giovedì 1 ottobre 2009

Sentenza che condivido.

Anche se l’istanza che giustifica l’assenza del difensore per legittimo impedimento viene presentata via fax il giorno stesso dell’udienza, il giudice ha l’obbligo di esaminarla. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 37535/2009) osservando che “a fronte di una richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore, il giudice del dibattimento può accoglierla o respingerla, valutando se le ragioni addotte integrino gli estremi dell’assoluta impossibilità a comparire, ex art. 420 ter, comma 5, c.p.p. ma non può esimersi dal valutare l’istanza medesima, una volta che ne sia venuto a conoscenza. Il fatto che la comunicazione a mezzo fax non sia prevista specificamente dalla legge per il deposito delle istanze, espone il richiedente al rischio dell’intempestività nel caso la medesima istanza non venga portata a conoscenza del giudice, ma non rende la medesima nulla o inesistente”.
La Corte ha quindi precisato che “la segnalazione di un impedimento del difensore di fiducia con contestuale richiesta di rinvio, spedita via fax ai sensi dell’art. 150 cod. proc. pen. pervenuta alla cancelleria prima dell’inizio dell’udienza ma trasmessa al giudice dopo la celebrazione del dibattimento, non costituisce motivo di nullità della sentenza in quanto la scelta di un mezzo tecnico non previsto specificamente dalla legge per il deposito delle istanze, ai sensi dell’art. 121 cod. proc. Pen., espone il richiedente al rischio dell’intempestività con cui l’atto può pervenire alla conoscenza del giudice (..). Da tale orientamento giurisprudenziale si deduce che, ove l’istanza, spedita a mezzo fax, sia pervenuta prima dell’inizio dell’udienza, il giudice del dibattimento sia giustificato, non essendo ciò avvenuto, nel caso di specie si è verificata una violazione del diritto all’assistenza dell’imputato, con la conseguente nullità dell’ordinanza che ha disposto la prosecuzione del giudizio e di tutti gli atti successivi”.

Una sentenza che dovrebbe essere secondo me estesa anche per le altre circostanze.

Con la sentenza n.20611 del 24 settembre 2009 la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito che è illegittima la decurtazione dei punti dalla patente di guida a colui che ha noleggiato un’automobile, se non è stato confermato dall’agente di polizia che era proprio lo stesso soggetto alla guida dell’automobile noleggiata. La Corte ha così accolto il ricorso proposto dal ricorrente “per difetto di motivazione in punto di individuazione del conducente del veicolo”. Il primo grado, il giudice di pace, su ricorso proposto dal ricorrente, aveva ritenuto correttamente operata la contestazione e legittimamente disposta la sospensione della patente e la decurtazione dei punti, dovendosi ritenere l’opponente, quale utilizzatore del veicolo noleggiato, anche conducente al momento dell’accertamento. “In mancanza di un accertamento in ordine alla circostanza relativa alla individuazione concreta del conducente del veicolo al momento della infrazione, la relativa opposizione – ha stabilito la Corte - doveva essere accolta”. Secondo gli Ermellini, infatti, essere l’utilizzatore del veicolo (per averlo noleggiato), “non determina automaticamente, come sembra aver ritenuto il giudicante, che egli fosse anche alla guida del veicolo”.

Interessante sentenza sulle offese e ingiurie durante le arringhe.

Via libera dalla Cassazione alle offese durante le arringhe degli avvocati. Lo stabilisce la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 35880/2009) secondo cui le arringhe animate e a tratti offensive devono considerarsi lecire giacché servono al legale per sostenere una “strategia difensiva”. La Corte ha osservato peraltro che “per il riconoscimento della c.d. ‘immunità giudiziale’, prevista dall’art. 598 c.p., è necessaria l’esistenza di un nesso logico tra le offese e l’oggetto della causa, donde solo gli insulti del tutto estranei a detto oggetto vengono ad integrare i reati di ingiuria o di diffamazione. Ciò premesso, deve rilevarsi che il decidente ha argomentato come nella specie le frasi pronunciate dall’avvocato, nel corso dell’arringa difensiva – lungi dal rivelarsi gratuite – si ponevano in rapporto di strumentalità con la tesi della difesa e pertanto rientravano nell’ambito di applicazione della scriminante in esame. E’ stato infatti osservato che le espressioni contestate – se pur offensive – facevano parte della strategia posta in essere dal difensore dell’imputata, la quale appariva tesa anche ‘a verificare ed a mettere in rilievo l’attendibilità della persona offesa’”.
“Trattasi – prosegue la Corte -, di considerazioni ragione in base alle quali il giudice di merito ha accertato, con apprezzamento coerente e quindi non censurabile in sede di legittimità, un collegamento logico-causale tra le offese pronunciate dal difensore e l’oggetto del procedimento”.

Decisione ineccepibile delle Sezioni Unite.

Giro di vite della Corte di Cassazione contro quei magistrati che non consentono ai difensori di seguire la propria linea difensiva e che anzi li invitano a tagliare l'arringa. D'ora in avanti si corre il rischio di pesanti sanzioni disciplinari fino addirittura al trasferimento. La decisione che io condivisdo pienamente è delle Sezioni Unite Civili della Corte che hanno convalidato la sanzione disciplinare del trasferimento inflitta a un magistrato del Tribunale di Ancona, che aveva tenuto "comportamenti abitualmente e gravemente scorretti nei confronti dei difensori, invitandoli a rassegnare le conclusioni per poi dichiarare inammissibile o improcedibile la domanda".
La suprema Corte (sentenza 20730/2009) ha evidenziato che il comportamento del magistrato aveva determinato una grande persistente tensione con il foro di Ancona. Ne era scaturita una decisione del Cconsiglio Superiore della Magistratura che nel gennaio del 1009 aveva inflitto al togato la sanzione della censura e il trasferimento ad altra sede. Il Magistrato ha tentato di difendersi sostenendo che tensioni non c'erano nel foro di Ancona ma che l'ostilità nei suoi confronti proveniva da un solo avvocato. Gli ermellini che hanno respinto il ricorso hanno sottolineato come la sezione disciplinare del consiglio superiore della magistratura abbia "congruamente motivato la misura del trasferimento disciplinare in considerazione sia della natura degli illeciti accertati che si erano tradotti in un comportamento abitualmente e gravemente scorretto nei confronti delle parti e dei loro difensori, sia dal fatto che un tale esercizio delle funzioni giurisdizionali aveva determinato una situazione di grave conflittualita' del magistrato con il Foro di Ancona sicuramente pregiudizievole per il buon andamento dell'amministrazione della giustizia". La corte ha rilevato peraltro che le segnalazioni erano arrivate da diversi avvocati del foro e che si riferivano a più di 100 procedimenti civili.

sabato 26 settembre 2009

Interessante la sentenza 24.07.2009 n° 17355 della Cassazione in Sezioni Unite

In data 24 luglio 2009, le Sezioni Unite civili della Suprema Corte hanno depositato la decisione n. 17355 (Pres. Carbone, rel. Oddo), che appare di particolare importanza per il cospicuo contenzioso su cui va ad incidere nonché per i principi di diritto enunciati. La causa è stata decisa dalle Sezioni Unite attesa la particolare importanza della questione relativa “all'efficacia probatoria delle attestazioni contenute nel verbale di accertamento delle violazioni amministrative”.

In realtà, sulla questione il Plenum era già intervenuto, con la decisione n. 12545 del 1992 che viene ora ribadita obliterando la giurisprudenza più recente che dalla stessa si era discostata. Il punctum pruriens involgeva la ammissibilità o non, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, di contestazioni involgenti i fatti della violazione attestati nel verbale come percepiti direttamente o indirettamente dal pubblico ufficiale e, così, la possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione.

Le Sezioni Unite, disattendendo alcune più recenti aperture, opta per l’orientamento più rigoroso, reintroducendo, dunque, di fatto, un ricorso più “indotto” all’istituto della querela di falso.

Secondo i giudici della nomofilachia, la correlazione tra il dovere di menzionare nel verbale in modo preciso e dettagliato, anche se sommario, l'elemento fattuale delle violazione e l'efficacia che l'art. 2700 c.c., attribuisce ai fatti che il Pubblico ufficiale attesta nell'atto pubblico essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti comportano che tale efficacia concerna inevitabilmente tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alle violazioni menzionate nell'atto indipendentemente dalle modalità statica o dinamica della loro percezione, fermo l'obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le particolari condizioni soggettive ed oggettive dell'accertamento, giacché egli deve dare conto nell'atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l'attestazione.

L'approccio alla questione relativa all'ammissibilità della contestazione e della prova nel giudizio di opposizione alla ordinanza-ingiunzione non va conseguentemente condotto con riferimento alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente o indirettamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione, ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall'accertamento, quali l'identificazione dell'autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell'elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità ovvero rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (ad esempio, tra numero di targa e tipo di veicolo al quale questa è attribuita). Ogni diversa contestazione va, invece, svolta nel procedimento di querela di falso che consente di accertare senza preclusione di alcun mezzo di prova qualsiasi alterazione nell'atto pubblico, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti o del loro effettivo svolgersi .

La materia, in conclusione, viene plasmata come da tavole sinottiche che seguono.

Giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione del pagamento di una sanzione amministrativa

Ammessa contestazione e prova

- Circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale

- Circostanze di fatto della violazione rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (es. targa rilevata dall’accertatore non attribuibile al tipo di veicolo indicato nel verbale dal Pubblico ufficiale)

Necessaria Querela di falso

- Circostanze di fatto della violazione che sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale

- Ogni questione concernente l’alterazione del verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realità degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti, come accertati dal pubblico ufficiale


Circostanze che esulano dall'accertamento:

· l'identificazione dell'autore della violazione e la sua capacità
· la sussistenza dell'elemento soggettivo
· la sussistenza di cause di esclusione della responsabilità

Interessante sentenza sulla validità della delibera e spese proprie dell'amministratore di condominio.

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 18192 del 10 agosto 2009, ha stabilito alcuni punti fermi in tema di impugnabilità di delibere condominiali. In primo luogo, i giudici di legittimità hanno affermato il principio di diritto, in base al quale deve considerarsi nulla, e non semplicemente annullabile, la delibera dell'assemblea di condominio che ratifichi ed approvi una spesa del tutto estranea alla gestione condominiale, come, con riferimento al caso di specie, gli esborsi relativi ad un'utenza telefonica privata dell'amministratore ovvero all'acquisto in proprio di una licenza software da parte dello stesso. Tale principio, la cui portata concreta va ravvisata nella conseguente impugnabilità in ogni tempo di una simile delibera assembleare, al di là del termine di decadenza altrimenti stabilito dall'art. 1137 c.c., opera peraltro indipendentemente dall'eventuale esiguità dell'importo della spesa oggetto di contestazione, anche in relazione al complessivo numero dei condòmini ed all'entità del bilancio consuntivo di cui si vada a discutere nell'ambito della medesima assemblea. Sotto un diverso profilo, con la medesima pronuncia i giudici della Cassazione hanno altresì riconosciuto la validità di ogni delibera condominiale, che, pur non indicando espressamente l'elenco dei condòmini che abbiano approvato la delibera stessa, riporti in maniera sufficiente i nominativi di tutti i condòmini presenti alla riunione, personalmente o a mezzo delega, nonché dei condòmini astenutisi o che abbiano manifestato voto contrario e delle rispettive quote millesimali, ritenendo che le suddette indicazioni consentano in ogni caso la verifica del raggiungimento dei quorum costitutivi e deliberativi richiesti dall'art. 1136 c.c. Le argomentazioni sviluppate dagli ermellini a sostegno di tale tesi muovono innanzitutto dal tenore letterale dell'art. 1136 c.c., testè citato, il quale dispone, al secondo, al terzo, al quarto, al quinto ed al settimo comma, per quanto qui interessa, che le deliberazioni delle assemblee dei condòmini debbono approvarsi con un numero di voti che rappresenti la maggioranza, semplice o qualificata, dei partecipanti al condominio intervenuti nella riunione e del valore dell'edificio, e che delle deliberazioni deve redigersi il verbale. La norma indicata, di contro, non prevede espressamente che, ai fini della validità delle deliberazioni adottate, debbano individuarsi, mediante riproduzione nel verbale, i nomi dei singoli partecipanti alla votazione, assenzienti e dissenzienti, ed i valori delle rispettive quote millesimali. Tuttavia, secondo l'insegnamento della Cassazione, il silenzio del legislatore sul punto non deve far dubitare circa il carattere essenziale dell'individuazione nel verbale assembleare dei partecipanti assenzienti e dissenzienti. Non si può trascurare, infatti, che nelle maggioranze richieste ai fini della validità dell'approvazione delle deliberazioni, nonché della costituzione stessa dell'assemblea, debbono essere computati, oltre all'elemento personale (il numero dei partecipanti al condominio), quello reale (la quota proporzionale dell'edificio espressa in millesimi); e che la legittimazione ad impugnare la delibera è riservata ai condomini dissenzienti o assenti. Peraltro i giudici di legittimità colgono l'occasione di precisare che l'identificazione dei condomini assenzienti e dissenzienti rileva anche ad altri effetti. In particolare, i condòmini debbono essere posti in grado di valutare l'esistenza di un eventuale conflitto di interessi, possibile solo previa individuazione dei soggetti che abbiano manifestato il voto. Sulla scorta di tali premesse, la sentenza in commento ha richiamato il costante orientamento interpretativo della Suprema Corte, che ritiene illegittima, tra l'altro, quella delibera che ometta di riprodurre nel verbale l'indicazione nominativa dei singoli condomini favorevoli e contrari e le loro quote di partecipazione al condominio, limitandosi a prendere atto del risultato della votazione, mediante l'espressione "l'assemblea, a maggioranza, ha deliberato" o altra locuzione analoga (cfr. Cass., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10329; Cass., sez. II, 29 gennaio 1999, n. 810), nonché la delibera il cui verbale contenga omissioni relative alla individuazione dei singoli condomini assenzienti, dissenzienti, assenti o al valore delle rispettive quote (in tal senso Cass., Sez. Un., 7 marzo 2005, n. 4806). Con riferimento al caso di specie, la Cassazione è invece giunta ad affermare la validità della delibera assembleare impugnata, in quanto contenente, come si era potuto pacificamente accertare nel corso dell'istruttoria, l'elenco dei condomini deleganti, con l'indicazione del nome del rappresentante di ciascuno e del valore delle rispettive quote; l'elenco dei condomini presenti, con i relativi millesimi; l'elenco nominativo di tutti i condomini che si erano astenuti e di coloro che avevano espresso voto contrario, e l'approvazione, con l'indicazione delle quote rappresentate dal totale sia degli astenuti che dei contrari; l'indicazione del numero dei condomini favorevoli e la relativa quota proporzionale dell'edificio espressa in millesimi.

(Autore: www.soluzionegiuridica.it)

Sentenza che fa giustizia al diritto del singolo cittadino.

La sentenza del T.a.r. del Lazio, la n. 8560/90, sarà destinata a far discutere ancor di più in Parlamento che non è in grado a questo punto di riconoscere quanto già previsto dalla Carta Costituzionale.
Ebbene il T.a.r. del Lazio ha stabilito che "I pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare non devono in ogni caso essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, possono, nel caso in cui loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti". I giudici del Tar aggiungono che il paziente "vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi". La sentenza è stata emessa su ricorso presentato dal Movimento difesa del cittadino (Mdc), difeso dall'Avv. Pellegrino di Lecce, in relazione alla direttiva del Ministero del welfare che aveva intimato a tutte le strutture del Ssn di impedire sempre l'interruzione dell'idratazione e alimentazione artificiali in pazienti in stato vegetativo permanente. Decisione che io non condividevo.
Ora la sentenza fissa il principio per cui la volontà del paziente va sempre rispettata in relazione al trattamento di alimentazione e idratazione artificiali.
Secondo il T.a.r. si tratta di questioni che coinvolgono il diritto di rango costituzionale quale è quello della libertà personale che l'articolo 13 della costituzione qualifica come inviolabile.