venerdì 18 gennaio 2013

Patto Stato Mafia. Affari di famiglia. La sentenza della Corte Costituzionale non mi piace.


(Ghe pensi mi)

Mi sono letto la sentenza, chilometrica, del 4 dicembre 2012 contrassegnata con il n. 1/2013, depositata il 15.1.13, della Corte Costituzionale sul ricorso del Presidente della Repubblica (nonché Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura) con il quale chiedeva, in sostanza, la distruzione delle quattro intercettazioni telefoniche avvenute con l’ex Senatore MANCINO. Quest’ultimo sottoposto ad indagini, assieme a numerose altre persone, nell’ambito del procedimento penale concernente la cosiddetta “trattativa” tra Stato e mafia negli anni tra il 1992 e il 1994.
Molti aspetti mi hanno colpito di questa sentenza che ritenevo già scontata. Curioso è che neanche l’avvocatura distrettuale dello Stato era convinta, di ciò che chiedeva, infatti, nelle memorie, come ribattuto dal Procuratore della Repubblica, ha sempre usato il condizionale.
Altra curiosità emersa dalla sentenza è che l’attuale Presidente della Repubblica non era la prima volta che veniva intercettato indirettamente (anche nel 2009 e nel 2010) ma solo in questa occasione ha sollevato il conflitto. Cosi come nessun conflitto sollevò in un caso simile anche l’ex Presidente della Repubblica Scalfaro.
Come mai Signor Presidente Napolitano? Come mai nelle precedenti occasioni si è comportato in maniera diversa?
Forse a me e agli italiani non lo spiegherà mai e questo non può che aggravare il giudizio sulla sua persona.
Io mi chiedo e domando: ma perché distruggere quelle intercettazioni se nella situazione contraria potrebbero essere utili ad un terzo imputato per far valere la propria innocenza? In questo caso non vi è violazione del diritto di difesa del terzo che avesse un interesse contrario alla distruzione? 
Ovvero, la richiesta di distruzione delle intercettazioni sarebbe stata presentata ugualmente dal Presidente della Repubblica (o in sostanza da MANCINO) se quella prova la si riteneva necessaria, invece, per scagionarlo da una eventuale imputazione? 
Cosa c’è di tanto grave in queste conversazioni da richiederne persino la distruzione? 
A me questa sentenza non piace per niente, perché, significa che: il Presidente della Repubblica italiana può tranquillamente parlare al telefono anche con un mafioso, mentre, i magistrati sono inevitabilmente costretti ad astenersi dal disporre intercettazioni a carico del mafioso che comunica direttamente con il Presidente della Repubblica.
Il tutto in contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 3 e 112 Cost.). Questa sentenza non mi piace anche perché seguendo il ragionamento della Corte Costituzionale lo stesso principio dovrebbe essere applicato agli altri Organi Istituzionali a cominciare dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai singoli Ministri, i quali, sotto diversi aspetti, per tutti quello operativo, sarebbero dotati di poteri addirittura più importanti, di quelli del Capo dello Stato.

sabato 22 dicembre 2012

Elenco dei deputati che devono andar via dal Parlamento Italiano e andare a lavorare..



Questi soggetti sono stati deputato o senatore per:



On. LA MALFA Giorgio (Misto)

38 anni e 187 giorni

On. TASSONE Mario (UDC)
34 anni e 146 giorni
On. COLUCCI Francesco (PdL)
33 anni e 166 giorni
On. FINI Gianfranco (FLI)
29 anni e 164 giorni
On. CASINI Pier Ferdinando (UDC)
29 anni e 164 giorni
On. TURCO Livia (PD)
25 anni e 174 giorni
On. DELFINO Teresio (UDC)
25 anni e 174 giorni
On. CALDERISI Giuseppe (PdL)
24 anni e 226 giorni
On. MANNINO Calogero (Misto)
24 anni e 157 giorni
On. D'ALEMA Massimo (PD)
23 anni e 257 giorni
On. BOSSI Umberto (Lega)
21 anni e 256 giorni
On. VITO Elio (PdL)
20 anni e 243 giorni
On. MARONI Roberto (Lega)
20 anni e 243 giorni
On. LA RUSSA Ignazio (PdL)
20 anni e 243 giorni
On. CICCHITTO Fabrizio (PdL)
20 anni e 204 giorni
On. PATARINO Carmine Santo (FLI)
20 anni e 153 giorni
On. ZELLER Karl (Misto)
18 anni e 252 giorni
On. VENTUCCI Cosimo (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. VALDUCCI Mario (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. URSO Adolfo (Misto)
18 anni e 252 giorni
On. TREMONTI Giulio (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. TORTOLI Roberto (Misto)
18 anni e 252 giorni
On. STEFANI Stefano (Lega)
18 anni e 252 giorni
On. SILIQUINI Maria Grazia (PT (già IR))
18 anni e 252 giorni
On. ROSSO Roberto (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. ROMANI Paolo (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. PRESTIGIACOMO Stefania (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. PORCU Carmelo (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. PEPE Antonio (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. PALUMBO Giuseppe (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. NAPOLI Angela (FLI)
18 anni e 252 giorni
On. MENIA Roberto (FLI)
18 anni e 252 giorni
On. MAZZOCCHI Antonio (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. MARTINO Antonio (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. LUCA' Mimmo (PD)
18 anni e 252 giorni
On. LANDOLFI Mario (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. LA LOGGIA Enrico (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. GIULIETTI Giuseppe (Misto)
18 anni e 252 giorni
On. DOZZO Gianpaolo (Lega)
18 anni e 252 giorni
On. DE CORATO Riccardo (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. CRIMI Rocco (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. CONTE Gianfranco (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. CICU Salvatore (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. BUTTIGLIONE Rocco (UDC)
18 anni e 252 giorni
On. BRUGGER Siegfried (Misto)
18 anni e 252 giorni
On. BINDI Rosy (PD)
18 anni e 252 giorni
On. BERLUSCONI Silvio (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. BACCINI Mario (PdL)
18 anni e 252 giorni
On. VELTRONI Walter (PD)
18 anni e 205 giorni
On. PISICCHIO Pino (Misto)
18 anni e 129 giorni


sabato 15 dicembre 2012

Fine della Giustizia.


C'era una volta la Giustizia in Italia...
fino a quando qualcuno non ha pensato di migliorarla ... sfasciandola invece del tutto.
Eh si perchè secondo la mia umile opinione la Giustizia in Italia non esiste più...

Tutta colpa della troppa "discrezione" del Giudice ...?

Secondo me questa "discrezione" dovrebbe essere cancellata dalla faccia della terra per non concretizzare il più delle volte una palese violazione dei principi costituzionali uno per tutti la discriminazione tra i cittadini.

E che dire del "libero convincimento" ?

Secondo alcuni è un principio di civiltà giuridica.... ma secondo me anche questo va cancellato ...
Bisogna giudicare con le "prove" che devono essere  incontestabili e che si hanno a disposizione ... e non emettere una "sentenza" sulla base di una discrezione o convinzione personale che spesso e volentieri porta a degli errori madornali e gravi di un Giudice.E di processi e sentenze sbagliati/e ne abbiamo concreta prova tutti i giorni.
Ancor più grave è il fatto quando un Giudice emette una sentenza sulla base di un convincimento personale sbagliato e nonostante le prove a favore di un soggetto poi condannato o assolto (se ci si riferisce al procedimento penale).

Io dico No alla troppa discrezione. No al libero convincimento.

Altrimenti non ci possiamo lamentare quando si viene a conoscenze di sentenze scontate e di giudizi venduti. Io dico si a norme chiare e che non devono essere interpretate.

giovedì 20 settembre 2012

L'Italia.

La Corte Costituzionale.... nel decidere sull'ammissibilità o meno del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell'attività di intercettazione telefonica svolta nell'ambito di un procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica c/o il Tribunale di Palermo ..... con la lunga Ordinanza interlocutoria n. 218 depositata oggi... appena letta, ha già anticipato (??), in attesa del definitivo giudizio e del contraddittorio, il giudizio di merito .....
Chiaro è infatti il messaggio: "che, per tale ragione, i risultati delle intercettazioni operate malgrado il divieto sarebbero assolutamente inutilizzabili e la relativa documentazione dovrebbe essere immediatamente distrutta ai sensi dell’art. 271 cod. proc. pen., trattandosi di intercettazioni eseguite «fuori dei casi consentiti della legge»".
Per cui, come anticipato sulle pagine di facebook, sarà senz'altro accolto il Ricorso del Presidente della Repubblica.... circa le intercettazioni telefoniche: sul patto Mafia - Stato.

ORDINANZA N. 218
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’attività di intercettazione telefonica, svolta nell’ambito di un procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, effettuata su utenza di altra persona, nell’ambito della quale sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica, promosso dal Presidente della Repubblica con ricorso depositato in cancelleria il 30 luglio 2012 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2012, fase di ammissibilità.
Uditi nella camera di consiglio del 19 settembre 2012 i Giudici relatori Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 30 luglio 2012, il Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, «per violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e delle disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione» – in particolare, l’art. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall’articolo 90 della Costituzione), «anche con riferimento all’art. 271 del codice di procedura penale» – nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, in relazione all’attività di intercettazione telefonica, effettuata su utenza di altra persona nell’ambito di un procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica di Palermo, nel corso della quale sono state captate conversazioni dello stesso Presidente della Repubblica;
che il ricorrente riferisce di come, con nota del 27 giugno 2012, l’Avvocato generale dello Stato, su mandato del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, abbia chiesto al dott. Francesco Messineo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, «una conferma o una smentita» di quanto emergerebbe dalle dichiarazioni rese dal Sostituto procuratore Antonino Di Matteo nel corso di una intervista rilasciata alla giornalista Alessandra Ziniti e pubblicata sul quotidiano «La Repubblica» del 22 giugno 2012: ossia che sarebbero state intercettate conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, considerate allo stato irrilevanti, ma che la Procura di Palermo si sarebbe riservata di utilizzare;
che, con nota del 6 luglio 2012, il Procuratore della Repubblica – allegando una missiva del giorno precedente, con la quale il dott. Di Matteo aveva rappresentato come, in risposta ad una domanda «assolutamente generica» della giornalista sulla sorte delle intercettazioni effettuate, egli si fosse limitato «all’ovvio richiamo alla corretta applicazione della normativa in tema di utilizzo degli esiti delle attività di intercettazione telefonica» – aveva comunicato che l’Ufficio da lui diretto, «avendo già valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato, non ne prevede[va] alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l’osservanza delle formalità di legge»;
che con successiva nota, diffusa il 9 luglio 2012, e con lettera pubblicata sul quotidiano «La Repubblica» l’11 luglio 2012, il dott. Messineo aveva ulteriormente affermato che «nell’ordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza l’immediata cessazione dell’ascolto e della registrazione, quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione»; aggiungendo che, «in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari, sentite le parti»;
che, ad avviso del ricorrente, la tesi del Procuratore palermitano non sarebbe condivisibile, in quanto, alla luce dell’art. 90 Cost. e dell’art. 7 della legge n. 219 del 1989 – salvi i casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione e con l’applicazione del regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento d’accusa – le intercettazioni delle conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché «indirette» od «occasionali», dovrebbero ritenersi radicalmente vietate;
che detto divieto sarebbe, infatti, insito nella previsione dell’art. 90 Cost., in forza della quale «il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione», ipotesi nelle quali «è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri»;
che l’immunità prevista dalla norma costituzionale non consiste, infatti, solo in una irresponsabilità giuridica per le conseguenze penali, amministrative e civili eventualmente derivanti dagli atti tipici compiuti dal Presidente della Repubblica nell’esercizio delle proprie funzioni, ma anche in una irresponsabilità politica, diretta a garantire la piena libertà e la sicurezza di tutte le modalità di esercizio delle funzioni presidenziali;
che, lungi dal costituire un «inammissibile privilegio», legato ad esperienze ormai definitivamente superate e tale da incrinare il principio dell’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, l’immunità in questione risulterebbe strumentale all’espletamento degli altissimi compiti che la Costituzione demanda al Presidente della Repubblica, nella sua veste di Capo dello Stato e di rappresentante dell’unità nazionale, intesi ad assicurare in modo imparziale, insieme agli altri organi di garanzia, il corretto funzionamento del sistema istituzionale e la tutela degli interessi permanenti della Nazione: prospettiva nella quale la statuizione dell’art. 90 Cost. rappresenterebbe anche un limite alle attribuzioni degli altri poteri dello Stato;
che sarebbe, peraltro, del tutto evidente come, nello svolgimento dei predetti compiti, debba essere garantito al Presidente della Repubblica «il massimo di libertà di azione e di riservatezza», anche perché alcune delle attività che egli pone in essere nel perseguimento delle finalità costituzionali – e di non poco significato – «non hanno un carattere formalizzato»;
che la conseguente impossibilità di sottoporre a limitazioni la libertà di comunicazione del Presidente risulterebbe confermata dall’interpretazione sistematica delle norme di legge ordinaria che, in attuazione dei principi costituzionali, ne disciplinano la posizione;
che, infatti, l’art. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 – disposizione contenuta in una fonte legislativa esplicitamente «connessa» alle previsioni dell’art. 90 Cost., così da assumere un «ruolo integrativo» della norma costituzionale – vieta in modo assoluto di disporre l’intercettazione di conversazioni telefoniche o di altre forme di comunicazione nei confronti del Presidente della Repubblica, se non dopo che la Corte costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica;
che, pur essendo il divieto sancito con riferimento ai soli reati per i quali, in base all’art. 90 Cost., il Presidente può essere messo in stato di accusa, avuto riguardo alla intercettazione «diretta» delle sue conversazioni, sarebbe «naturale» la concomitanza di un divieto, altrettanto assoluto, di intercettare (e, se del caso, di utilizzare) anche le comunicazioni captate in modo indiretto o casuale, trattandosi di attività egualmente idonea a ledere la sfera di immunità del Capo dello Stato;
che il divieto assoluto di ricorso ai mezzi in questione di ricerca della prova, enunciato in rapporto ai reati presidenziali, dovrebbe evidentemente estendersi, inoltre, pur nel silenzio della legge, ad altre fattispecie di reato che possano a diverso titolo coinvolgere il Presidente;
che, a maggior ragione, dovrebbe ritenersi inammissibile l’utilizzazione di conversazioni del Capo dello Stato intercettate occasionalmente nel corso di indagini concernenti reati al medesimo non addebitabili, come sarebbe avvenuto nel caso in esame;
che, in conclusione, il divieto di intercettazione riguarderebbe anche le cosiddette intercettazioni indirette o casuali, comunque effettuate mentre il Presidente della Repubblica è in carica;
che, per tale ragione, i risultati delle intercettazioni operate malgrado il divieto sarebbero assolutamente inutilizzabili e la relativa documentazione dovrebbe essere immediatamente distrutta ai sensi dell’art. 271 cod. proc. pen., trattandosi di intercettazioni eseguite «fuori dei casi consentiti della legge»;
che rimarrebbe inapplicabile, di conseguenza, la procedura di selezione delle conversazioni nel contraddittorio tra le parti, delineata dall’art. 268, comma 4 e seguenti, cod. proc. pen., in vista della trascrizione e dell’inserimento nel fascicolo per il dibattimento;
che non sarebbe, del pari, riferibile all’ipotesi in questione la previsione dell’art. 269 cod. proc. pen., inerente all’obbligo di conservazione integrale dei verbali e delle registrazioni fino alla sentenza non più soggetta ad impugnazione, salva la possibilità per il giudice di disporre in apposita udienza camerale la distruzione della documentazione non necessaria ai fini del procedimento, ove richiesta dagli interessati a tutela della riservatezza;
che neppure sarebbe ipotizzabile, d’altra parte, l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, secondo quanto previsto dall’art. 270 cod. proc. pen.;
che alla fattispecie considerata, infine, non sarebbe applicabile l’art. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), che disciplina le intercettazioni indirette o casuali di conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento, non potendo la posizione del Presidente della Repubblica essere assimilata a quella del parlamentare;
che, infatti, solo i membri del Parlamento, e non anche il Capo dello Stato, possono essere sottoposti ad intercettazione da parte del giudice ordinario, previa autorizzazione della Camera di appartenenza, e solo ai parlamentari si riferisce il citato art. 6 della legge n. 140 del 2003, quando stabilisce la necessità dell’autorizzazione «successiva» per l’utilizzazione delle intercettazioni indirette o casuali;
che la Corte costituzionale, d’altro canto, nel dichiarare, con la sentenza n. 390 del 2007, l’illegittimità costituzionale parziale della norma ora indicata, ha escluso che l’autorizzazione sia necessaria quando le intercettazioni occasionali debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal parlamentare, confermando, così, che la disciplina della legge n. 140 del 2003 concerne solo le comunicazioni dei componenti delle due Camere;
che, più in generale, riguardo alle intercettazioni occasionali eseguite nel corso di indagini concernenti reati ascritti ad altri soggetti, la tutela del parlamentare risponderebbe ad una ratio diversa da quella della tutela del Presidente della Repubblica: rispetto al Presidente, detta ratio risiederebbe nella salvaguardia della funzione; per il parlamentare, invece, nella sola protezione della sua riservatezza, per la quale – come rilevato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 390 del 2007 – sarebbero ingiustificati livelli di tutela più elevati di quelli assicurati ad ogni altro cittadino, non ricorrendo un pregiudizio per la funzionalità della Camera di appartenenza, unico presupposto dell’autorizzazione prevista dall’art. 68 Cost.;
che, alla stregua delle considerazioni che precedono, sussisterebbero nella fattispecie che dà origine al conflitto «precisi elementi oggettivi di prova» del non corretto uso dei propri poteri da parte della Procura della Repubblica di Palermo, in termini lesivi delle attribuzioni costituzionali del ricorrente: elementi consistenti nell’avere «quantomeno» registrato le intercettazioni nelle quali era casualmente e indirettamente coinvolto il Presidente della Repubblica, unitamente alle circostanze – «pacifiche e non contestate» – che il testo delle telefonate è agli atti del procedimento, che ne è stata addirittura valutata la «(ir)rilevanza» ai fini del procedimento in corso e – soprattutto – che si ipotizza lo svolgimento di un’udienza secondo le modalità indicate dall’art. 268 cod. proc. pen. per ottenerne l’acquisizione o la distruzione; procedimento che, implicando l’instaurazione di un contraddittorio fra le parti sul punto, aggraverebbe gli effetti lesivi delle precedenti condotte, rendendoli definitivi;
che il ricorrente Presidente della Repubblica chiede, pertanto, alla Corte di dichiarare che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo «omettere l’immediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali di conversazioni del Presidente della Repubblica» di cui si discute, né valutarne la «(ir)rilevanza», sottoponendole all’«udienza stralcio» disciplinata dall’art. 268 cod. proc. pen.
Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), a svolgere, senza contraddittorio, una delibazione preliminare di ammissibilità del ricorso, concernente l’esistenza della materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, con riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi indicati dal primo comma dello stesso art. 37, fermo restando che tale valutazione preliminare e interlocutoria lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione, anche in relazione alla stessa ammissibilità del ricorso;
che, nella specie, per quanto attiene all’aspetto soggettivo, la natura di potere dello Stato e la conseguente legittimazione del Presidente della Repubblica ad avvalersi dello strumento del conflitto a tutela delle proprie attribuzioni costituzionali sono state più volte riconosciute, in modo univoco, nella giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 200 del 2006 e n. 129 del 1981; ordinanze n. 354 del 2005 e n. 150 del 1980);
che questa Corte ha del pari riconosciuto, con giurisprudenza costante, la natura di potere dello Stato al pubblico ministero, in quanto investito dell’attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all’esercizio obbligatorio dell’azione penale (art. 112 della Costituzione), cui si connette la titolarità delle indagini ad esso finalizzate (ex plurimis, sentenze n. 88 e n. 87 del 2012, ordinanze n. 241 e n. 104 del 2011), ritenendo, altresì, legittimato ad agire e a resistere nei giudizi per conflitto di attribuzione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, in quanto competente a dichiarare definitivamente, nell’assolvimento della ricordata funzione, la volontà del potere cui appartiene (ordinanza n. 60 del 1999);
che, sotto il profilo oggettivo, il ricorso è proposto a salvaguardia di prerogative del Presidente della Repubblica che sono prospettate come insite nella garanzia dell’immunità prevista dall’art. 90 Cost. e nelle disposizioni di legge ordinaria ad essa collegate, a fronte di lesioni in assunto realizzate o prefigurate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo nello svolgimento dei propri compiti;
che deve ritenersi dunque sussistente, allo stato – salvo il definitivo giudizio all’esito dell’instaurazione del contraddittorio – la materia di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente della Repubblica nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, con il ricorso indicato in epigrafe;
vista l’istanza di sollecita trattazione del ricorso formulata dalla Parte ricorrente;
visto il decreto, in data odierna, del Presidente della Corte costituzionale, con il quale sono ridotti i termini del procedimento,
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Presidente della Repubblica;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di quindici giorni dalla notificazione, a norma dell’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 settembre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI e Giuseppe FRIGO, Redattori
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

martedì 3 aprile 2012

Norvegia un camion precipita in un burrone. Il primo conducente si è salvato in extremis perché è riuscito a saltare in due secondi fuori dal veicolo.


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siete è ancora convinti 
che l'uso "obbligatorio" delle cinture di sicurezza
salvano sempre la vita?
Io non lo ero prima e non lo sarà mai.
Per me l'uso deve essere consigliato e non obbligatorio.