Con sentenza n. 23686 del 9 novembre 2009, la Corte di Cassazione torna a occuparsi di una problematica nota e piuttosto frequente in materia condominiale, inerente alla ripartizione delle spese condominiali fra il condomino che ha venduto il proprio immobile e il soggetto che ha acquistato il detto immobile, divenendo così condomino.
Come noto infatti, ai sensi dell'art. 1123 del Codice Civile, i condomini sono tenuti a sostenere le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, così come per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Trattasi di obbligazioni propter rem (costante la giurisprudenza in tal senso) posto che l'obbligo deriva dalla titolarità del diritto reale sull'immobile (ex multis, Cass. Civ. 6323/2003).
E' altresì noto che l'articolo 63 delle disposizioni di attuazione al Codice Civile prevede (al secondo comma) una solidarietà tra il venditore e l'acquirente, nei confronti del condominio, per il pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente, il tutto nell'ottica di agevolare l'amministrazione condominiale al recupero delle spese condominiali.
Senonchè il legislatore nulla dice in ordine al momento del sorgere del contributo condominiale, ossia se quest'ultimo sorga nel momento dell'autorizzazione accordata all'amministratore a compiere la spesa nell'interesse del condominio, ossia al momento della delibera, o al momento in cui sia sorta effettivamente la necessità della spesa ovvero ne sia seguita la concreta attuazione. Il problema è di non poco rilievo, anche in punto di fatto, se si pone attenzione alla circostanza che è assai frequente, nella gestione condominiale, che intercorra un considerevole lasso di tempo tra il sorgere della necessità della spesa o la concreta esecuzione dei lavori di manutenzione e il momento della delibera di approvazione della spesa medesima.
L'orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr. Cass. 23345/08, 12013/04, 6323/03) ritiene che l'obbligo del condomino al pagamento dei contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio debba ancorarsi al momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero si sia data concreta attuazione ai lavori di manutenzione, posto che la relativa delibera assembleare di approvazione della spesa ha la funzione di rendere liquido il debito determinando, in sede di ripartizione, la quota a carico di ciascun condomino, ma non costituisce quindi il presupposto dell'esistenza stessa del debito, legata invece, come detto, alla titolarità del diritto reale sul bene. E' agevole altresì osservare che tale prospettazione risponde alla logica di accollare le spese a chi veda effettivamente accresciuto il valore del proprio immobile, circostanza che si verifica evidentemente al momento dell'effettiva esecuzione dei lavori di manutenzione.
Ebbene, i Giudici di legittimità specificano altresì che nel momento in cui il condomino vende il proprio immobile, e rende noto tale trasferimento al condominio, perde il proprio status di condomino, tant'è che non è più legittimato a partecipare direttamente alle assemblee condominiali e può far valere le proprie ragioni in ordine al pagamento dei contributi dovuti (nei limiti di cui al richiamato art. 63 disp. att. c.c., II comma) solo tramite l'acquirente che è subentrato nella posizione di condomino. Ne consegue quindi che se il condomino alienante non è legittimato a partecipare alle assemblee e ad impugnare le delibere condominiali, nei suoi confronti non può essere chiesto ed emesso il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi, atteso che solanto nei confronti di colui che rivesta la qualità di condomino può trovare applicazione l'art. 63 primo comma (così Cass. Civ., Sez. II, sentenza 9 settembre 2008, n. 23345).
Il caso che ci occupa nasce dall'opposizione di un condomino innanzi al Giudice di Pace avverso un decreto ingiuntivo emesso per contributi dovuti ex art. 63 disp. att. c.c.; a fondamento dell'opposizione il condomino pone appunto la circostanza di aver venduto l'immobile prima della delibera delle spese oggetto del provvedimento d'ingiunzione; il Giudice di Pace rigetta l'opposizione rilevando in particolare che la trascrizione (e quindi la conoscenza nei terzi) della vendita dell'appartamento de quo era avvenuta successivamente alla delibera di approvazione della spesa di cui al decreto e che l'amministratore non è onerato a verificare i registri immobiliari per accertare la titolarità della proprietà. I Giudici di legittimità, nella sentenza esaminata, cassano però la sentenza del Giudice di Pace (con rinvio ad altro G.d.P.), evidenziando ancora una volta come, stante il rapporto di natura reale che lega il condomino alla proprietà dell'immobile, la vendita del bene comporta la perdita della qualità di condomino dell'ex proprietario (non rilevando la trascrizione del relativo atto, avente solo fini di pubblicità dichiarativa) e l'impossibilità di chiedere nei confronti di quest'ultimo il decreto ingiuntivo di cui al richiamato art. 63 disp. att. c.c., non essendo possibile peraltro configurare, per le medesime ragioni, la figura del condomino “apparente” (ossia di un soggetto che, con comportamenti anche univoci, possa ingenerare nell'amministratore il ragionevole convincimento di essere l'effettivo condomino, cfr. Trib. Bari, Sez. III, 25.7.08; Trib. Napoli, 13.3.06).
(Altalex, 3 dicembre 2009. Nota di Claudio Vantaggiato)
Come noto infatti, ai sensi dell'art. 1123 del Codice Civile, i condomini sono tenuti a sostenere le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, così come per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Trattasi di obbligazioni propter rem (costante la giurisprudenza in tal senso) posto che l'obbligo deriva dalla titolarità del diritto reale sull'immobile (ex multis, Cass. Civ. 6323/2003).
E' altresì noto che l'articolo 63 delle disposizioni di attuazione al Codice Civile prevede (al secondo comma) una solidarietà tra il venditore e l'acquirente, nei confronti del condominio, per il pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente, il tutto nell'ottica di agevolare l'amministrazione condominiale al recupero delle spese condominiali.
Senonchè il legislatore nulla dice in ordine al momento del sorgere del contributo condominiale, ossia se quest'ultimo sorga nel momento dell'autorizzazione accordata all'amministratore a compiere la spesa nell'interesse del condominio, ossia al momento della delibera, o al momento in cui sia sorta effettivamente la necessità della spesa ovvero ne sia seguita la concreta attuazione. Il problema è di non poco rilievo, anche in punto di fatto, se si pone attenzione alla circostanza che è assai frequente, nella gestione condominiale, che intercorra un considerevole lasso di tempo tra il sorgere della necessità della spesa o la concreta esecuzione dei lavori di manutenzione e il momento della delibera di approvazione della spesa medesima.
L'orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr. Cass. 23345/08, 12013/04, 6323/03) ritiene che l'obbligo del condomino al pagamento dei contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio debba ancorarsi al momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero si sia data concreta attuazione ai lavori di manutenzione, posto che la relativa delibera assembleare di approvazione della spesa ha la funzione di rendere liquido il debito determinando, in sede di ripartizione, la quota a carico di ciascun condomino, ma non costituisce quindi il presupposto dell'esistenza stessa del debito, legata invece, come detto, alla titolarità del diritto reale sul bene. E' agevole altresì osservare che tale prospettazione risponde alla logica di accollare le spese a chi veda effettivamente accresciuto il valore del proprio immobile, circostanza che si verifica evidentemente al momento dell'effettiva esecuzione dei lavori di manutenzione.
Ebbene, i Giudici di legittimità specificano altresì che nel momento in cui il condomino vende il proprio immobile, e rende noto tale trasferimento al condominio, perde il proprio status di condomino, tant'è che non è più legittimato a partecipare direttamente alle assemblee condominiali e può far valere le proprie ragioni in ordine al pagamento dei contributi dovuti (nei limiti di cui al richiamato art. 63 disp. att. c.c., II comma) solo tramite l'acquirente che è subentrato nella posizione di condomino. Ne consegue quindi che se il condomino alienante non è legittimato a partecipare alle assemblee e ad impugnare le delibere condominiali, nei suoi confronti non può essere chiesto ed emesso il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi, atteso che solanto nei confronti di colui che rivesta la qualità di condomino può trovare applicazione l'art. 63 primo comma (così Cass. Civ., Sez. II, sentenza 9 settembre 2008, n. 23345).
Il caso che ci occupa nasce dall'opposizione di un condomino innanzi al Giudice di Pace avverso un decreto ingiuntivo emesso per contributi dovuti ex art. 63 disp. att. c.c.; a fondamento dell'opposizione il condomino pone appunto la circostanza di aver venduto l'immobile prima della delibera delle spese oggetto del provvedimento d'ingiunzione; il Giudice di Pace rigetta l'opposizione rilevando in particolare che la trascrizione (e quindi la conoscenza nei terzi) della vendita dell'appartamento de quo era avvenuta successivamente alla delibera di approvazione della spesa di cui al decreto e che l'amministratore non è onerato a verificare i registri immobiliari per accertare la titolarità della proprietà. I Giudici di legittimità, nella sentenza esaminata, cassano però la sentenza del Giudice di Pace (con rinvio ad altro G.d.P.), evidenziando ancora una volta come, stante il rapporto di natura reale che lega il condomino alla proprietà dell'immobile, la vendita del bene comporta la perdita della qualità di condomino dell'ex proprietario (non rilevando la trascrizione del relativo atto, avente solo fini di pubblicità dichiarativa) e l'impossibilità di chiedere nei confronti di quest'ultimo il decreto ingiuntivo di cui al richiamato art. 63 disp. att. c.c., non essendo possibile peraltro configurare, per le medesime ragioni, la figura del condomino “apparente” (ossia di un soggetto che, con comportamenti anche univoci, possa ingenerare nell'amministratore il ragionevole convincimento di essere l'effettivo condomino, cfr. Trib. Bari, Sez. III, 25.7.08; Trib. Napoli, 13.3.06).
(Altalex, 3 dicembre 2009. Nota di Claudio Vantaggiato)