giovedì 1 ottobre 2009

Interessante sentenza sulle offese e ingiurie durante le arringhe.

Via libera dalla Cassazione alle offese durante le arringhe degli avvocati. Lo stabilisce la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 35880/2009) secondo cui le arringhe animate e a tratti offensive devono considerarsi lecire giacché servono al legale per sostenere una “strategia difensiva”. La Corte ha osservato peraltro che “per il riconoscimento della c.d. ‘immunità giudiziale’, prevista dall’art. 598 c.p., è necessaria l’esistenza di un nesso logico tra le offese e l’oggetto della causa, donde solo gli insulti del tutto estranei a detto oggetto vengono ad integrare i reati di ingiuria o di diffamazione. Ciò premesso, deve rilevarsi che il decidente ha argomentato come nella specie le frasi pronunciate dall’avvocato, nel corso dell’arringa difensiva – lungi dal rivelarsi gratuite – si ponevano in rapporto di strumentalità con la tesi della difesa e pertanto rientravano nell’ambito di applicazione della scriminante in esame. E’ stato infatti osservato che le espressioni contestate – se pur offensive – facevano parte della strategia posta in essere dal difensore dell’imputata, la quale appariva tesa anche ‘a verificare ed a mettere in rilievo l’attendibilità della persona offesa’”.
“Trattasi – prosegue la Corte -, di considerazioni ragione in base alle quali il giudice di merito ha accertato, con apprezzamento coerente e quindi non censurabile in sede di legittimità, un collegamento logico-causale tra le offese pronunciate dal difensore e l’oggetto del procedimento”.

Decisione ineccepibile delle Sezioni Unite.

Giro di vite della Corte di Cassazione contro quei magistrati che non consentono ai difensori di seguire la propria linea difensiva e che anzi li invitano a tagliare l'arringa. D'ora in avanti si corre il rischio di pesanti sanzioni disciplinari fino addirittura al trasferimento. La decisione che io condivisdo pienamente è delle Sezioni Unite Civili della Corte che hanno convalidato la sanzione disciplinare del trasferimento inflitta a un magistrato del Tribunale di Ancona, che aveva tenuto "comportamenti abitualmente e gravemente scorretti nei confronti dei difensori, invitandoli a rassegnare le conclusioni per poi dichiarare inammissibile o improcedibile la domanda".
La suprema Corte (sentenza 20730/2009) ha evidenziato che il comportamento del magistrato aveva determinato una grande persistente tensione con il foro di Ancona. Ne era scaturita una decisione del Cconsiglio Superiore della Magistratura che nel gennaio del 1009 aveva inflitto al togato la sanzione della censura e il trasferimento ad altra sede. Il Magistrato ha tentato di difendersi sostenendo che tensioni non c'erano nel foro di Ancona ma che l'ostilità nei suoi confronti proveniva da un solo avvocato. Gli ermellini che hanno respinto il ricorso hanno sottolineato come la sezione disciplinare del consiglio superiore della magistratura abbia "congruamente motivato la misura del trasferimento disciplinare in considerazione sia della natura degli illeciti accertati che si erano tradotti in un comportamento abitualmente e gravemente scorretto nei confronti delle parti e dei loro difensori, sia dal fatto che un tale esercizio delle funzioni giurisdizionali aveva determinato una situazione di grave conflittualita' del magistrato con il Foro di Ancona sicuramente pregiudizievole per il buon andamento dell'amministrazione della giustizia". La corte ha rilevato peraltro che le segnalazioni erano arrivate da diversi avvocati del foro e che si riferivano a più di 100 procedimenti civili.

sabato 26 settembre 2009

Interessante la sentenza 24.07.2009 n° 17355 della Cassazione in Sezioni Unite

In data 24 luglio 2009, le Sezioni Unite civili della Suprema Corte hanno depositato la decisione n. 17355 (Pres. Carbone, rel. Oddo), che appare di particolare importanza per il cospicuo contenzioso su cui va ad incidere nonché per i principi di diritto enunciati. La causa è stata decisa dalle Sezioni Unite attesa la particolare importanza della questione relativa “all'efficacia probatoria delle attestazioni contenute nel verbale di accertamento delle violazioni amministrative”.

In realtà, sulla questione il Plenum era già intervenuto, con la decisione n. 12545 del 1992 che viene ora ribadita obliterando la giurisprudenza più recente che dalla stessa si era discostata. Il punctum pruriens involgeva la ammissibilità o non, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, di contestazioni involgenti i fatti della violazione attestati nel verbale come percepiti direttamente o indirettamente dal pubblico ufficiale e, così, la possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione.

Le Sezioni Unite, disattendendo alcune più recenti aperture, opta per l’orientamento più rigoroso, reintroducendo, dunque, di fatto, un ricorso più “indotto” all’istituto della querela di falso.

Secondo i giudici della nomofilachia, la correlazione tra il dovere di menzionare nel verbale in modo preciso e dettagliato, anche se sommario, l'elemento fattuale delle violazione e l'efficacia che l'art. 2700 c.c., attribuisce ai fatti che il Pubblico ufficiale attesta nell'atto pubblico essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti comportano che tale efficacia concerna inevitabilmente tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alle violazioni menzionate nell'atto indipendentemente dalle modalità statica o dinamica della loro percezione, fermo l'obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le particolari condizioni soggettive ed oggettive dell'accertamento, giacché egli deve dare conto nell'atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l'attestazione.

L'approccio alla questione relativa all'ammissibilità della contestazione e della prova nel giudizio di opposizione alla ordinanza-ingiunzione non va conseguentemente condotto con riferimento alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente o indirettamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione, ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall'accertamento, quali l'identificazione dell'autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell'elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità ovvero rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (ad esempio, tra numero di targa e tipo di veicolo al quale questa è attribuita). Ogni diversa contestazione va, invece, svolta nel procedimento di querela di falso che consente di accertare senza preclusione di alcun mezzo di prova qualsiasi alterazione nell'atto pubblico, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti o del loro effettivo svolgersi .

La materia, in conclusione, viene plasmata come da tavole sinottiche che seguono.

Giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione del pagamento di una sanzione amministrativa

Ammessa contestazione e prova

- Circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale

- Circostanze di fatto della violazione rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (es. targa rilevata dall’accertatore non attribuibile al tipo di veicolo indicato nel verbale dal Pubblico ufficiale)

Necessaria Querela di falso

- Circostanze di fatto della violazione che sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale

- Ogni questione concernente l’alterazione del verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realità degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti, come accertati dal pubblico ufficiale


Circostanze che esulano dall'accertamento:

· l'identificazione dell'autore della violazione e la sua capacità
· la sussistenza dell'elemento soggettivo
· la sussistenza di cause di esclusione della responsabilità

Interessante sentenza sulla validità della delibera e spese proprie dell'amministratore di condominio.

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 18192 del 10 agosto 2009, ha stabilito alcuni punti fermi in tema di impugnabilità di delibere condominiali. In primo luogo, i giudici di legittimità hanno affermato il principio di diritto, in base al quale deve considerarsi nulla, e non semplicemente annullabile, la delibera dell'assemblea di condominio che ratifichi ed approvi una spesa del tutto estranea alla gestione condominiale, come, con riferimento al caso di specie, gli esborsi relativi ad un'utenza telefonica privata dell'amministratore ovvero all'acquisto in proprio di una licenza software da parte dello stesso. Tale principio, la cui portata concreta va ravvisata nella conseguente impugnabilità in ogni tempo di una simile delibera assembleare, al di là del termine di decadenza altrimenti stabilito dall'art. 1137 c.c., opera peraltro indipendentemente dall'eventuale esiguità dell'importo della spesa oggetto di contestazione, anche in relazione al complessivo numero dei condòmini ed all'entità del bilancio consuntivo di cui si vada a discutere nell'ambito della medesima assemblea. Sotto un diverso profilo, con la medesima pronuncia i giudici della Cassazione hanno altresì riconosciuto la validità di ogni delibera condominiale, che, pur non indicando espressamente l'elenco dei condòmini che abbiano approvato la delibera stessa, riporti in maniera sufficiente i nominativi di tutti i condòmini presenti alla riunione, personalmente o a mezzo delega, nonché dei condòmini astenutisi o che abbiano manifestato voto contrario e delle rispettive quote millesimali, ritenendo che le suddette indicazioni consentano in ogni caso la verifica del raggiungimento dei quorum costitutivi e deliberativi richiesti dall'art. 1136 c.c. Le argomentazioni sviluppate dagli ermellini a sostegno di tale tesi muovono innanzitutto dal tenore letterale dell'art. 1136 c.c., testè citato, il quale dispone, al secondo, al terzo, al quarto, al quinto ed al settimo comma, per quanto qui interessa, che le deliberazioni delle assemblee dei condòmini debbono approvarsi con un numero di voti che rappresenti la maggioranza, semplice o qualificata, dei partecipanti al condominio intervenuti nella riunione e del valore dell'edificio, e che delle deliberazioni deve redigersi il verbale. La norma indicata, di contro, non prevede espressamente che, ai fini della validità delle deliberazioni adottate, debbano individuarsi, mediante riproduzione nel verbale, i nomi dei singoli partecipanti alla votazione, assenzienti e dissenzienti, ed i valori delle rispettive quote millesimali. Tuttavia, secondo l'insegnamento della Cassazione, il silenzio del legislatore sul punto non deve far dubitare circa il carattere essenziale dell'individuazione nel verbale assembleare dei partecipanti assenzienti e dissenzienti. Non si può trascurare, infatti, che nelle maggioranze richieste ai fini della validità dell'approvazione delle deliberazioni, nonché della costituzione stessa dell'assemblea, debbono essere computati, oltre all'elemento personale (il numero dei partecipanti al condominio), quello reale (la quota proporzionale dell'edificio espressa in millesimi); e che la legittimazione ad impugnare la delibera è riservata ai condomini dissenzienti o assenti. Peraltro i giudici di legittimità colgono l'occasione di precisare che l'identificazione dei condomini assenzienti e dissenzienti rileva anche ad altri effetti. In particolare, i condòmini debbono essere posti in grado di valutare l'esistenza di un eventuale conflitto di interessi, possibile solo previa individuazione dei soggetti che abbiano manifestato il voto. Sulla scorta di tali premesse, la sentenza in commento ha richiamato il costante orientamento interpretativo della Suprema Corte, che ritiene illegittima, tra l'altro, quella delibera che ometta di riprodurre nel verbale l'indicazione nominativa dei singoli condomini favorevoli e contrari e le loro quote di partecipazione al condominio, limitandosi a prendere atto del risultato della votazione, mediante l'espressione "l'assemblea, a maggioranza, ha deliberato" o altra locuzione analoga (cfr. Cass., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10329; Cass., sez. II, 29 gennaio 1999, n. 810), nonché la delibera il cui verbale contenga omissioni relative alla individuazione dei singoli condomini assenzienti, dissenzienti, assenti o al valore delle rispettive quote (in tal senso Cass., Sez. Un., 7 marzo 2005, n. 4806). Con riferimento al caso di specie, la Cassazione è invece giunta ad affermare la validità della delibera assembleare impugnata, in quanto contenente, come si era potuto pacificamente accertare nel corso dell'istruttoria, l'elenco dei condomini deleganti, con l'indicazione del nome del rappresentante di ciascuno e del valore delle rispettive quote; l'elenco dei condomini presenti, con i relativi millesimi; l'elenco nominativo di tutti i condomini che si erano astenuti e di coloro che avevano espresso voto contrario, e l'approvazione, con l'indicazione delle quote rappresentate dal totale sia degli astenuti che dei contrari; l'indicazione del numero dei condomini favorevoli e la relativa quota proporzionale dell'edificio espressa in millesimi.

(Autore: www.soluzionegiuridica.it)

Sentenza che fa giustizia al diritto del singolo cittadino.

La sentenza del T.a.r. del Lazio, la n. 8560/90, sarà destinata a far discutere ancor di più in Parlamento che non è in grado a questo punto di riconoscere quanto già previsto dalla Carta Costituzionale.
Ebbene il T.a.r. del Lazio ha stabilito che "I pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare non devono in ogni caso essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, possono, nel caso in cui loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti". I giudici del Tar aggiungono che il paziente "vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi". La sentenza è stata emessa su ricorso presentato dal Movimento difesa del cittadino (Mdc), difeso dall'Avv. Pellegrino di Lecce, in relazione alla direttiva del Ministero del welfare che aveva intimato a tutte le strutture del Ssn di impedire sempre l'interruzione dell'idratazione e alimentazione artificiali in pazienti in stato vegetativo permanente. Decisione che io non condividevo.
Ora la sentenza fissa il principio per cui la volontà del paziente va sempre rispettata in relazione al trattamento di alimentazione e idratazione artificiali.
Secondo il T.a.r. si tratta di questioni che coinvolgono il diritto di rango costituzionale quale è quello della libertà personale che l'articolo 13 della costituzione qualifica come inviolabile.

sabato 12 settembre 2009

Distacco illegittimo di linee telefoniche (Giudice di Pace di Bari Sentenza 2781/09)

La questione sottoposta al Giudicante, trae spunto dall’illegittimo comportamento delle compagnie telefoniche, nei confronti degli utenti, i quali si vedono distaccare la propria utenza telefonica, immotivatamente, privi di tutela effettiva. Nel caso di specie l’attore, dopo aver ricaricato la propria utenza mobile, per problemi di “contabilizzazione” della ricarica in capo al gestore, si è visto sospendere il servizio in essere. Il proponente, pertanto, richiedeva al Giudicante l’interpretazione, in proprio favore, dell’art. 1 della Legge 40/2007- Decreto Bersani-, secondo la quale “e' altresì vietata la previsione di termini temporali massimi di utilizzo del traffico o del servizio acquistato”. In ragione di ciò, riteneva che anche qualora il gestore non avesse “contabilizzato” la ricarica, sarebbe stato comunque illegittimo, che lo stesso continuasse a porre termini temporali alla scadenza del servizio (telefonico). Il Giudice, invece, ha ritenuto che la L. 40 è applicabile solo con riferimento a contratti tra consumatori e professionisti e non tra professionisti, come nel caso di specie, essendo la previsione normativa tesa alla realizzazione di “misure urgenti per la tutela dei consumatori”. Tuttavia, ha messo in evidenza un fatto comunque apprezzabile, ritenendo che l’utente possa, come nel caso di specie, anche a mezzo di prova testimoniale, avvalorare di aver effettuato la ricarica nei 12 mesi precedenti e pertanto, vantare l’inadempimento contrattuale nel sinallagma, da parte del gestore, con conseguente responsabilità del debitore (gestore), tenuto al risarcimento del danno nei confronti del creditore (utente). Un altro spunto che si trae dalla lettura della sentenza è che per individuare se trattasi di contratti in essere tra professionisti o consumatori, non serve valutare che forma di contratto è stata sottoscritta tra le parti (business o privata), ma l’effettivo uso che della utenza se ne faccia. L’attore, in questo caso, pur aver sottoscritto un contratto “privato”, nella pratica ne ha fatto un uso professionale. Dott. Maurizio Cardanobile –Presidente NoiconsumatoriBari
www.noiconsumatoribari.it
Cultore di diritto pubblico c/o l’Università degli Studi di Bari




Il testo della sentenza


Sent. 2781/09 del 27/03/2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace, Avv. M. Mazzei, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile, contrassegnata con il numero RG. 15046/2007, affari contenziosi civili, tra

XXXXXXXXXXXXXX

CONTRO

Vodafone Omnitel, in persona........

avente ad oggetto: inadempimento contrattuale - risarcimento danni-

conclusioni

all'udienza del 27 febbraio 2009, l'attore ha concluso, riportandosi ai propri scritti difensivi: (1. accertare il rapporto contrattuale esistente tra le parti; 2. dichiarare la convenuta inadempiente nei confronti dell'attore 3.ordianare l'immediato ripristino dell'utenza sospesa; 4. Condannare la convenuta alla restituzione del credito residuo, esistente sulla scheda, prima della sospensione del servizio, pari a circa € 100,00; 5. condannare la convenuta al risarcimento del danno subito, pari ad €. 2.200,00 o alla somma maggiore o minore, ritenuta di giustizia e/o equità, nei limiti della competenza del GdP. adito 6. inibire alla convenuta di riassegnare a terzi l'utenza indicata; 7. condannare la convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa). La convenuta ha concluso per il rigetto della domanda attorea.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'attore, dopo aver inutilmente interessato il Corecom ed espletato, con esito negativo, il tentativo obbligatorio di conciliazione, con atto di citazione, ritualmente notificato, conveniva in giudizio, innanzi l'ufficio del Giudice di Pace di Bari, la Vodafone Omnitel, in persona del legale rappresentante pro-tempore, per ivi sentire: (1. accertare il rapporto contrattuale esistente tra le parti; 2. dichiarare la convenuta inadempiente nei confronti dell'attore 3.ordinare l'immediato ripristino dell'utenza sospesa; 4. Condannare la convenuta alla restituzione del credito residuo, esistente sulla scheda, prima della sospensione del servizio, pari a circa € 100,00; 5. condannare la convenuta al risarcimento del danno subito, pari ad €. 2.200,00 o alla somma maggiore o minore, ritenuta di giustizia e/o equità, nei limiti della competenza del GdP. adito 6. inibire alla convenuta di riassegnare a terzi l'utenza indicata; 7. condannare la convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa.

L’attore assumeva di essere Presidente e legale rappresentante di una società iscritta al Roc e di occuparsi di progettare, realizzare e gestire servizi culturali, socio educativi, sanitari, nonché di pubblicare diverse riviste in ambito sociale; che per far fronte a tutte le esigenze lavorative, circa 7 anni fa, stipulava un contratto telefonico con il Gestore Vodafone; che tale numero telefonico veniva usato per lo svolgimento delle attività del Gruppo; che venivano investite ingenti somme di denaro al fine di stampare la brochure informative sull’attività dell’associazione, oltre che riviste, manifesti, biglietti da visita, sulle quali era riportato il detto numero di telefono; che l’utenza in questione veniva utilizzata, anche come numero di riferimento dei un’altra Associazione, di cui l’attore riveste, anche la Presidenza; che successivamente l’utenza veniva trasformata in “ricaricabile”, restando sempre di uso aziendale, a nome dell’amministratore; che nel mese di febbraio 2007 veniva effettuata una ricarica telefonica, per far fronte alle esigenze lavorative; che in data 11/08/2007, la Vodafone decideva, unilateralmente, di sospendere l’utenza, così procurando gravissimi disagi e grave nocumento all’attore; che le sollecitazioni epistolari non sortivano esito positivo.

Con comparsa di costituzione e risposta, depositata in data 15/02/2008, si costituiva la Vodafone che eccepiva la nullità dell’atto di citazione, poiché la copia notificata era priva della pagina n. 2, contenente l’esposizione dei fatti. Nel merito evidenziava che la convenuta ha agito nel rispetto delle condizioni generali del contatto, in virtù delle quali, se la sim card non viene utilizzata o ricaricata per un periodo superiore a dodici mesi, la scheda telefonica viene disattivata, fermo restando che il credito residuo può essere richiesto in restituzione a mezzo lettera racc. Né quindi, vi è stata violazione del decreto Bersani. Concludeva 1) nullità dell’atto di citazione 2) in subordine, per il rigetto della domanda attorea.

Revocata la contumacia della convenuta; disposta l’integrazione della domanda attorea, preso atto che la convenuta, in seguito all’integrazione della domanda ha provveduto a costituirsi con regolare mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta; ammesse le prove documentali in atti; espletata la prova testimoniale; preso atto della rinuncia esplicita al deferito interrogatorio formale del legale rappresentante pro tempore della Vodafone e della relativa accettazione, all’udienza del 27/02/2009, la causa è stata riservata per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La nullità dell’atto di citazione, sollevata dalla convenuta, conseguente alla notificazione dello stesso, privo della pagina numero due e l’eccezione di inammissibilità e/o inesistenza della costituzione della Vodafone, conseguente al “mandato allegato a mezzo di spille all’atto di costituzione…”, appaiono sanate alla luce dell’integrazione della domanda attorea della nuova costituzione della Vodafone. Il contratto stipulato tra le parti, non rientra tra quelli perfezionati tra professionista e consumatore. Invero, entrambi le parti hanno agito nell’esercizio delle rispettive attività imprenditoriali. L’attore, non riveste la qualità di consumatore, avendo stipulato il contratto, per la propria attività lavorativa, come dichiarato nell’atto di citazione (“che l’attore è Presidente, nonché legale rappresentante del xxxxxxxxxxxxx, iscritto al ROC -Registro degli Operatori della Comunicazione-, e si occupa di progettare, realizzare e gestire servizi culturali, socioeducativi e sanitari, nonché di pubblicare diverse riviste in ambito sociale; che per far fronte a tutte le esigenze lavorative, circa sette anni fa, stipulava un contratto telefonico con il Gestore Vodafone - Omnitel e, dunque, gli veniva assegnato il n. xxxxxxxxxxx; tale utenza diveniva fondamentale per lo svolgimento delle attività del Gruppo, infatti conteneva numeri telefonici importanti ed era usata quale numero di riferimento per la segnalazione di disservizi od inchieste che condotte sui giornali di proprietà dello stesso; che, pertanto, venivano investite ingenti somme di denaro al fine di stampare brochure informative sull’attività della associazione,oltre che riviste, manifesti, biglietti da visita, sulle quali era riportato detto numero al quale fare riferimento; che, invero, l’utenza in questione veniva utilizzata, altresì, come numero di riferimento del xxxxxxxxxxxx, di cui l’attore riveste la Presidenza”.

Pertanto, non sono applicabili, nel caso di specie, le norme poste a tutela del consumatore, poiché l’attore ha stipulato il contratto di fonia mobile, non in veste di consumatore, ma in veste di imprenditore e per il raggiungimento di scopi propri dell’attività imprenditoriale svolta.

La domanda merita accoglimento parziale e nei termini che seguono. E’ provato, né è in contestazione che l’attore ha stipulato un contratto telefonico con la Vodafone;che gli è stato assegnato un numero telefonico n..; che l’utenza telefonica, corrispondente al numero …………., nel corso del tempo è stata trasformata in “ricaricabile” che nel mese di agosto 2007, l’utenza è stata unilateralmente sospesa dalla Vodafone Omnitel. Quest’ ultima ha sic et simpliciter sostenuto di aver provveduto alla definitiva disattivazione della scheda – utenza telefonica – conformemente alle condizioni generali del contratto per non aver provveduto, l’attore, ad utilizzare e/o a ricaricare la Sim card per il tempo di dodici mesi. Nella fattispecie de qua, a prescindere dall’applicabilità o dell’interpretazione che si intenda dare all’art. 1 della L. 40/07, che ha convertito il DL 7/07 – Decreto Bersani, l’attore ha provato di aver provveduto ad eseguire ricariche sull’utenza telefonica in questione nel mese di Febbraio ed anche prima dell’estate 2007 (vedi dichiarazioni testimoniali rese). Appare, quindi, provato che l’utenza telefonica non è rimasta inattiva o inutilizzata per dodici mesi, come sostenuto dalla convenuta, ove si consideri che una ricarica è stata eseguita nel mese di febbraio 2007 e un’altra prima dell’estate 2007 e che l’utenza telefonica è stata sospesa definitivamente a far data dall’11/08/07.

Deve quindi ritenersi illegittimo, il comportamento della convenuta, per aver violato il disposto di cui all’art. 5, comma 4, delle condizioni generali di contratto, in atti, ed in generale, per aver disattivato l’utenza telefonica immotivatamente, così violando le norme di correttezza e buona fede nei rapporti contrattuali in itinere. Tanto importa il diritto dell’attore a vedersi riattivato e riassegnato il numero di telefono xxxxxx. E’ provato, inoltre, che l’utenza telefonica disattivata veniva utilizzata dall’attore per l’esercizio delle attività professionali (vedi rivista, manifesti pubblicitari in cui è riportato il numero telefonico in questione) e giusta dichiarazione testimoniali rese da xxxx. Non v’è dubbio, pertanto, che l’attore in conseguenza della repentina sospensione dell’utenza telefonica abbia sopportato disagi, disguidi e problemi di vario genere con la propria clientela. Né è da escludere un calo di clientela, con conseguente danno economico, stante la difficoltosa rintracciabilità telefonica da parte della clientela. Ai sensi dell’art. 1226 c.c., apparendo il danno indeterminato e non potendo lo stesso essere determinato con precisione, liquida e riconosce all’attore, in via equitativa, per i danni sopportati in conseguenza del sicuro e necessitato mutamento del numero telefonico, la somma di € 300,00. Condanna, inoltre, la convenuta alla rassegnazione del credito monetario telefonico esistente prima della sospensione dell’utenza telefonica, che si riconosce in € 50,00, ai sensi dell’art. 1226 c.c. L’accoglimento della domanda importa la condanna alle spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

IL Giudice di Pace di Bari, definitivamente pronunciando sulla domanda, promossa da XXXXXXXXX c/ Vodafone Omnitel, in persona del legale rappresentante p.t., rigetta ogni altra domanda, eccezione e deduzione, così provvede:

1. Condanna la Vodafone Omnitel, in persona del suo legale rappresentante p.t., al pagamento della somma di € 300,00, a titolo di risarcimento danni, in favore dell’attore;

2. Condannala Vodafone Omnitel, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla riattivazione del numero di utenza xxxxxxxxxxx e con accredito di € 50,00;

3. Condanna la Vodafone Omnitel, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento delle spese del giudizio, in favore dell’attore, che si liquidano in € 1.100,00 (di cui € 500,00 per diritti, € 400,00 per onorario, € 112,50 per rimborso forfettario del 12,5% ed € 87,50 per spese anticipate), oltre cna ed iva.

Bari, 27/03/2009

Il Giudice di Pace Avv. M. Mazzei

giovedì 10 settembre 2009

Cassazione: multe nulle se il numero civico è sbagliato

Sono nulle le multe se vengono notificate indicando un numero civico sbagliato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza n. 19323/2009 della seconda sezione civile) che ha accolto le richieste di un automobilista a cui era stata recapitata una cartella esattoriale che gli intimava di pagare 331 euro per tre sanzioni amministrative di cui non era mai stato portato a conoscenza. Nella parte motiva della sentenza la Corte spiega che le raccomandate ''non erano state recapitate ma erano state restituite per compiuta giacenza''. In una delle notifiche però ''risultava errato il civico presso il quale risultava essere stata fatta la ricerca da parte dell'ufficiale notificante''. In primo grado il Giudice di Pace non aveva voluto sentire ragioni ed aveva ritenuto che l'automobilista dovesse comunque pagare quelle multe. Il caso è così finito in Cassazione dove l'automobilista ha fatto notare la presenza di diversi errori di notifica e tra questi l'errata indicazione del numero civico. Accogliendo il ricorso la Corte ha annullando la cartella esattoriale mettendo in chiaro che ''non si puo' prescindere dalla verifica dell'esito del procedimento notificatorio (rilevabile solo dall'avviso di ricevimento) ai fini di considerare regolare o meno la notifica del verbale, non potendosi escludere in linea generale che l'avviso di deposito-giacenza dell'atto non sia in effetti pervenuto alla conoscenza dell'interessato, privandolo cosi' della possibilita' di tutelare i propri diritti''. Ora sarà il Comune a dover pagare all'automobilista 400 euro per le spese legali.