giovedì 5 novembre 2009

Sentenza sulla legitima difesa.

La Corte di Cassazione, occupandosi della vicenda di un sindaco che aveva sparato a tre rapinatori che lo avevano appena aggredito portandogli via 3.500 euro, ha chiarito, che l'utilizzo dell'arma contro i banditi in fuga non integra gli estremi del reato di lesioni volontarie aggravate.
Mi pare che con questa sentenza si sia cambiando il vecchio principio.
In ogni modo annullando la sentenza di merito che in precedenza aveva deciso per la condanna, la Suprema Corte ha chiarito che nella fattispecie, considerato che i tre malviventi avevano affrontato armati il primo cittadino mentre rientrava a casa , si può riconoscere l'esimente della legittima difesa putativa.
L'avvocato Enzo Fragalà che ha difeso nel processo il sindaco ha dichiarato: "Sono stato sempre convinto della sussistenza della legittima difesa e del comportamento esemplare del sindaco che ha voluto con la sua reazione evitare che i tre rapinatori aggredissero i suoi congiunti portando il gravissimo delitto già commesso alle estreme conseguenze.
La sentenza [...] rassicura tutti i cittadini onesti che di fronte al crimine ogni cittadino ha diritto a difendersi e a reagire".
Sono d'accordo su questo ma chi ha invece sparato davvero per legittima difesa e si trova ancora nei guai?

mercoledì 4 novembre 2009

Ancora una sentenza favorevole sull'assenza del vigile al semaforo.

La Corte di cassazione conferma ancora una volta la nullità delle multe per chi passa con semaforo rosso se sono state rilevate con il "photo red" e senza la presenza del vigile.
Proprio ieri è stato inoltrato da un cittadino un ricorso da me predisposto sulla base di questo principio. Ebbene la Corte, infatti, con la sentenza n. 23084/09 ha accolto il ricorso di un automobilista ed ha ricordato che ''la fattispecie dell'attraversamento del semaforo a luce rossa, rilevata solo con apparecchiatura a posto fisso, si presta a possibili errori, in tutti i casi in cui, il veicolo, pur avendo impegnato l'incrocio correttamente col semaforo a luce verde, sia costretto a fermarsi, subito dopo il crocevia, per possibili ingorghi, con la conseguente rilevazione non completa delle varie fasi che solo la presenza del vigile può evitare''.
In primo grado il giudice di pace aveva confermato la contravvenzione sulla base della considerazione che l'automobilista non aveva provato il ''non corretto funzionamento dell'apparecchiatura''. La Cassazione ha ora ribaltato il verdetto ribadendo la necessità della presenza del vigile in quanto l'apparecchiatura a posto fisso, soprattutto nei casi di ingorgo, rappresenta un rilevamento che ''si presta a possibili errori''.
Nella sentenza si legge inoltre che "non è decisivo il fatto che l'art. 384 reg. att. del Cds ricomprenda nell'ipotesi di impossibilità della contestazione immediata l'attraversamento dell'incrocio col semaforo rosso perchè si tratta di una norma che non può derogare a quella generale sulla necessità della contestazione immediata, quando possibile, e sulla presenza dei vigili".

martedì 3 novembre 2009

Ancora una conferma sull'invalidità della multa sulla base di una percezione soggettiva.

La Corte di Cassazione conferma i precedenti orientamenti e cioè devono considerarsi nulle le multe per alta velocità inflitte solo sulla base di quello che ha rilevato l'occhio dell'agente.
Secondo la Corte un agente accertatore può certamente contestare una guida senza cinture o la mancanza di fari accesi ma non può fare multe per eccesso di velocità sulla base della sua "percezione soggettiva" che, spiega la Corte, si deve considerare inattendibile.
La decisione è della II sezione civile (sent. n.22891/09) che ha confermato l'annullamento di una contravvenzione per eccesso di velocità inflitta da un carabinere nei confronti di un automobilista che nella circostanza guidava anche con i fari spenti e senza indossare le cinture.
"Il giudice di pace - scrive la Corte - ha chiarito che, dalla stessa descrizione dell'agente, risultavano carenti elementi oggettivi cui ancorare la valutazione operata" sulla velocità eccessiva "che in definitiva era risultata esclusivamente riferita alla sua percezione soggettiva di per sè inattendibile".

lunedì 2 novembre 2009

Sulla confisca del ciclomotore.

In caso di violazione amministrativa a opera di un soggetto minore di anni 18, la responsabilità, sorge in capo al genitore, soggetto deputato alla sorveglianza del minore che, pertanto non è estraneo alla violazione posta in essere dal minore.
Lo ha stabilito la II sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 21881/09 che condivido.
Secondo la ricostruzione della vicenda, il giudice di Pace di Pordenone aveva accolto l’opposizione proposta da un soggetto, nel caso di specie , il genitore del minore alla guida del ciclomotore, contro il Prefetto di Pordenone, per l’annullamento dell’ordinanza di ingiunzione con cui erano stati disposti la confisca di un ciclomotore sequestrato e il pagamento della sanzione amministrativa e delle spese di custodia il minore circolava alla guida di un ciclomotore.
Il genitore aveva eccepito che secondo quanto prevede l’art. 213 C.d.S., “la sanzione accessoria della confisca non è applicabile nel caso in cui il veicolo non sia di proprietà del trasgressore”.
Su ricorso proposto dal Prefetto di Pordenone, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, e ribaltando la decisione del Giudice di Pace ha risolto la questione in linea con l’orientamento della Corte in materia, affermando che “in caso di violazione amministrativa commessa da minore degli anni diciotto, incapace “ex lege”, di essa risponde in via diretta, a norma della L. n. 689 del 1981, art. 2, comma 2, applicabile anche agli illeciti amministrativi previsti dal codice della strada (art. 194 C.d.S.), colui che era tenuto alla sorveglianza dell'incapace, che, pertanto, non può essere considerato persona estranea alla violazione stessa. Ne consegue che, in caso di circolazione di minore alla guida di ciclomotore non rispondente alle prescrizioni indicate nel certificato di idoneità tecnica, ben può essere ordinata la confisca del ciclomotore di proprietà del genitore in relazione alla violazione dell'art. 97 C.d.S., comma 6 senza che sia applicabile, nella specie , l'art. 213 C.d.S., comma 6, dello stesso codice, che esclude detta misura qualora il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione amministrativa" (Cass. 7268/00; v. inoltre utilmente Cass. 9493/00 e Cass. 18469/07)”.

domenica 25 ottobre 2009

Sentenza penale sulla legge 241/90

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 39706/2009) ha stabilito che chiunque può accedere liberamente ai provvedimenti e alle procedure in corso nelle PA con una sola eccezione, i casi specifici in cui sia la legge ad imporre il segreto d’ufficio, e allora solo il cittadino che ha un concreto interesse nella pratica potrà accedervi. Gli Ermellini hanno infatti evidenziato che “occorre (…) ricordare come la legge n. 241/1990 abbia rivoluzionato la disciplina degli atti e dell’accesso agli stessi, sancendo in definitiva il principio che tutto ciò che non è segreto è accessibile. Essa contiene soltanto la regolamentazione del diritto di accesso e non anche di un parallelo obbligo di segretezza, regolando tale diritto unicamente in base all’interesse del richiedente, ovvero alla giustificazione addotta dallo stesso. Con ciò il legislatore ha inteso porre soltanto un freno all’ipotetico proliferare di richieste, che potenzialmente potrebbero paralizzare la Pubblica Amministrazione, esigendo il requisito dell’interesse, quale elemento regolatore del generico principio della completa accessibilità agli atti, restando quest’ultima comprimibile solo attraverso l’imposizione del segreto nei casi previsti dalla legge. E il caso in rassegna non rientra tra le ipotesi di segreto normativamente previste, né risulta che il Sindaco avesse imposto alcun vincolo sugli atti e sulla vicenda di (…)”.
La Corte, in relazione alla portata della norma incriminatrice che tutela le notizie che devono rimanere segrete, ha quindi evidenziato che “giurisprudenza pregressa, ma ancora attuale, è attestata sul principio che ai fini della configurabilità del reato il dovere di segreto, cui è astratto il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, deve derivare da una legge, da un regolamento, ovvero dalla natura stessa della notizia che può recare danno alla pubblica amministrazione”.

Assolto padre che fa mancare i mezzi di sussistenza se è in difficili condizioni economiche.

La VI Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 33492/09 ha stabilito che può essere assolto il padre che nonostante abbia fatto mancare i mezzi di sussistenza alla ex e ai figli piccoli versando meno di quanto stabilito in sede di separazione e in ritardo, si trovi in difficili condizioni economiche.
La Corte evidenzia che “il reato di cui all’art. 570/2° n. 2 c.p. si realizza, a prescindere dall’eventuale inadempimento degli obblighi di natura squisitamente civilistica, solo nel caso in cui sussistano, da una parte, lo stato di bisogno degli aventi diritto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza e, dall’altra, la concreta capacità economica dell’obbligato a fornirli.
In relazione alla ritenuta sussistenza del primo requisito, la sentenza impugnata non merita censure, perché sostanzialmente pone in evidenza oggettivi dati di fatto emersi dall’istruttoria dibattimentale e univocamente indicativi dello stato di bisogno degli aventi diritto: la (…) infatti, per soddisfare le esigenze minime vitali di sé stessa e del figlio minore (quest’ultimo certamente privo di un qualsiasi reddito autonomo), era stata costretta a fare ricorso all’aiuto economico dei propri genitori. Questa realtà non può ritenersi contrastata dal fatto che la donna avrebbe intrapreso una propria attività autonoma con l’apertura di una lavanderia, circostanza questa che di per sé, in difetto di altri elementi di giudizio, non smentisce lo stato di bisogno.
Censurabile, invece, è la sentenza nella parte in cui omette di verificare in concreto la sussistenza del secondo requisito e di dare una risposta ai precisi rilievi mossi sul punto, con l’atto di appello, dall’imputato. E’ pacifico che costui, nell’arco temporale preso in considerazione, versò alla moglie, senza peraltro rispettare le scadenze previste, somme d’importo inferiore a quello stabilito nel provvedimento del giudice della separazione, rendendosi così chiaramente inadempiente”.

Interessante sentenza sul comportamento dei minori sulla strada.

Una sentenza questa che merita la massima attenzione.
Infatti secondo la Corte di Cassazione quando i bambini si trovano sulla carreggiata, occorre considerare che possono avere comportamenti imprevedibili e si comportano come pedoni inesperti. Per questo gli automobilisti debbono prestare particolare prudenza e attenzione. A ricordarlo è la Corte di Cassazione, IV Sezione penale, sentenza 40587, che ha sottolineato l'obbligo di fermarsi in presenza di minorenni per strada.
In mancanza, in caso di incidente, l'automobilista che non ha rispettato le norme di comune prudenza dovrà rispondere del danno. Sulla scorta di tale motivazione la Corte ha confermato una condanna per omicidio colposo nei confronti di un giovane che procedeva alla guida di un autocarro alla velocità di appena 20 chilometri orari.
Pur essendosi reso conto che sul suo percorso marciavano due bambini in bicicletta, il camionista non si era fermato e uno di loro era stato investito ed era morto. Piazza Cavour non ha voluto sentire ragioni neppure sulla richiesta di concessione delle attenuanti. Secondo la Corte i giudici di merito hanno correttamente affermato "la responsabilità del conducente per omicidio colposo per investimento di un bambino che, giocando a rincorrersi con coetanei su uno stretto marciapiede adiacente alla carreggiata stradale, si sia spostato sulla carreggiata medesima, per non aver tenuto una velocità adeguata alla situazione di pericolo, costituita dalla presenza dei bambini".
In sostanza, si legge nella sentenza, chi era alla guida doveva "rallentare fino a fermarsi, per evitare ogni pericolo di investimento, in quanto si trattava di bambini che non sono in grado di valutare e ovviare ai pericoli inerenti alla circolazione stradale e che compiono normalmente movimenti irregolari, inconsulti e pericolosi e che possono equipararsi a pedoni incerti che tardano a scansarsi". Ricorrendo in Cassazione l'uomo aveva cercato di dimostrare che la sua guida non era stata imprudente ma che, avendo visto i bambini, aveva rallentato la corsa del mezzo. Nel respingere il ricorso Piazza Cavour ha ricordato che "in caso di investimento, esattamente viene affermata la responsabilità del conducente che non abbia moderato particolarmente la velocità del veicolo e viene escluso che la condotta del bambino che si sposti incautamente sulla carreggiata possa concretare una concausa" dell'incidente.