domenica 11 ottobre 2009

Una sentenza discutibilissima.

Discutibile o almeno non condivisibile parzialmente la sentenza n. 799/09 della Commissione Tributaria provinciale di Lecce che accogliendo il ricorso di un proprietario di un albergo ha sostenuto che non ci devono essere disparità nelle tasse (tarsu) tra chi possiede una civile abitazione ed una struttura ricettiva.
Io ritengo che contrariamente a quanto sostenuto da alcuni organi di stampa non ci possa essere alcun terremoto negli enti locali da questa sentenza poichè sarà senz'altro impugnata nel caso di specie dal Comune di Gallipoli e disapllicata dai restanti Comuni.
Argomento del giorno è l'art. 68 del decreto legislativo 507/93 la tarsu e il regolamento comunale.
La norma di legge a ben vedere impone si ai Comuni di stabilire con regolamento la classificazione delle categorie sottoposte alla misura tariffaria ma detta "criteri di massima".
Pertanto i Comuni hanno la possibilità di derogare al detto criterio fissato dal legislatore.
Il tutto ovviamente motivando la differenziazione della tariffa.
E nel caso di specie è la "giusta" motivazione che è mancata e ad indurre la Commissione tributaria ad accogliere il ricorso del contribuente proprietario di un albergo.
Infatti per quanto riguarda le strutture ricettive turistiche (alberghi e ristoranti) ritengo non sia possibile prendere in considerazione per la tassazione dei rifiuti (tarsu) la metratura come avviene per le civili abitazioni.
Un solo esempio dovrebbe far riflettere quei giudici: un ristorante di appena 50 mq con spazio all'aperto di 100 mq può mai produrre gli stessi rifiuti di una civile abitazione degli stessi 50 mq.

venerdì 9 ottobre 2009

Annullato il licenziamento contestato in ritardo.

Interessante la sentenza n. 21221/09 della Corte di cassazione, sezione Lavoro, che ha stabilito che può essere annullato il licenziamento contestato in ritardo dall'azienda senza un motivo plausibile.
Gli Ermellini sottolineano che “la sentenza di questa Corte 14.4.2005 n. 7729, accogliendo il terzo motivo del ricorso allora in discussione, osservava che ‘nel licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura come elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessiva della struttura organizzata dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o mento il ritardo”.

I disabili devono pagare il parcheggio nelle aree blu.

Ecco quando succedono fatti come questi si evince la carenza delle leggi italiane.
Ebbene la Corte di Cassazione II sezione civile con la discutibile sentenza n. 21271/09 ha stabilito che devono pagare il ticket i disabili che parcheggiano nelle strisce blu e ciò anche se non hanno trovato posto negli spazi loro riservati.
Ma non sarebbe sufficiente esporre sul parabrezza il contrassegno o l'autorizzazione prevista per i disabili e al massimo accertare che l'autovettura sia davvero di un disabile?
Ebbene gli Ermellini hanno invece evidenziato che “(…) gli artt. 188, comma 3, c.d.s. e 11, comma 1, d.P.R. n. 503/1996, cit., prevedono per i titolari del contrassegno l’esonero, rispettivamente, dai limiti di tempo nelle aree di parcheggio a tempo determinato e dai divieti e limitazioni della sosta disposti dall’autorità competente; l’obbligo del pagamento di una somma è, invece, cosa diversa dal divieto o limitazione della sosta, come del resto è confermato dall’art. 4, comma 4, lett. d), c.d.s. (per il quale l’ente proprietario della strada può ‘vietare o limitare o subordinare al pagamento di una somma il parcheggio o la sosta dei veicoli’) che li considera alternativi”.
La Corte ha poi affermato che “né ha fondamento invocare a sostegno di una diversa interpretazione, come fa il ricorrente, l’esigenza di favorire la mobilità delle persone disabili . Dalla gratuità – anziché onerosità come per gli altri utenti – della sosta deriva, infatti, un vantaggio meramente economico, non un vantaggio in termini di mobilità, la quale è favorita dalla concreta disponibilità – piuttosto che dalla gratuità – del posto dove sostare; sicché, anche in caso di disponibilità dei posti riservati ai sensi dell’art. 11, comma 5, d.P.R. n. 503/1996, invocato dal ricorrente, non vi è ragione di consentire, in mancanza di previsione normativa, la sosta gratuita alla persona disabile che abbia trovato posto negli stalli a pagamento”.
Non condivido del tutto questa sentenza.

giovedì 8 ottobre 2009

Ancora sul sequestro preventivo dell'autoveicolo.

Il comproprietario dell'autovettura sequestrata ex art. 186 comma 2 Codice della Strada non ha diritto alla restituzione del veicolo, in quanto la misura cautelare reale è finalizzata alla confiscabilità della quota di proprietà dell'imputato, da considerarsi finalità ammissibile, la quale richiede il mantenimento del sequestro al fine di evitare che il bene sia disperso e che ritornato nella disponibilità dei comproprietari possa essere nuovamente usato dal soggetto che è stato trovato alla guida in stato di alterazione alcolica, situazione che la norma in oggetto intende prevenire; in ogni caso, il comproprietario non imputato potrà rivalersi sul prezzo ricavabile dalla vendita dell'autovettura. Di seguito la sentenza n. 28189/09.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RIZZO Aldo Sebastian Presidente Dott. CAMPANATO Graziana Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe " Dott. GALBIATI Ruggero " Dott. MARESCA Mariafrancesca "
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) X.Y., N. IL (omissis);
avverso ordinanza del 29/12/2008 Trib. Libertà di Cagliari;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CAMPANATO GRAZIANA;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. D'ANGELO Giovanni, che ha chiesto
il rigetto del ricorso.
OSSERVA

Il (omissis) veniva fermato dai carabinieri di Iglesias in località (omissis) alla guida dell'auto (omissis) tg. (omissis) e, sottoposto a controllo alcolimetrico, risultava in stato di ebbrezza alcolica (2,23 g/l alle ore 23,46 e 2,16 g/l alle ore 00,02). Il veicolo veniva sottoposto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria sancita dall'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), come modificato ed integrato dalla L. n. 125 del 2008. Detto sequestro veniva convalidato e tempestivamente reiterato dal GIP di Cagliari.

Con istanza 6.11.08 X.Y., moglie del (omissis) chiedeva la restituzione dell'autovettura, rivendicandone l'esclusiva proprietà e - comunque - contestando la sequestrabilità della medesima anche se ritenuta di proprietà comune con il marito.
Il GIP suddetto respingeva l'istanza ed in sede d'appello ex art. 322 bis c.p.p. il Tribunale di Cagliari confermava tale decisione, ribadendo che dal certificato di proprietà l'autovettura risultava appartenere ad entrambi i coniugi ed il fatto che la X.Y. avesse contratto un finanziamento per acquistarla non ne dimostrava la proprietà esclusiva. Dava atto che l'istante era estranea al reato e che quindi la sua quota di proprietà non poteva essere sacrificata, ma ciò non impediva di mantenere il sequestro al fine di confiscare la quota spettante all'imputato con la conseguente vendita dell'autovettura sul cui prezzo la X.Y. avrebbe potuto soddisfare il proprio diritto di comproprietaria.
Avverso questo provvedimento l'interessata ha proposto ricorso per cassazione deducendo inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p. e dell'art. 186 C.d.S., ribadendo la sua estraneità al reato e di conseguenza, in forza dell'esclusivo titolo di proprietà, l'illegittimità del sequestro.
Parimenti dovrebbe considerarsi annullabile il provvedimento in considerazione del titolo riconosciuto di comproprietà in forza anche della giurisprudenza di questa corte.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso è infondato.
Due sono le questioni proposte ed entrambe riguardano la non confiscabilità, e dunque la non sequestrabilità, dell'autovettura.
Secondo la prima questione la X.Y. sarebbe esclusiva proprietaria del mezzo perché avrebbe provveduto al pagamento della medesima attraverso un finanziamento.
Correttamente i giudici di merito hanno osservato che i coniugi sono in regime patrimoniale di comunione di beni e che l'autovettura è stata intestata ad entrambi, come risulta dal certificato di proprietà, per cui nessun elemento dimostra l'esclusività della proprietà a favore della ricorrente, non essendo certamente sufficiente che la medesima abbia ottenuto il finanziamento per il pagamento del bene.
Secondo la seconda questione poiché il bene non è divisibile non potrebbe essere sacrificato il diritto di comproprietà a vantaggio della confiscabilità.
Il Tribunale di Cagliari afferma correttamente che il diritto della X.Y. va salvaguardato, trattandosi di comproprietaria estranea al reato, ma ciò comporta che il sequestro dell'autovettura è finalizzato alla confiscabilità della quota di proprietà dell'imputato, finalità ammissibile che richiede il mantenimento del sequestro al fine di evitare che il bene sia disperso e che ritornato nella disponibilità dei coniugi possa essere nuovamente usato dal soggetto che è stato trovato alla guida in stato di alterazione alcolica, situazione che la norma in oggetto intende prevenire.
Il tribunale ha anche indicato il rimedio per la salvaguardia del valore della quota del bene a favore della X.Y. che potrà rivalersi sul prezzo ricavabile dalla vendita dell'autovettura.
Ciò premesso, il ricorso va rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2009.

Interessante sentenza sul sequestro preventivo dei veicolo.

L'art. 186, comma 2, del C.d.S. consente il sequestro preventivo - e la conseguente confisca - del veicolo in comproprietà, in quanto la norma esclude soltanto la confisca di veicolo appartenente ad un terzo, in ragione della tutela del suo diritto di proprietà, e del fatto che la presunzione assoluta di pericolosità derivante dall'uso del veicolo può risultare attenuata solamente in tale ultimo caso, mentre in caso di comproprietà, la presunzione medesima rimane integra. Di seguito la sentenza n. 24015/09.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri: Dott. MOCALI PIETRO Presidente Dott. CAMPANATO GRAZIANA Consigliere Dott. BRUSCO CARLO GIUSEPPE " Dott. MASSAFRA UMBERTO " Dott. MARESCA MARIAFRANCESCA "

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso presentato da:
1) X.Y. n. il XX/XX/19XX

avverso ordinanza del 22/09/2008 Trib. Libertà di Latina

sentita la relazione fatta dal Consigliere BRUSCO CARLO GIUSEPPE
sentite le conclusioni del P.G. Dr. AURELIO GALASSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte osserva:
1) X.Y. ha proposto ricorso avverso l'ordinanza 3 ottobre 2007 del Tribunale di Latina, sezione per il riesame delle misure cautelari reali, che ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso il 1° luglio 2008 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale ed avente ad oggetto un'autovettura a lui sequestrata.
Il Tribunale ha ritenuto legittimo il provvedimento emesso in relazione ad un procedimento per il reato di cui all'art. 186 del codice della strada (guida in stato di ebbrezza) rilevando come non fosse ostativa al sequestro preventivo la circostanza che l'autovettura fosse in comproprietà con altre persona (la madre del ricorrente) e che il fatto non poteva essere ritenuto occasionale essendo ciò escluso dall'elevato tasso alcolico rilevato.

2) A fondamento del ricorso si deduce, con il primo motivo, la violazione dell'art. 186 comma 2° del codice della strada e dell'art. 240 comma 2° cod. pen. perché il Tribunale non avrebbe considerato che il veicolo non era di proprietà esclusiva del ricorrente e l'interpretazione data dal Tribunale si porrebbe in contrasto con la lettera e la ratio della norma che prevede la confisca del veicolo.
Con il secondo motivo si deduce invece la violazione dell'art. 125 comma 3° c.p.p. perché il Tribunale non avrebbe considerato che si trattava di condotta occasionale e quindi difettavano le esigenze cautelari che peraltro non avrebbero potuto essere ravvisate nell'elevato tasso alcolico in mancanza di precedenti specifici.

3) Va preliminarmente rilevato che il sequestro preventivo in esame è stato disposto in base al nuovo testo dell'art. 186 comma 2° del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (codice della strada) modificato dall'art. 4 del d.1. 23 maggio 2008 n. 92 convertito, con modificazioni, nella 1. 24 luglio 2008 n. 125 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica).
Con questa modifica legislativa sono stati introdotti i seguenti periodi nel secondo comma dell'art. 186: "Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato."
Come è agevole verificare dal tenore della norma, si tratta di confisca obbligatoria: ciò risulta sia dalla terminologia utilizzata ("è sempre disposta") sìa dal richiamo al secondo comma dell'art. 240 cod. pen. che prevede, appunto, casi di confisca obbligatoria (in questo senso deve intendersi il richiamo all'art. 240: v. Cass., sez. IV, 11 febbraio 2009 n. 13831, Fumagalli, rv. 242479).
Dalla natura obbligatoria della confisca deriva un'importante conseguenza: che, nel caso di sequestro preventivo disposto ai sensi dell'art. 321 c.p.p., l'esistenza del periculum - cui l'emissione di tale misura cautelare reale è subordinata - è presunta per legge, con la conseguenza che non deve essere accertata caso per caso e che non può essere disposta (a meno che non vengano meno i presupposti per ritenere esistente il fumus) la restituzione del veicolo prima della sentenza definitiva (v. la già citata sentenza 13831/2009 nonché Cass., sez. fer., 28 agosto 2008 n. 36822, Simmerle, rv. 241269 - entrambe relative alla norma innovata del codice della strada - e in generale, precedentemente, Cass., sez. III, 6 aprile 2005, n. 17439, Amico, rv. 231516).

4) Ciò premesso, deve ancora osservarsi che il ricorso in cassazione contro le ordinanze del tribunale per il riesame, in materia di misure cautelari reali, è proponibile, per l'espresso disposto dell'art. 325 comma 1° c.p.p., solo "per violazione di legge". Ciò vale anche per l'ordinanza del tribunale che si pronunzi sulla richiesta di riesame del decreto del pubblico ministero, che abbia convalidato il sequestro operato dalla polizia giudiziaria, o sulla richiesta di riesame del sequestro disposto dall'autorità giudiziaria (v. artt. 355 c. 3° e 257 c.p.p. che rinviano entrambi all'art. 324 con la conseguente applicabilità dell'art. 325 in tema di ricorso in cassazione).
Ciò comporta in particolare, per quanto attiene ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, che con il ricorso in questa materia non sono deducibili tutti i vizi concernenti la motivazione del provvedimento impugnato previsti dall'art. 606, comma 1°, lett. e) del codice di rito, ma soltanto la mancanza assoluta, o materiale, della motivazione perché solo in questo caso può configurarsi la violazione di legge ed in particolare la violazione dell'art. 125 comma 3° c.p.p. che prescrive, a pena di nullità, l'obbligo di motivazione delle sentenze e delle ordinanze in attuazione del disposto dei commi 6° e 7° dell'art. 111 della Costituzione.
Tra i casi di mancanza assoluta della motivazione può certamente ricomprendersi anche il caso di motivazione meramente apparente o assolutamente inidonea a spiegare le ragioni addotte a sostegno dell' esistenza o meno dei presupposti per il mantenimento della cautela, Non possono invece formare oggetto di ricorso in cassazione le censure dirette ad evidenziare l'insufficienza, l'incompletezza, l'illogicità o la contradditorietà della motivazione.
La giurisprudenza di legittimità è univoca nel senso indicato: cfr. da ultimo Cass., sez. V, 11 gennaio 2007 n. 8434, Ladiana, rv. 236255; sez. III, 5 maggio 2004 n. 26853, Sainato, rv. 228738, sez. un. 28 gennaio 2004 n. 5876, Bevilacqua, rv. 226710.
Alla luce di questo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (che nel ricorso neppure viene posto in discussione) se anche la censura rivolta dal ricorrente all'ordinanza impugnata con il secondo motivo di ricorso, relativo alle esigenze cautelari, fosse da ritenere ammissibile (sotto il profilo della necessità di accertare in concreto l'esistenza del periculum anche nel caso di confisca obbligatoria) la censura sarebbe comunque inammissibile essendo rivolta all'accertamento di un vizio relativo alla motivazione che, nel nostro caso, non può essere ritenuta mancante.

5) E' invece infondato il primo motivo di ricorso che si riferisce all'interpretazione della norma innovata di cui al comma 2° dell'art. 186 in precedenza riportata e che, secondo il ricorrente, non consentirebbe la confisca - e quindi il sequestro preventivo - nei caso di veicolo in comproprietà.
La tesi è infondata perché la lettera della norma non autorizza questa interpretazione, sembrando al contrario escludere la confisca di veicolo appartenente ad un terzo per la tutela del suo diritto di proprietà.
Ma la tesi risulta in particolare infondata ove si consideri quale è la ratio della norma: solo nel caso di appartenenza integrale del veicolo ad un terzo la presunzione assoluta di pericolosità derivante dall'uso del veicolo può risultare attenuata mentre, in caso di comproprietà, la presunzione medesima rimane integra.
Resta il problema delia legittimità del sequestro (e della successiva eventuale confisca) della quota appartenente al terzo. Ma, su questo aspetto, il ricorrente è privo di interesse a richiedere l'annullamento del provvedimento impugnato, o la restituzione del bene, unico legittimato essendo il comproprietario del veicolo.

6) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
la Corte Suprema di Cassazione, Sezione IV penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il giorno 6 maggio 2009.

Il presidente
Dr. Piero Mocali


Il Consigliere Relatore
Dr. Carlo Brusco

Depositato in cancelleria il giorno 11 giugno 2009.

mercoledì 7 ottobre 2009

Interessante sentenza sul riconoscimento delle infermità.

Una precedente Sentenza della Corte dei Conti già riconosceva la riduzione delle difese immunitarie a causa dello stress sul lavoro (eccessiva responsabilità, ritmi lavorativi incongrui, sovraccarico di lavoro da eseguire in un arco di tempo strettamente prestabilito, ecc. ….): in particolare si trattava di un giovane videoterminalista che aveva contratto una patologia tumorale, anche per la prolungata esposizione del torace alla macchina videoterminale.

La vicenda che oggi diffondo grazie a Massimo Cassiano è, per certi versi, sovrapponibile e riguarda (con buona pace del Ministro Brunetta) un magistrato della Corte dei Conti, Presidente di Sezione, che, avendo assolto per anni ad un incredibile carico di doveri e responsabilità, ha contratto una infermità epatica che lo ha portato ad una morte fulminante!

La Sentenza, dopo aver minuziosamente riportato tutta la vicenda processuale (i fatti si riferiscono agli anni 1993 – 1999) riconosce che:

“Come evidenziato dal perito di parte, la vita professionale del dott. A.V., presidente di sezione della Corte dei Conti, rappresenta un esempio di abnegazione al dovere portata fino all’estremo sacrificio, il che porta a ritenere verosimile che la morte del magistrato sia stata, se non direttamente determinata, quanto meno anticipata e favorita dagli eventi stressanti che hanno caratterizzato il suo incarico ….”.

“A titolo di esempio, nell’anno 1995, il Presidente V. scrisse circa 400 sentenze oltre a presiedere tutte le udienze in calendario presso la Sezione de L’Aquila.

Dal 1996 al 1999 la Sezione Giurisdizionale per il Veneto ha tenuto 153 udienze, di cui 121 presiedute dal dott. V., e sono state emesse 3.768 pronunce, di cui 1.549 redatte dal Presidente V.

A ciò deve aggiungersi il disagio derivante dall’espletare il servizio in regioni con stagioni invernali particolarmente fredde, come l’Abruzzo ed il Veneto, dai frequenti spostamenti, dai pasti consumati fuori casa.

La perizia di parte ha specificato come i fattori psicologici possono influenzare il modo di reagire dell’organismo, associarsi fra di loro, slatentizzare una patologia e diventare essi stessi causa di malattia, il che è ormai considerato più un dato di fatto che una mera ipotesi”.

sabato 3 ottobre 2009

Altra tiratina d'orecchi a chi non da la precedenza ai pedoni in prossimità delle strisce pedonali

Una vera e propria 'tirata di orecchie' arriva dalla Corte di Cassazione nei confronti di quegli automobilisti che non danno la precedenza ai pedoni che attraversano sulle strisce pedonali.
Si tratta di un comportamento 'incivile' sottolinea la Corte ricordando che mentre si è alla guida di un'autovettura si è sempre obbligati a dare la precedenza ai pedoni in transito sulla segnaletica orizzontale loro dedicata.
Non si tratta dunque di un atto discrezionale dell'automobilista che deve sempre fermarsi. Sulla scorta di tale principio la Corte con la sentenza n.20949/09 ha accolto il ricorso dei tre figli di una donna investita sulle strisce da un motociclista e morta poco dopo per le gravi lesioni craniche.
I giudici di merito avevano attribuito il 30% della colpa dell'incidente alla donna che aveva attraversato la strada frettolosamente e senza guardare se stessero sopraggiungendo delle vetture. Il danno riconosciuto ai prossimi congiunti era stato quindi limitato nella misura del 70% del totale. La Cassazione su ricorso dei prossimi congiunti ha considerato inaccettabile un simile ragionamento. "A meno di riguardare l'attraversamento sulle strisce di una strada come un impegnativo momento di valutazioni di velocità e intenzioni altrui - si legge in sentenza -, occorre che ogni conducente, nell'approssimarsi alle strisce pedonali, ancora più se queste si trovino, come nella specie, in una zona centrale di una città, abbia la chiara consapevolezza che deve non solo dare la precedenza, ma anche tenere un comportamento idoneo ad ingenerare nel pedone la sicurezza che possa attraversare senza rischi".