Interessante la sentenza n. 5063 del 3.3.09 della III sezione civile della Corte di cassazione.
Il procedimento riguarda un pedone a seguito di un incidente stradale poi deceduto.
Gli eredi hanno proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Milano del 9.3. 2.4/06 che aveva confermato la sentenza del locale Tribunale del 9.1.02 con la quale aveva ritenuto la esclusiva responsabilità del pedone nella causazione dell'incidente.
I giudici di appello hanno premesso che la prova liberatoria per il conducente di un autoveicolo può risultare anche indirettamente dall'accertamento che il comportamento della vittima sia stato causa esclusiva dell'evento dannoso, comunque non evitabile dal conducente.
Nel caso di specie, dalla risultanze processuali era emerso che il pedone aveva attraversato la strada improvvisamente in un punto in cui non vi era passaggio pedonale. Egli avrebbe dovuto quindi dare la precedenza ai veicoli.
Il conducente del veicolo procedeva a velocità non elevata adeguata alle circostanze di tempo e di luogo, come dimostravano le tracce di frenata ed il punto d'urto. Aveva tentato di frenare per evitare l'urto non appena avvedutosi del fatto che il pedone iniziava l'attraversamento della strada.
Avverso tale decisione gli eredi del pedone deceduto hanno proposto ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione ha stabilito che, la Corte di appello milanese, con motivazione logica che sfugge a qualsiasi censura, ha preso in esame tutte le risultanze istruttorie ed ha concluso che l'evento mortale si era verificato per esclusiva colpa della vittima, che ebbe ad attraversare improvvisamente la strada, proseguendo l'attraversamento dopo aver lasciato scorrere il veicolo dinanzi a sè.
La rottura dell'indicatore luminoso direzionale destro, sistemato tra montante anteriore e parafango, dimostrava che era stato il pedone ad urtare la vettura, quando questa era già in parte passata dinanzi a lui.
Tutto ciò dimostrava, ha concluso la Corte, che il pedone non aveva ispezionato con attenzione la carreggiata e non si era arrestato quando l'auto lo aveva già parzialmente superato.
A carico del conducente del veicolo sarebbe stato possibile ipotizzare una qualche responsabilità solo nel caso in cui fosse risultato che lo stesso avesse tenuto una velocità non adeguata alle condizioni di tempo e di luogo.
Nulla di tutto ciò era invece emerso nel giudizio civile ed in quello penale, conclusosi con l'assoluzione del conducente dell'auto con formula ampia.
Il conducente dell'autoveicolo, ha riconosciuto la Corte territoriale, non ebbe a violare alcuna noma, nè di legge nè di prudenza, ma fece tutto il possibile per evitare il danno, tentando di porre in essere una manovra di emergenza.
Non solo nel caso di specie ha ritenuto di disattendere anche le censure sulla violazione da parte dei giudi di merito degli articoli 141 e 191 codice della strada, artt. 2054 e 1227 c.c., con le quali si è contestato il carattere imprevedibile dell'attraversamento e riproposto la questione della colpa concorrente del conducente dell'auto, per non avere uniformato la propria condotta di guida alle prescrizioni di cui all'art. 141 C.d.S..
Nel caso di specie, dalla risultanze processuali era emerso che il pedone aveva attraversato la strada improvvisamente in un punto in cui non vi era passaggio pedonale. Egli avrebbe dovuto quindi dare la precedenza ai veicoli.
Il conducente del veicolo procedeva a velocità non elevata adeguata alle circostanze di tempo e di luogo, come dimostravano le tracce di frenata ed il punto d'urto. Aveva tentato di frenare per evitare l'urto non appena avvedutosi del fatto che il pedone iniziava l'attraversamento della strada.
Avverso tale decisione gli eredi del pedone deceduto hanno proposto ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione ha stabilito che, la Corte di appello milanese, con motivazione logica che sfugge a qualsiasi censura, ha preso in esame tutte le risultanze istruttorie ed ha concluso che l'evento mortale si era verificato per esclusiva colpa della vittima, che ebbe ad attraversare improvvisamente la strada, proseguendo l'attraversamento dopo aver lasciato scorrere il veicolo dinanzi a sè.
La rottura dell'indicatore luminoso direzionale destro, sistemato tra montante anteriore e parafango, dimostrava che era stato il pedone ad urtare la vettura, quando questa era già in parte passata dinanzi a lui.
Tutto ciò dimostrava, ha concluso la Corte, che il pedone non aveva ispezionato con attenzione la carreggiata e non si era arrestato quando l'auto lo aveva già parzialmente superato.
A carico del conducente del veicolo sarebbe stato possibile ipotizzare una qualche responsabilità solo nel caso in cui fosse risultato che lo stesso avesse tenuto una velocità non adeguata alle condizioni di tempo e di luogo.
Nulla di tutto ciò era invece emerso nel giudizio civile ed in quello penale, conclusosi con l'assoluzione del conducente dell'auto con formula ampia.
Il conducente dell'autoveicolo, ha riconosciuto la Corte territoriale, non ebbe a violare alcuna noma, nè di legge nè di prudenza, ma fece tutto il possibile per evitare il danno, tentando di porre in essere una manovra di emergenza.
Non solo nel caso di specie ha ritenuto di disattendere anche le censure sulla violazione da parte dei giudi di merito degli articoli 141 e 191 codice della strada, artt. 2054 e 1227 c.c., con le quali si è contestato il carattere imprevedibile dell'attraversamento e riproposto la questione della colpa concorrente del conducente dell'auto, per non avere uniformato la propria condotta di guida alle prescrizioni di cui all'art. 141 C.d.S..
A nulla è servito che i ricorrenti hanno ribadito che il pedone venne investito dalla parte anteriore destra del veicolo e non già dalla fiancata laterale destra in quanto trattasi di questioni attinenti alla ricostruzione delle modalità dell'incidente e, dunque, a questioni di merito, in ordine alle quali il giudice di appello ha fornito sufficiente e congrua motivazione.
La Corte in definitiva ha concluso per il rigetto del ricorso.
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