Un solo bagnino per assistere i bagnanti può non essere sufficiente per evitare la condanna penale in caso di incidente. Specie se si tratta di una piscina di grandi dimensioni. Se si verifica un incidente infatti, in assenza del secondo assistente bagnante, il gestore del centro sportivo finisce sotto processo per colpa. La decisione arriva dalla IV sezione penale (sentenza n.27367/2010) che ha convalidato una condanna ad un anno di reclusione inflitta al gestore di un centro sportivo. La piscina aveva una superficie di 615 metri quadri ed aveva un solo bagnino anziche' i due prescritti. Era accaduto che una bambina era rimasta per diversi minuti sul fondo della piscina prima di essere soccorsa da altri bagnanti ed aveva perso la vita dopo 10 giorni di ricovero in ospedale. Già in primo grado i giudici di merito avevano emesso sentenza di condanna coinvolgendo anche il bagnino che aveva consentito l'ingresso della minore nella piscina per bambini omettendone il controllo. La Corte d'Appello assolveva il bagnino confermando invece la condanna del gestore. Ricorrendo in Cassazione l'imputato ha sostenuto che la presenza di un secondo bagnino non avrebbe comunque potuto evitare la morte della bambina poiche' comunque sarebbe stato impegnato a sorvegliare un'altra parte della piscina e non si sarebbe di certo trovato ai margini della vasca per i bambini dal momento che li vi svolgeva il lavoro l'unico bagnino presente (Autore: Roberto Cataldi)
venerdì 16 luglio 2010
venerdì 28 maggio 2010
Condannati i gestori del circolo per aver trasmesso partite con schede tv ad uso privato
Con sentenza n. 20142/2010, la Terza sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna impartita dai giudici di merito nei confronti dei titolari di due circoli privati per aver trasmesso o diffuso un servizio criptato al di fuori dell'accordo con il legittimo distributore sull'uso strettamente personale. Nel dettaglio, i gestori avevano trasmesso delle partite di calcio da una tv a pagamento senza avere l'autorizzazione del fornitore ma utilizzando schede destinate solo ad uso privato.
I giudici di legittimità hanno ritenuto congrue le motivazioni rese dalla Corte territoriale la quale aveva ravvisato un dolo specifico in capo agli imputati in considerazione dell'illegittimo incremento patrimoniale ottenuto a seguito della presenza di un notevole numero di avventori e la conseguente maggiore somministrazione di alimenti e di bevande.
I giudici di legittimità hanno ritenuto congrue le motivazioni rese dalla Corte territoriale la quale aveva ravvisato un dolo specifico in capo agli imputati in considerazione dell'illegittimo incremento patrimoniale ottenuto a seguito della presenza di un notevole numero di avventori e la conseguente maggiore somministrazione di alimenti e di bevande.
mercoledì 26 maggio 2010
Consiglio di Stato: idonea al servizio Poliziotta con tatuaggio in parti nascoste
Con decisione n°2950 pubblicata il 13 maggio 2010 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale si esprime in ordine al tatuaggio della candidata a partecipare al concorso per entrare in polizia. La problematica consiste nell'applicabilità del Decreto Ministeriale n°198 del 2003, che, nell'individuare le cause di inidoneità all'ammissione ai concorsi, si riferisce a "tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall'uniforme, o quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme". Il Collegio accoglie così l'appello della ricorrente che era stata esclusa dall'Amministrazione per la presenza di un tatuaggio di piccole dimensioni sulla caviglia sinistra ove, con un segno grafico in arabo, indicava la traduzione del nome di battesimo dell'aspirante poliziotta. Nulla di più di un vezzo che non ha davvero niente a che spartire per il Consiglio di Stato con le roboanti espressioni della normativa ("indice di personalità abnorme"). Oltretutto la visibilità del tatuaggio deve risultare evidente e l'ordinaria uniforme copre pressoché interamente la caviglia. La decisione, il cui estensore è il Dott. Roberto Garofoli (Presidente Giuseppe Barbagallo) annulla, quindi, la sentenza del Tar Lazio che aveva sancito l'inidoneità al servizio per tale minuzia, ponendo anche in risalto che nella divisa estiva femminile alla gonna non sono abbinate le calze.
Avv. Paolo M. Storani (civilista e penalista, dedito in particolare alla materia della responsabilità civile)
Avv. Paolo M. Storani (civilista e penalista, dedito in particolare alla materia della responsabilità civile)
mercoledì 12 maggio 2010
Interesante sentenza sulla pensione di reversibilità.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (sent. n. 9464/2010) risolve i numerosi casi di vedove, percipienti pensioni di reversibilità per il decesso del primo marito, ma risposate solo con il matrimonio canonico: la trascrizione del matrimonio canonico nei registri dello stato civile, azzera il diritto alla pensione di reversibilità a far tempo dalla data delle nuove nozze.Tale decisione è stata assunta a seguito di un ricorso dell'Inps nei confronti di una donna che, rimasta vedova nel 1967, si è risposata, solo con rito religioso, nel 1983 e ha usufruito della pensione di reversibilità del primo marito anche dopo le nuove nozze. Nel 1998, però, i coniugi, hanno deciso di regolarizzare la loro posizione sui registri dello stato civile e l'Inps ha comunicato alla donna l'indebito per i 15 anni precedenti chiedendo il recupero della somma.Il ricorso della donna ebbe esito per lei positivo in Tribunale e Corte di Appello ma l'Inps ha presentato ricorso in Cassazione. Secondo i Giudici di Piazza Cavour: "il matrimonio religioso a seguito della trascrizione ha effetti civili dal momento della celebrazione" e, conseguentemente, "l'eventuale stato vedovile di uno o di entrambi viene meno dal momento della celebrazione del matrimonio religioso" e cessa "il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità" del defunto.
Datata ma interessante Corte Costituzionale n. 323 del 1 Agosto 2008
Corte Costituzionale n. 323 del 1 Agosto 2008
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 169 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza del 5 aprile 2007 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, sul ricorso proposto da S. E. nei confronti del Ministero della difesa, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Udito nella camera di consiglio del 9 luglio 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto in fatto
1. – La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del 5 aprile 2007, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), «nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza per l’inoltro della domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione dal servizio, anziché dal momento della manifestazione della malattia», per violazione dell’art. 3, primo comma, e dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione.
2. – Il giudice rimettente riferisce che il giudizio a quo ha ad oggetto il ricorso della vedova del capitano di corvetta G. L., cessato dal servizio per collocamento in ausiliaria in data 10 giugno 1992 e deceduto il 28 aprile 1999, avverso il decreto 11 gennaio 2001, n. 1/M, con il quale il Ministero della difesa – in applicazione dell’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973 – ha respinto la domanda di pensione privilegiata di reversibilità, avanzata dalla ricorrente il 10 settembre 1999.
L’ordinanza di rimessione precisa che il provvedimento di diniego impugnato si fonda sul fatto che sono trascorsi più di cinque anni tra la presentazione della suddetta domanda e la cessazione dal servizio del militare e ciò, nonostante la Commissione medica, investita del caso, abbia accertato che l’infermità (Mesotelioma pleurico) che ha causato la morte del dipendente, diagnosticatagli nel maggio del 1998, sia dipesa dalla prolungata esposizione all’amianto subita nel corso del servizio prestato alle dipendenze della Marina militare dal 1951 fino al collocamento a riposo.
3. – Ricostruiti così i fatti di causa, il giudice a quo ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il quale stabilisce, al primo comma, che «la domanda di trattamento privilegiato non è ammessa se il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione dal servizio senza chiedere l’accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte» e, al secondo comma, che detto «termine è elevato a dieci anni qualora l’invalidità sia derivata da parkinsonismo».
3.1. – Ad avviso del rimettente, la ratio legis di tale disposizione si fonda sulle «conoscenze mediche e scientifiche dell’epoca in cui entrò in vigore il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato», approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973, quando – fatta eccezione per il morbo di Parkinson – non erano ancora note «patologie che fossero del tutto prive di qualunque manifestazione sintomatica per un arco di tempo superiore ai cinque anni».
Il successivo progresso scientifico in materia, osserva sempre il rimettente, «ha messo in luce l’esistenza di altre patologie a decorso lento e latente, il cui periodo di totale assenza di manifestazioni morbose va ben oltre il quinquennio», così come accade, in particolare, per le patologie provocate dall’esposizione all’amianto, «tutte caratterizzate da un lungo intervallo di tempo fra l’inizio dell’esposizione e la comparsa della malattia».
3.2. – Alla luce di tali considerazioni, la Corte rimettente ritiene che l’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, facendo «decorrere il termine di decadenza per l’inoltro della domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione dal servizio, anziché dal momento della manifestazione della malattia», determinerebbe una «ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti che hanno contratto malattie a normale decorso e lavoratori dipendenti con patologia a lunga latenza», in violazione dell’art. 3 della Costituzione.
La lesione del principio di eguaglianza, afferma ancora il giudice a quo, si manifesterebbe, altresì, «con riferimento al regime previsto per l’assicurazione infortuni e malattie professionali dei lavoratori dell’industria, ove il termine dell’azione per conseguire le prestazioni assicurative decorre “dal giorno dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale”», secondo quanto disposto dall’art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
3.3. – Sotto altro profilo, sempre ad avviso della Corte rimettente, la disposizione censurata contrasterebbe anche con l’art. 38, secondo comma, della Costituzione, che stabilisce il diritto dei lavoratori a che «siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» in caso di malattia.
Il giudice rimettente osserva, al riguardo, che «i termini decadenziali hanno la funzione di sanzionare un comportamento omissivo o inerte facendo venire meno il diritto di chi, pur avendone avuto la possibilità, non si è attivato tempestivamente», cosicché far decorrere il termine di decadenza dalla data di cessazione dal servizio, anziché da quella della manifestazione morbosa, «in tutti i casi in cui il tempo di latenza della malattia abbia superato il periodo decadenziale, equivale ad impedire in modo del tutto irragionevole l’esercizio del diritto riconosciuto dall’ordinamento, come quello alla pensione privilegiata».
3.4. – La Corte rimettente precisa, inoltre, che le odierne censure di legittimità costituzionale muovono da presupposti differenti rispetto a quelli posti a fondamento delle questioni aventi ad oggetto l’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, già decise da questa Corte, nel senso della manifesta inammissibilità, con le ordinanze n. 300 del 2001 e n. 246 del 2003. Nei relativi atti di rimessione, infatti, premessa «l’esistenza di un parallelismo tra il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla», si chiedeva – pur sempre in base al principio di uguaglianza – «l’estensione del termine decennale previsto per il parkinsonismo anche all’altra infermità»; scelta che questa Corte ha affermato essere riservata «alla discrezionalità del legislatore».
4. – Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente evidenzia, in primo luogo, che la Commissione medica ospedaliera interessata del caso ha riconosciuto che la prolungata esposizione all’amianto cui è stato soggetto il dante causa della ricorrente durante il servizio rappresenta la «causa unica nel determinismo della patologia neoplastica che ha condotto a morte l’interessato, per cui il decesso deve considerarsi avvenuto per causa di servizio»; in secondo luogo, che il diniego dell’Amministrazione in ordine alla concessione della pensione privilegiata è «motivato esclusivamente con riferimento al disposto di cui all’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973».
Conseguentemente, conclude la Corte rimettente, dalla «soluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale dipende […] l’esito del giudizio» a quo.
Considerato in diritto
1. – La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), «nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza per l’inoltro della domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione dal servizio, anziché dal momento della manifestazione della malattia», in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.
1.1. – Ad avviso del giudice rimettente, infatti, la norma censurata, stabilendo l’inammissibilità della domanda di trattamento privilegiato qualora «il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione del servizio senza chiedere l’accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte», determinerebbe una «ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti che hanno contratto malattie a normale decorso e lavoratori dipendenti con patologia a lunga latenza» (in violazione dell’art. 3 Cost.), nonché una irragionevole compressione del diritto alla pensione privilegiata (in contrasto con l’art. 38 Cost.), in tutte le ipotesi in cui l’infermità, pur riconosciuta come dipendente da causa di servizio, si sia manifestata successivamente al decorso di detto termine.
2. – La questione è fondata.
2.1. – Come ricordato dal giudice rimettente, questa Corte si è già occupata della legittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, sotto un profilo diverso, e precisamente in relazione alla pretesa irragionevolezza della norma per il fatto che il termine quinquennale dalla cessazione del servizio per la richiesta della pensione privilegiata risulta elevato a dieci anni nel solo caso del morbo di Parkinson, pur non potendosi escludere l’esistenza di altre malattie – come la sclerosi multipla – che, al pari di quello, risultano di difficile diagnosi e caratterizzate da esordi e decorsi mutevoli.
Con le ordinanze n. 300 del 2001 e n. 246 del 2003, tale questione fu dichiarata manifestamente inammissibile, sul rilievo che «la scelta di prorogare i termini della domanda per l’una o per l’altra malattia, sulla base di sicuri dati scientifici, appartiene indubbiamente alla discrezionalità del legislatore». Tuttavia, questa Corte osservò, al contempo, che non era stata invece censurata «la scelta del legislatore di far decorrere il termine per la domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione del servizio indipendentemente dalle modalità di manifestazione della malattia» (così ordinanza n. 246 del 2003).
2.2. – L’odierno dubbio di costituzionalità muove proprio dalla considerazione che l’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, fissando il dies a quo del termine quinquennale di decadenza al momento della cessazione dal servizio, a prescindere dalle modalità concrete di manifestazione della malattia, comprime del tutto ingiustificatamente il diritto alla pensione privilegiata dei lavoratori per i quali l’insorgenza della manifestazione morbosa, della quale sia accertata la dipendenza dal servizio, sia successiva al decorso di detto termine.
Le attuali conoscenze mediche, infatti, hanno messo in luce l’esistenza di malattie in cui, fra la causa della patologia e la relativa manifestazione, intercorre un lungo e non preventivabile periodo di latenza in assenza di alcuna specifica sintomatologia, come ad esempio in quelle provocate dall’esposizione all’amianto.
Risulta, pertanto, evidente che quando l’infermità si manifesta successivamente al decorso del termine quinquennale dalla cessazione del servizio, la norma censurata esige irragionevolmente che la domanda di accertamento della dipendenza della infermità dal servizio svolto sia inoltrata entro un termine in cui ancora difetta il presupposto oggettivo (l’infermità) della richiesta medesima. Ne consegue che, in tali casi, in palese violazione sia dell’art. 38, secondo comma, sia dell’art. 3 Cost., l’esercizio del diritto alla pensione privilegiata risulta pregiudicato ancor prima che venga ad esistenza, determinando quella ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti che hanno contratto malattie a normale decorso e lavoratori dipendenti con patologia a lunga latenza denunciata dal giudice rimettente.
2.3. – Pertanto, con riferimento ai casi nei quali la malattia insorga allorché siano già decorsi cinque anni dalla cessazione dal servizio – ferma restando la disciplina attuale per le altre ipotesi –, occorre che la norma impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che, in tale ipotesi, il termine quinquennale di decadenza per l’inoltro della domanda di accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte – ai fini dell’ammissibilità della domanda di trattamento privilegiato – decorra dalla manifestazione della malattia stessa.
Giova rimarcare, al riguardo, che, per ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata, l’infermità deve in ogni caso trarre evidenti origini dal servizio, sulla base di una rigorosa verifica della dipendenza dal medesimo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non prevede che, allorché la malattia insorga dopo i cinque anni dalla cessazione dal servizio, il termine quinquennale di decadenza per l’inoltro della domanda di accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte, ai fini dell’ammissibilità della domanda di trattamento privilegiato, decorra dalla manifestazione della malattia stessa.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’1 agosto 2008.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 169 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza del 5 aprile 2007 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, sul ricorso proposto da S. E. nei confronti del Ministero della difesa, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Udito nella camera di consiglio del 9 luglio 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto in fatto
1. – La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del 5 aprile 2007, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), «nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza per l’inoltro della domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione dal servizio, anziché dal momento della manifestazione della malattia», per violazione dell’art. 3, primo comma, e dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione.
2. – Il giudice rimettente riferisce che il giudizio a quo ha ad oggetto il ricorso della vedova del capitano di corvetta G. L., cessato dal servizio per collocamento in ausiliaria in data 10 giugno 1992 e deceduto il 28 aprile 1999, avverso il decreto 11 gennaio 2001, n. 1/M, con il quale il Ministero della difesa – in applicazione dell’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973 – ha respinto la domanda di pensione privilegiata di reversibilità, avanzata dalla ricorrente il 10 settembre 1999.
L’ordinanza di rimessione precisa che il provvedimento di diniego impugnato si fonda sul fatto che sono trascorsi più di cinque anni tra la presentazione della suddetta domanda e la cessazione dal servizio del militare e ciò, nonostante la Commissione medica, investita del caso, abbia accertato che l’infermità (Mesotelioma pleurico) che ha causato la morte del dipendente, diagnosticatagli nel maggio del 1998, sia dipesa dalla prolungata esposizione all’amianto subita nel corso del servizio prestato alle dipendenze della Marina militare dal 1951 fino al collocamento a riposo.
3. – Ricostruiti così i fatti di causa, il giudice a quo ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il quale stabilisce, al primo comma, che «la domanda di trattamento privilegiato non è ammessa se il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione dal servizio senza chiedere l’accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte» e, al secondo comma, che detto «termine è elevato a dieci anni qualora l’invalidità sia derivata da parkinsonismo».
3.1. – Ad avviso del rimettente, la ratio legis di tale disposizione si fonda sulle «conoscenze mediche e scientifiche dell’epoca in cui entrò in vigore il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato», approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973, quando – fatta eccezione per il morbo di Parkinson – non erano ancora note «patologie che fossero del tutto prive di qualunque manifestazione sintomatica per un arco di tempo superiore ai cinque anni».
Il successivo progresso scientifico in materia, osserva sempre il rimettente, «ha messo in luce l’esistenza di altre patologie a decorso lento e latente, il cui periodo di totale assenza di manifestazioni morbose va ben oltre il quinquennio», così come accade, in particolare, per le patologie provocate dall’esposizione all’amianto, «tutte caratterizzate da un lungo intervallo di tempo fra l’inizio dell’esposizione e la comparsa della malattia».
3.2. – Alla luce di tali considerazioni, la Corte rimettente ritiene che l’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, facendo «decorrere il termine di decadenza per l’inoltro della domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione dal servizio, anziché dal momento della manifestazione della malattia», determinerebbe una «ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti che hanno contratto malattie a normale decorso e lavoratori dipendenti con patologia a lunga latenza», in violazione dell’art. 3 della Costituzione.
La lesione del principio di eguaglianza, afferma ancora il giudice a quo, si manifesterebbe, altresì, «con riferimento al regime previsto per l’assicurazione infortuni e malattie professionali dei lavoratori dell’industria, ove il termine dell’azione per conseguire le prestazioni assicurative decorre “dal giorno dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale”», secondo quanto disposto dall’art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
3.3. – Sotto altro profilo, sempre ad avviso della Corte rimettente, la disposizione censurata contrasterebbe anche con l’art. 38, secondo comma, della Costituzione, che stabilisce il diritto dei lavoratori a che «siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» in caso di malattia.
Il giudice rimettente osserva, al riguardo, che «i termini decadenziali hanno la funzione di sanzionare un comportamento omissivo o inerte facendo venire meno il diritto di chi, pur avendone avuto la possibilità, non si è attivato tempestivamente», cosicché far decorrere il termine di decadenza dalla data di cessazione dal servizio, anziché da quella della manifestazione morbosa, «in tutti i casi in cui il tempo di latenza della malattia abbia superato il periodo decadenziale, equivale ad impedire in modo del tutto irragionevole l’esercizio del diritto riconosciuto dall’ordinamento, come quello alla pensione privilegiata».
3.4. – La Corte rimettente precisa, inoltre, che le odierne censure di legittimità costituzionale muovono da presupposti differenti rispetto a quelli posti a fondamento delle questioni aventi ad oggetto l’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, già decise da questa Corte, nel senso della manifesta inammissibilità, con le ordinanze n. 300 del 2001 e n. 246 del 2003. Nei relativi atti di rimessione, infatti, premessa «l’esistenza di un parallelismo tra il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla», si chiedeva – pur sempre in base al principio di uguaglianza – «l’estensione del termine decennale previsto per il parkinsonismo anche all’altra infermità»; scelta che questa Corte ha affermato essere riservata «alla discrezionalità del legislatore».
4. – Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente evidenzia, in primo luogo, che la Commissione medica ospedaliera interessata del caso ha riconosciuto che la prolungata esposizione all’amianto cui è stato soggetto il dante causa della ricorrente durante il servizio rappresenta la «causa unica nel determinismo della patologia neoplastica che ha condotto a morte l’interessato, per cui il decesso deve considerarsi avvenuto per causa di servizio»; in secondo luogo, che il diniego dell’Amministrazione in ordine alla concessione della pensione privilegiata è «motivato esclusivamente con riferimento al disposto di cui all’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973».
Conseguentemente, conclude la Corte rimettente, dalla «soluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale dipende […] l’esito del giudizio» a quo.
Considerato in diritto
1. – La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), «nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza per l’inoltro della domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione dal servizio, anziché dal momento della manifestazione della malattia», in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.
1.1. – Ad avviso del giudice rimettente, infatti, la norma censurata, stabilendo l’inammissibilità della domanda di trattamento privilegiato qualora «il dipendente abbia lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione del servizio senza chiedere l’accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte», determinerebbe una «ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti che hanno contratto malattie a normale decorso e lavoratori dipendenti con patologia a lunga latenza» (in violazione dell’art. 3 Cost.), nonché una irragionevole compressione del diritto alla pensione privilegiata (in contrasto con l’art. 38 Cost.), in tutte le ipotesi in cui l’infermità, pur riconosciuta come dipendente da causa di servizio, si sia manifestata successivamente al decorso di detto termine.
2. – La questione è fondata.
2.1. – Come ricordato dal giudice rimettente, questa Corte si è già occupata della legittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, sotto un profilo diverso, e precisamente in relazione alla pretesa irragionevolezza della norma per il fatto che il termine quinquennale dalla cessazione del servizio per la richiesta della pensione privilegiata risulta elevato a dieci anni nel solo caso del morbo di Parkinson, pur non potendosi escludere l’esistenza di altre malattie – come la sclerosi multipla – che, al pari di quello, risultano di difficile diagnosi e caratterizzate da esordi e decorsi mutevoli.
Con le ordinanze n. 300 del 2001 e n. 246 del 2003, tale questione fu dichiarata manifestamente inammissibile, sul rilievo che «la scelta di prorogare i termini della domanda per l’una o per l’altra malattia, sulla base di sicuri dati scientifici, appartiene indubbiamente alla discrezionalità del legislatore». Tuttavia, questa Corte osservò, al contempo, che non era stata invece censurata «la scelta del legislatore di far decorrere il termine per la domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione del servizio indipendentemente dalle modalità di manifestazione della malattia» (così ordinanza n. 246 del 2003).
2.2. – L’odierno dubbio di costituzionalità muove proprio dalla considerazione che l’art. 169 del d.P.R. n. 1092 del 1973, fissando il dies a quo del termine quinquennale di decadenza al momento della cessazione dal servizio, a prescindere dalle modalità concrete di manifestazione della malattia, comprime del tutto ingiustificatamente il diritto alla pensione privilegiata dei lavoratori per i quali l’insorgenza della manifestazione morbosa, della quale sia accertata la dipendenza dal servizio, sia successiva al decorso di detto termine.
Le attuali conoscenze mediche, infatti, hanno messo in luce l’esistenza di malattie in cui, fra la causa della patologia e la relativa manifestazione, intercorre un lungo e non preventivabile periodo di latenza in assenza di alcuna specifica sintomatologia, come ad esempio in quelle provocate dall’esposizione all’amianto.
Risulta, pertanto, evidente che quando l’infermità si manifesta successivamente al decorso del termine quinquennale dalla cessazione del servizio, la norma censurata esige irragionevolmente che la domanda di accertamento della dipendenza della infermità dal servizio svolto sia inoltrata entro un termine in cui ancora difetta il presupposto oggettivo (l’infermità) della richiesta medesima. Ne consegue che, in tali casi, in palese violazione sia dell’art. 38, secondo comma, sia dell’art. 3 Cost., l’esercizio del diritto alla pensione privilegiata risulta pregiudicato ancor prima che venga ad esistenza, determinando quella ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti che hanno contratto malattie a normale decorso e lavoratori dipendenti con patologia a lunga latenza denunciata dal giudice rimettente.
2.3. – Pertanto, con riferimento ai casi nei quali la malattia insorga allorché siano già decorsi cinque anni dalla cessazione dal servizio – ferma restando la disciplina attuale per le altre ipotesi –, occorre che la norma impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che, in tale ipotesi, il termine quinquennale di decadenza per l’inoltro della domanda di accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte – ai fini dell’ammissibilità della domanda di trattamento privilegiato – decorra dalla manifestazione della malattia stessa.
Giova rimarcare, al riguardo, che, per ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata, l’infermità deve in ogni caso trarre evidenti origini dal servizio, sulla base di una rigorosa verifica della dipendenza dal medesimo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 169 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non prevede che, allorché la malattia insorga dopo i cinque anni dalla cessazione dal servizio, il termine quinquennale di decadenza per l’inoltro della domanda di accertamento della dipendenza delle infermità o delle lesioni contratte, ai fini dell’ammissibilità della domanda di trattamento privilegiato, decorra dalla manifestazione della malattia stessa.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’1 agosto 2008.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
sabato 8 maggio 2010
Novità sul codice della strada.
La mini-riforma del Codice Stradale non è ancora legge dello Stato perché la Camera dei Deputati deve rivotare in terza lettura ma alcuni novità sono ormai assodate: si tratta della targa personale, che il proprietario può trasferire al cambio di autoveicolo, della guida dei ciclomotori da 50 cc, che dal primo gennaio 2011 imporrà il possesso di un patentino che si otterrà dopo una prova pratica di guida. Il nuovo codice della strada recepisce così una Direttiva Comunitaria. I limiti di velocità risultano invariati rispetto alla situazione attuale; obbligo del casco per i ciclisti sino a quattordici anni, mentre i motociclisti che vogliono trasportare individui dai 5 ai 12 anni dovranno dotarsi, secondo quanto imporrà un decreto ministeriale, di un apposito seggiolino da agganciare alla sella. Una buona notizia per i ciclisti che si sono visti sottrarre i punti dalla patente per aver commesso infrazioni, parafrasando la dolcissima canzone di Riccardo Cocciante "pedalando in bicicletta". D'ora in poi pagheranno una multa ma la loro patente è in salvo. Inoltre non c'è nessuna sanzione se si parcheggia la propria bicicletta sul marciapiedi o nelle aree pedonali ove manchino gli apposti parcheggi di prossimità per i velocipedi. Per quanto riguarda la notifica della multe i tempi si sono più che dimezzati. Si passa dai 150 giorni attuali a 60 dì come limite massimo. Infine, è prevista un'agevolazione per i portatori di handicap che godranno sgravi fiscali all'atto dell'acquisto della nuova automobile. E' passato l'emendamento che prevede che la sospensione della patente possa essere revocata temporaneamente dal Prefetto per strette esigenze familiari o lavorative di chi ha sofferto la sanzione, ma in tale eventualità il lasso di tempo della sospensione viene in ogni caso allungato. Si tratta naturalmente di anticipazioni di novità, talché il Portale tornerà ad illustrarle in modo più analitico e compiuto una volta assodato che entreranno in vigore. L'interprete giuridico italiano, si sa, naviga a vista.
Avv. Paolo M. Storani (civilista e penalista, dedito in particolare alla materia della responsabilità civile)
Avv. Paolo M. Storani (civilista e penalista, dedito in particolare alla materia della responsabilità civile)
domenica 2 maggio 2010
Non è evasione dagli arresti domicliari per chi fugge dalla famiglia.
Curiosa la sentenza della Corte di cassazione.
Secondo i giudici della legittimità non è evasione abbandonare gli arresti domiciliari per evitare un’impossibile convivenza con la famiglia.
Lo ha stabilito con la sentenza n. 16673 del 30 aprile 2010 decidendo sul ricorso di un uomo di Nocera Inferiore (Salerno) che era intenzionalmente uscito dalla sua abitazione dove era relegato agli arresti domiciliari per consegnarsi alla polizia.
Secondo i giudici della legittimità non è evasione abbandonare gli arresti domiciliari per evitare un’impossibile convivenza con la famiglia.
Lo ha stabilito con la sentenza n. 16673 del 30 aprile 2010 decidendo sul ricorso di un uomo di Nocera Inferiore (Salerno) che era intenzionalmente uscito dalla sua abitazione dove era relegato agli arresti domiciliari per consegnarsi alla polizia.
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