima (al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto) integra il caso fortuito previsto dall'art. 2051 c.c., quale scriminante della responsabilità del custode".
In sostanza, conclude la Corte, "agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale è applicabile l'art. 2051 c.c., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione" Ribaltando la precedente decisione dei giudici di Merito la Corte spiega che l'errore della sentenza impugnata è stao quello appunto di aver escluso "l'applicabilità dell'art. 2051 c.c., in ragione della estensione del bene demaniale".
Per quanto riguarda poi "l'indagine sulla diligenza dell'ente proprietario e sull'adeguatezza del suo intervento" si tratta di profili che rilevano nell'ambito dell'accertamento della responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c. e non in relazione all'art. 2051. "La P.A. per escludere la responsabilità che su di essa fa capo a norma dell'art. 2051 c.c., deve infatti provare che il danno si e verificato per caso fortuito, non ravvisabile come conseguenza della mancata prova da parte del danneggiato dell'esistenza dell'insidia". Chi è stato vittima dell'incidente, infatti, "non deve provare quest'ultima, così come non ha l'onere di provare la condotta commissiva od omissiva del custode, essendo sufficiente che provi l'evento danno ed il nesso di causalità con la cosa".

giovedì 31 dicembre 2009

Basta con le sentenze scritte a mano.

Sono pienamente d'accordo con la bacchettata che i Giudici della Corte di Cassazione hanno rivolto ad alcuni dei loro colleghi che ancora oggi scrivono le sentenze a mano e che risultano ostilli all'utilizzo delle nuove tecnologie.
La decisione la condivido in quanto alcune volte le sentenze scritte a mano risultano incomprensibili. Decisione che io estenderei anche ai verbali di udienza.
La Corte di Cassazione ha chiarito che non è vietato scrivere a mano una sentenza ma tuttavia la scelta di redigere le sentenze dimostra "attenzione ridotta da parte del magistrato amanuense alla manifestazione formale della funzione giurisdizionale" e mette "in secondo piano le esigenze del lettore e in particolare di chi, avendo riportata condanna, pretende di conoscere agilmente le ragioni''.
Gli ermellini considerano insomma "obsoleto" il giudice che continua a scrivere di suo pugno.
L'invito della Corte a "modernizzarsi" è nato in relazione all'esame di una sentenza relativa a due persone condannate per concorso in tentata rapina impropria. Ricorrendo in Cassazione i due imputati hanno cercato di annullare la sentenza che i Giudici della Corte di Appello avevano scritto a mano e con una grafia poco leggibile.
Esaminando il caso la Suprema Corte ha rilevato che "la lettura del testo non era impedita da grafia ostile al punto da precluderne la comprensione al di là di ogni ragionevole dubbio".
Ma dopo questa considerazione hanno dato una tirata di orecchie ai colleghi della Corte territoriale che continuano a scrivere le sentenze con la penna. Si tratta di una modalità obsoleta - rimarca la Cassazione - segno, appunto, "di attenzione ridotta'' anche nei confronti degli imputati.

sabato 26 dicembre 2009

Avvertimento a tutti gli amanti.

L'avvertimento arriva dalla Corte di Cassazione secondo la quale una relazione clandestina deve restare tale perchè se si minaccia di rivelarla si rischia una condanna per il reato di estorsione.
D'accordissimo con questa decisione.
Una simile minaccia, infatti, spiegano gli Ermellini, determina quella condizione di assoggettamento della volontà che costituisce il presupposto di tale reato.
E a nulla rileva che "il fatto minacciato possa assumere, in sè, risalto soltanto sul piano dei costumi e delle regole sociali".
La vicenda presa in esame dal Palazzaccio riguarda il caso di un uomo di 33 anni che aveva minacciato di rivelare alla madre della sua amante la loro relazione. Dopo la minaccia il caso finiva nelle aule di giustizia e ne scaturiva una doppia codanna in primo e in secondo grado per tentata violenza privata e per estorsione a due anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione con l'aggiunta di una multa di 320 euro.
In Cassazione l'uomo si è difeso sostenendo che il fatto di minacciare di togliere dalla clandestinità una relazione segreta poteva solo incidere sul "piano morale" ma non certo avere rilevanza sotto il profilo penale. Il ricorso è stato respinto dalla suprema Corte che nella parte motiva della sentenza sottolinea come "in tema di estorsione, la minaccia diviene 'contra ius' quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici legittimi per ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti, come quando la minaccia sia fatta con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi non consentiti o risultati non dovuti, per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia".

Ammessa l'opposizione al verbale che costa all'automobilista ben 6 punti.

E’ ammissibile l’opposizione avverso la sanzione "accessoria" della decurtazione dei punti da parte dell’automobilista multato per aver attraversato col semaforo rosso. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 21 ottobre 2009, n. 22235.
La questione ha riguardato un automobilista, multato per essere passato col rosso, senza contestazione immediata dell’infrazione, al quale è stata comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una determinata somma e la sanzione accessoria della decurtazione di sei punti sulla patente. L’interessato ha proposto ricorso per vedersi riconoscere l’annullamento del verbale, ma la sua richiesta è stata rigettata con la conseguenza di essere soggetto per l’infrazione accertata al pagamento della sanzione amministrativa e alla decurtazione dei punti sulla patente.
Proprio quest’ultimo aspetto, tra gli altri, è stato portato all’attenzione della Suprema Corte che ha assegnato la decisione alle Sezioni Unite.
Gli ermellini, al riguardo, hanno innanzitutto richiamato la loro precedente giurisprudenza (Cass., SS.UU., sentenza 29 luglio 2008, n. 20544) secondo cui la decurtazione dei punti, che ha natura di sanzione accessoria, non può essere sottratta al mezzo di opposizione in sede giurisdizionale, poiché ciò risulterebbe privo di ogni ragionevole giustificazione e non compatibile con i principi stabiliti dagli artt. 3 e 24 Costituzione.
Inoltre, addentrandosi nella fattispecie in argomento, le Sezioni Unite hanno ricordato che la Corte Costituzionale (Corte Cost., sentenza 21 gennaio 2005, n. 27) era già intervenuta in merito cancellando la decurtazione dei punti per il proprietario non individuato come responsabile dell’infrazione o per omessa comunicazione da parte di quest’ultimo dell’identità del conducente.
Sulla base di quest’ultima decisione, in attuazione al divieto di applicazione delle norme dichiarate illegittime previsto dall’art. 136 Cost, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso dell’automobilista, cassando la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.

Per la sentenza cliccate qui.

Interessante decisione in materia di intersezioni della Corte di cassazione.

Intervenendo in materia di circolazione stradale, la II sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 25769/09 ha stabilito che la valutazione relativa alla velocità di un mezzo, per stabilire se sia da considerarsi eccessiva, deve essere condotta con riferimento alle condizioni dei luoghi, del traffico e della strada.
Un principio questo quasi sempre trascurato dalle Polizie locali anche in caso di sinistri nei centri urbani ed in particolare in prossimità delle intersezioni (mancato rispetto della precedenza) dove viene sottovalutata la velocità dei conducenti favoriti.
Secondo la Corte non assume valore decisivo l'eventuale osservanza dei limiti imposti in via generale dal codice della strada. La decisione della Corte va riferita all'art. 141 del codice della strada che tra le altre cose dispone che "È obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione".
Il caso era stato affrontato dal Giudice di Pace in relazione ad una contravvenzione elevata a un automobilista che aveva attraversato un incrocio mentre il semaforo segnalava la luce gialla.
Il giudice di pace aveva ritenuto che il tempo di quattro secondi di accensione della luce gialla fosse sufficiente per consentire all'automobilista di fermarsi al semaforo.
Nella valutazione il giudice aveva preso in considerazione la velocità da tenere in relazione allo stato dei luoghi.