giovedì 26 novembre 2009

Non commette reato chi circola con il mezzo sottoposto a fermo amministrativo.

Proprio pochi giorni fa avevo suggerito ad un mio amico di utilizzare l'unico mezzo sottoposto (per mero errore e ritardo nella notificazione di una sentenza favorevole) al fermo amministrativo da ben 4 mesi !
Ebbene la VI Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 44498/09 che condivido pienamente ha stabilito che non commette reato chi circola con il mezzo sottoposto a fermo amministrativo.
Gli Ermellini hanno infatti evidenziato che “ritiene la Corte, in adesione ad un dominante orientamento di questa sezione, di ritenere l’insussistenza della violazione dell’art. 334 c.p., allorquando la materialità della condotta di sottrazione abbia ad oggetto beni sottoposti a provvedimento di fermo amministrativo, ai sensi dell’art. 214 D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285. Conclusione negativa che si impone, considerata l’impossibile riconducibilità del ‘fermo amministrativo’, avuto riguardo ai due distinti profili che attengono al principio di tassatività e determinatezza delle fattispecie penali ed al divieto del ricorso della analogia in malam partem”.

lunedì 23 novembre 2009

Ci si salva se il tradimento è unico ed isolato?

Mah non condivido molto questa sentenza in quanto il tradimento è sempre un tradimento. Invece per la cassazione quando sono entrambi i coniugi a violare i doveri che discendono dal matrimonio il fatto che uno dei due abbia tradito non giustifica di per sè la pronuncia di addebito della separazione. Lo afferma la Corte di Cassazione chiarendo che il giudice di merito deve pur sempre procedere ad un raffronto dei comportamenti tenuti da entrambe le parti. Solo questo confronto consente infatti di di stabilire quale delle condotte abbia avuto incidenza nel determinare la crisi coniugale. Secondo i giudici del Palazzaccio (sentenza 6697/09) sussiste un "potere-dovere del giudice del merito di procedere ad un accertamento rigoroso e ad una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, onde stabilire se l'infedeltà di un coniuge (come in genere ogni altro comportamento contrario ai doveri del matrimonio) possa essere rilevante al fine dell'addebitabilità della separazione, essendo stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, ovvero se non risulti aver spiegato concreta incidenza negativa sull'unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza". Il caso preso in esame dalla Corte riguarda una ex moglie a cui i giudici di merito avevano attribuito la colpa della separazione in relazione ad un unico ed isolato episodio di tradimento senza considerare i comportamenti del marito che aveva nascosto per ben due anni alla moglie la sua incapacità di procreare.

I cani non sempre devono avere guinzaglio e museruola.

La II Sez. Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23820/09 ha stabilito che non può essere multato un padrone di un cane che gira libero per piccole strade con qualche abitazione intorno.
Difatti, osserva la Corte, i cani non sempre devono avere guinzaglio e museruola.
La Corte, nel caso di specie, ha osservato che “risulta (…) fondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta che non sia stata indicata la norma di legge violata, ma soltanto un’ordinanza comunale, che vieta la circolazione degli animali in centro abitato.
Deduce inoltre che egli aveva rispettato l’ordinanza, poiché il proprio cane si trovava lungo un tratturo nei pressi della propria abitazione e non nel centro abitato.
La sentenza impugnata presta il fianco alla doglianza (che non è inammissibile censura di merito, ma attiene alla motivazione resa sul punto relativo alla nozione di centro abitato), giacché il giudice di pace ha desunto l’esistenza della violazione dal fatto che i cani del (…) circolavano liberamente ‘in prossimità di altre abitazioni, e dunque nel pieno centro abitato del comune’, circostanza riscontrata dalla cartografia in atti.
Il giudicante ha quindi equiparato al centro abitato la presenza di alcune abitazioni, ma tale equiparazione è concettualmente errata, poiché la mera presenza di ‘altre abitazioni’ (è da intendere oltre quella dell’opponente) non è di per sé prova della ubicazione in centro abitato.
E’ invece positivo riscontro del contrario, poiché altrimenti sia il verbale, contestato sul punto, che la sentenza avrebbero potuto (e dovuto) indicare il nome della via in cui avvenne il fatto e gli altri elementi oggettivi e inequivocabili che connotano la nozione di centro abitato, senza ricorrere a un’indicazione presuntiva talmente vaga da fornire implicitamente prova della inconsistenza dell’ipotesi sostenuta”.

venerdì 13 novembre 2009

Nulle le multe elevate nelle ztl il cui orario è stato esteso dal Comune in occasione di festività.

La II Sez. Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23661/09 che condivido ha stabilito che sono nulle le multe elevate nelle zone a traffico limitato il cui orario è stato esteso dal Comune in occasione di festività o eventi senza che sia stato prima modificato il cartello all’ingresso della zona vietata.
Gli Ermellini hanno evidenziato che se la giunta comunale prolunga, in un determinato periodo dell’anno, l’orario della zona a traffico limitato, "il Comune deve darne idonea pubblicità, modificando la segnaletica posta all’ingresso dei varchi o in altri modi considerati dalla normativa equipollenti, in modo che l’utente sia adeguatamente informato del provvedimento; l’onere della prova al riguardo spetta all’autorità amministrativa, sicché, in difetto, non può essere affermata la responsabilità dell’opponente che sia transitato nella zona a traffico limitato facendo affidamento su un cartello stradale, posto all’ingresso del varco, che, con riguardo a quella fascia oraria, non ponga alcuna delimitazione né all’ingresso né alla circolazione”.

lunedì 9 novembre 2009

Questione infinita sugli ausiliari del traffico. Ora possono fare le multe anche fuori le strisce blu se dipendenti del Comune.

Evidentemente la questione dei c.d. vigilini non finisce mai. Secondo la Corte di cassazione ora quelli dipendenti del Comune (per quanto è di mia conoscenza in casi rari) possono sanzionare gli automobilisti “indisciplinati” che parcheggiano in divieto di sosta le proprie autovetture: i limiti di competenza sono validi solamente per coloro che si trovano alle dipendenze delle società concessionarie e per gli ispettori del trasporto pubblico.
Ha stabilirlo è la  sentenza 22676/09.

I poteri degli ausiliari del traffico: la normativa di riferimento
Per quanto concerne il profilo normativo, va ricordato che la Legge 15 maggio 1977, n. 127 (e la successiva legge 488/1999), art. 17, ha stabilito che i Comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione.
Il legislatore, in base a quanto disposto dalle sopra menzionate normative, in presenza ed in funzione di particolari esigenze di traffico cittadino, tra cui possono comprendersi anche e soprattutto le problematiche connesse alle aree da riservare a parcheggio a pagamento, ha stabilito che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati, i quali abbiano una particolare investitura, da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto, in considerazione “della progressiva rilevanza dei problemi delle soste e parcheggi” (cfr. anche sull’argomento Corte cost., ord. n. 157/2001).
Il legislatore, pertanto, secondo quanto stabilito nelle richiamate discipline, che estendono a soggetti non compresi tra quelli ai quali tali funzioni sono istituzionalmente attribuite, le suddette funzioni, ha pertanto delimitato con rigore il senso di tale attribuzione, precisando come la competenza delegata ai dipendenti della concessionaria siano limitate alle violazioni in materia di sosta dei veicoli commesse nelle aree comunali oggetto di concessione e specificamente destinate al parcheggio, previo pagamento di ticket, potendosi estendere anche alle aree poste a servizio di quelle a pagamento, immediatamente limitrofe, se ed in quanto precludano la funzionalità del parcheggio stesso.

La vicenda
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso di un Comune nei confronti di un automobilista, “colpevole” di aver parcheggiato in divieto di sosta.
In primo grado il giudice aveva annullato la sanzione con la motivazione che l’ausiliario aveva elevatola contravvenzione in una zona non inclusa nel capitolato per la gestione dei parcheggi comunali, dunque, fuori dal raggio di azione dei c.d. vigilini.
L’automobilista era riuscito ad ottenere l’annullamento della multa fatta da un ausiliario, in una strada che non era stata data in concessione, come area di parcheggio, ad una società privata.
I giudici di legittimità, però, sono stati di avviso contrario ritenendo che le funzioni di verifica della sosta possono essere delegate agli ispettori della aziende di trasporto pubblico urbano, ai lavoratori della società concessionaria di un'area destinata a parcheggio e ai dipendenti comunali. Mentre le prime due categorie, chiarisce la Corte, hanno poteri limitati al territorio "assegnato" i dipendenti del Comune possono elevare multe per divieto di sosta in qualsiasi zona.
I precedenti giurisprudenziali
Le violazioni in materia di sosta che non riguardino le aree contrassegnate con le strisce blu e/o da segnaletica orizzontale e non comportanti pregiudizio alla funzionalità delle aree distinte come sopra precisato, non possono essere legittimamente rilevate da personale dipendente delle società concessionarie di aree adibite a parcheggio a pagamento, seppure commesse nell’area oggetto di concessione (ma solo limitatamente agli spazi distinti con strisce blu)” (Cassazione Civile, sezioni unite, sentenza del 9 marzo 2009, n. 5621).

Sempre la Corte di cassazione, con sentenza n. 20558/07, (richiamandosi ad una recente pronuncia della stessa Corte sent. n. 9287/06), ha stabilito che il potere dell’ausiliario dipendente dalla società concessionaria del parcheggio a pagamento, previsto dall’art. 17 comma 132 della L. 127/1997, non è limitato a rilevare le infrazioni strettamente collegate al parcheggio stesso (ovvero il mancato pagamento della tariffa o il pagamento effettuato in misura inferiore al dovuto, l’intralcio alla sosta degli altri veicoli negli appositi spazi e così via), ma è esteso anche alla prevenzione ed al rilievo di tutte le infrazioni ricollegabili alla sosta nella zona oggetto della concessione, in relazione al fatto che nella suddetta zona la sosta deve ritenersi consentita esclusivamente negli spazi concessi e previo pagamento della tariffa stabilita; pertanto ogni infrazione alle norme sulla sosta in tali zone può essere rilevata dagli ausiliari dipendenti della società concessionaria, essendo quest’ultima direttamente interessata, nell’ambito territoriale suddetto, al rispetto dei limiti e dei divieti per il solo fatto che qualsiasi violazione incide sul suo diritto alla riscossione della tariffa medesima.

Se un corriere sbaglia indirizzo e il ricorso non viene depositato chi paga?

L’art. 1218 c.c. fissa il principio fondamentale, in base al quale il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto a risarcire il danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile . L’avvocato che assume l’incarico di proporre il ricorso per cassazione avverso una sentenza di merito, assume l’obbligo giuridico, tra gli altri, di procedere al deposito dell’atto nel rispetto dei termini previsti dal codice di rito.
L’art. 369 c.p.c., infatti. prevede che “il ricorso per cassazione deve essere depositato nella cancelleria della Corte, a pena di improcedibilità, nel termine di giorni venti dall’ultima notifica …”. 
Ne deriva che il professionista, che ometta di depositare il ricorso nel termine appena indicato, sia inadempiente alla sua obbligazione e, pertanto, tenuto a risarcire i danni, salva la prova della impossibilità sopravvenuta per causa a lui non imputabile. Quid iuris se i termini per il deposito non siano rispettati perché il corriere, al quale l’avvocato abbia affidato il plico contenente il ricorso affinché lo recapiti al Collega domiciliatario su Roma, lo consegna ad un destinatario sbagliato? Si può ritenere integrata la causa non imputabile, ai fini dell’esonero del professionista dalla responsabilità? 
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15895/09 del 7.7.09 fornisce una risposta negativa a tale quesito, riconoscendo il diritto del cliente ad ottenere il risarcimento dei danni che sono derivati in suo pregiudizio dalla improcedibilità del ricorso. 
Secondo i giudici di Piazza Cavour, in particolare, l’avvocato ha la facoltà di affidare il ricorso a terzi, affinché questi provvedano per suo conto all’adempimento delle successive formalità, quali il deposito, ma non può limitarsi a fare affidamento sulla diligenza dei suoi ausiliari, ovvero del corriere o del servizio postale, essendo tenuto comunque a accertarsi che il deposito avvenga entro i termini stabiliti.
Il professionista, dunque, è in ogni caso responsabile dei danni patiti dal cliente per effetto della mancata esecuzione degli obblighi nascenti dal contratto d’opera professionale, anche nel caso in cui l’inadempimento sia ascrivibile non solo a sua colpa, ma anche alla responsabilità di coloro di cui si sia avvalso per l’espletamento dell’incarico ricevuto. 
La soluzione prospettata dalla Corte appare l’effetto di una lineare applicazione dell’art. 1228 c.c. e, per altro verso, rappresenta un fulgido esempio di come, quanto meno con riferimento alle attività c.d. “riturali”, l’obbligazione dell’avvocato sia sempre più una obbligazione di risultato e non di mezzi.
Per la sentenza cliccate qui 

sabato 7 novembre 2009

Decisione del garante sulla cartella clinica del defunto.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha stabilito che il convivente di una persona defunta ha diritto di accedere alla sua cartella clinica se intende fare chiarezza in sede giudiziaria sull’operato del personale medico della struttura sanitaria dove questa era in cura.
L’Autorità ha reso noto che il diritto del convivente a prendere visione della cartella clinica del defunto, va rintracciata nell’art. 9, co. 3, del Codice della Privacy che riconosce tale diritto, riferito a dati personali concernenti persone decedute a ‘chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione’.
Si ma gli altri familiari che non convivevano necessariamente con il defunto?