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martedì 16 giugno 2009

Accertamento notificato nella casa dove è rimasta la ex? Non è valido.

Interessante la sentenza n. 13510/09 della Sezione Tributaria Civile della Corte di Cassazione che ha stabilito che non è valido l’accertamento fiscale notificato nella casa dove è rimasta a vivere la ex moglie e ciò anche se lei ha accettato il plico e si è presentata come la coniuge.
Gli Ermellini hanno infatti precisato che “con riferimento all’art. 60 d.p.r. n. 600 del 1973, atteso che esso prescrive che la notificazione degli avvisi deve essere eseguita presso il domicilio fiscale del contribuente, ma stabilisce, nel contempo, che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dall’avvenuta variazione anagrafica (comma 3).
In particolare, tale lettura della norma si impone a seguito della sua declaratoria di illegittimità operata dalla sentenza n. 360 del 2003 della Corte costituzionale, che ha espunto l’inciso che condizionava l’efficacia della variazione al decorso del termine di 60 giorni (…). L’interpretazione di tale disposizione patrocinata dall’Ufficio ricorrente, secondo cui la variazione dell’indirizzo avrebbe efficacia trascorsi 60 giorni nemmeno dalla variazione anagrafica, quanto dalla successiva comunicazione della stessa parte del comune all’Ufficio medesimo, appare pertanto del tutto insostenibile alla luce del sopravvenuto (rispetto alla data di proposizione del ricorso) arresto del giudice delle leggi”.
“Né può essere condivisa – prosegue la Corte – la tesi dell’Amministrazione che, lamentando la violazione dell’art. 139 cod. proc. civ., assume la validità della notifica in discorso per essere stato comunque l’atto ricevuto da persona (il coniuge) qualificatosi convivente.
Da tale dichiarazione non può invero trarsi altro che una mera presunzione relativa di convivenza (…), presunzione, a sua volta, superabile dall’interessato mediante prova contraria, prova che, nella specie, il giudice a quo, con accertamento di fatto non censurabile se non sotto il profilo – qui non rilevato – del difetto di detta motivazione, ha ritenuto assolta in forza della documentazione da cui risultava sia il precedente cambio di indirizzo della residenza anagrafica del contribuente rispetto al luogo in cui era stata eseguita la notificazione, che l’intervenuta separazione personale con il coniuge che aveva ricevuto la notifica”.

mercoledì 18 febbraio 2009

Il contribuente non ha l’onere di produrre in giudizio il p.v.c..

Interessante la sentenza n. 3456/09 della Corte di cassazione, Sezione Tributaria Civile, che ha ha stabilito che è onere del Fisco produrre in giudizio il processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza anche se serve al cittadino per difendersi.
I giudici della Corte hanno stabilito il seguente principio di diritto “in relazione agli atti impositivi notificati prima dell’entrata in vigore della legge 212/2000, per i quali non era necessaria la contestuale notifica del p.v.c. richiamato in motivazione, il contribuente non ha l’onere di produrre in giudizio il p.v.c. richiamato, trattandosi di adempimento che anche in sede contenziosa, grava sull’ufficio” e che “il mancato deposito p.v.c., non soltanto non produce effetti negativi a carico del contribuente (restando un onere che deve soddisfare l’ufficio), ma nemmeno rileva come possibile causa di inammissibilità del ricorso: ‘la sanzione processuale della inammissibilità del ricorso è disposta soltanto nel caso di mancato deposito degli atti e documenti previsti dal primo comma dell’art. 22 d.lgs. 546 del 1992 (tra i quali è compreso l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato), non anche degli atti previsti dal quarto comma dello stesso articolo; ne consegue che l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato può essere prodotto anche in un momento successivo ovvero su impulso del giudice tributario, che si avvalga dei poteri previsti dal quinto comma dell’articolo citato”.