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martedì 15 gennaio 2019

Condominio: nulle le delibere di ripartizione spese adottate in violazione del regolamento


La Corte di Cassazione con la sentenza n. 470 del 10 gennaio 2019 ha ribadito un principio, già noto in materia di condominio, ma del tutto trascurato, nel giudizio in questione, sia dal Giudice di prime cure, un Giudice Onorario di Tribunale di Lecce, ex Sezione distaccata d Maglie, che dalla Corte di appello di Lecce, prima sezione, la quale, nella circostanza, oltre a non rilevare d'ufficio la nullità della delibera assembleare ha pure travisato, come il primo Giudice, il principio espresso dalle Sezioni Unite 18477/10 applicandolo erroneamente al caso di specie.

Infatti tale decisione non si riferisce affatto ai regolamenti condominiali di natura contrattuale come il caso deciso dalla Suprema Corte.

La Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con l’Ordinanza del 10 gennaio 2019, n. 470, ha accolto il ricorso del cittadino, difeso dall'avv. Milco Emanuele PANAREO, del foro di Lecce, ed ha cassato  la sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, affinchè sia applicato il principio di diritto stabilito secondo il quale "sono da considerare nulle per impossibilità dell'oggetto, e non meramente annullabili, e perciò impugnabili indipendentemente dall'osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, comma 2, c.c., tutte le deliberazioni dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell'autonomia negoziale".

venerdì 12 settembre 2014

Quanti secondi deve durare il giallo in una intersezione? Siamo un paese con una giustizia di pulcinella.


Quella italiana è davvero una giustizia ballerina .... 

Mi riferisco a quelle sentenze emesse da alcuni giudici della cassazione (non tutti) che, in mancanza di "indicazioni precise circa tale durata minima del 'giallo', sostengono che 3'' devono bastare per l'automobilista che intende attraversare l'incrocio con il semaforo giallo.... 

Si vede che non guidano loro le auto ... e che quando sono sui sedili del lato passeggero o in quelli posteriori sono distratti dalla lettura dei giornali...


Questi giudici hanno dimenticato come sono fatte le nostre intersezioni .... hanno dimenticato che qui in Italia c'è gente che attraversa l'incrocio a piedi o con la bici quando da loro indica il rosso ... in questo caso cari giudici che devono fare gli automobilisti investirli? O devono scattare la foto ricordo?

Hanno dimenticato che in alcune intersezioni vi è un unico semaforo con indicazione di direzione generica ... e allora cosa si fa quando si ha intenzione di svoltare a sinistra e si ha un altro automobilista di fronte? Si taglia la strada perché abbiamo solo 3' di tempo? E quelli che stanno fermi dietro di noi? Tutti multati?

Cari giudici quando stabilite in maniera generalizzata che sono sufficienti solo 3'' per attraversare tutti i tipi di intersezione .... è evidente che non tenete conto nè dei veicoli lenti, e a volte del blocco del traffico al centro dell'intersezione, nè della conformazione degli incroci... che non sono tutti uguali... 

Una sentenza che stabilisce che sono sufficienti solo 3'' per attraversare un incrocio è davvero insensata ... ma come fate a stabilire ciò con una sentenza? 


Cari giudici io non passo mai con il rosso e nè con il giallo (a volte) ma 3'' potrebbero essere sufficienti solo se l'intersezione è libera ... e l'incrocio è corto .... 

La vostra decisione non tutela i cittadini ed è irragionevole non solo perché non ci sono disposizioni legislative ben precise ma soprattutto perché non stabilite, nelle sentenze, anche a quale velocità minima e massima dovrebbe superare l'intersezione un automobilista.  

Tenendo presente che con una velocità "costante" di 20 km/h si percorrono mt. 5,56 al secondo .... 

Ebbene dopo quanto evidenziato e prima di giudicare le prossime volte rimettevi voi alla guida dell'auto provate a circolare nelle nostre città ... non fermatevi solo alle formalità ... vedrete che il vostro giudizio sarà diverso ... provare per credere...

In un incrocio abbastanza lungo da attraversare, e nelle grandi città con 4 corsie per senso di marcia ce ne sono tanti, se scatta il giallo immediatamente dopo aver varcato la linea trasversale (quindi per l'automobilista che ha già impegnato l'incrocio ufficialmente ancora verde...) e stabilite che la durata del giallo è solo di 3'' ... saremo tutti multati ... cosi le ditte private e gli enti locali faranno cassa e impoveriranno ancora di più chi con l'auto deve lavorare ... 

Cari giudici se vogliamo parlare di sicurezza stradale io al vostro posto obbligherei tutte le pubbliche amministrazioni a collocare sui semafori i contatori dei secondi  ... allora si che si può parlare di sicurezza stradale ... ma si sa che in Italia abbiamo e vogliamo la giustizia di pulcinella...

Come si dice in dialetto dalle nostre parti ... "mara a ci ccappa...".

giovedì 29 agosto 2013

La mia personale critica sulla questione Mediaset risolta definitamente con la sentenza della Corte di Cassazione.


Cari amici del PDL dopo aver letto (in precedenza) la sentenza della Corte di appello di Milano e oggi le 208 pagine della scrupolosa e minuziosa sentenza della Cassazione sul caso Mediasetda ignorante in materia, posso comunque tranquillamente dire la mia.
Berlusconi Silvio da Arcore se la deve prendere con se stesso che all’epoca ha voluto strafare e si era quindi indebitato. E gli è andata anche bene perché per i redditi degli anni 1996-1997-1998-1999 (complessivamente 301 miliardi di vecchie lire) il reato è stato dichiarato ormai estinto per (la solita) prescrizione.
E per risolvere i suoi problemi è entrato in politica e ha tentato e ci è riuscito a risolvere il tutto con le frodi carosello.
Se la deve prendere con se stesso per aver creato denaro occulto nei paradisi fiscali e numerose società offshore.

Per aver creato “un gioco dei gusci vuoti … con la finalità di evadere le tasse italiane “. Per non essere riuscito a evitare di ricostruire il tutto con le testimonianze anche documentali contrarie alla sua difesa (per tutte la testimonianza del Pugnetti e la mail di un certo Schwalbe a Kaner) che lo condannano definitivamente e con le transazioni bancarie.
I testi hanno confermato che era BERLUSCONI Silvio a dare l’ultima parola negli affari della frode fiscale.

Se la deve prendere non con i giudici ma con i suoi avvocati che si sono attaccati e fissati troppo sulle questioni processuali, sui ripetuti impedimenti a comparire per le riunioni del Consiglio dei Ministri (dallo stesso convocate quando era già a conoscenza delle udienze in Tribunale) e fatto perdere tempo prezioso ai giudici che lo hanno giudicato (sono evidenti nella sentenza le continue bacchettate della Cassazione agli avvocati che hanno scambiato le mere irregolarità a cause di nullità).
L'altra verità è che Berlusconi Silvio da Arcore ha sempre tentato di sottrarsi alla giustizia.
Finanche a mezzo di un ricovero per “uveite” guarda caso “bilaterale” che non impediva all’imputato di stare in aula.
Se la deve prendere con i suoi stessi testi (alcuni non si sono neppure presentati in Tribunale) e quindi con i suoi avvocati perché non hanno pensato, invece, a demolire le accuse (che è cosa ben diversa) rivolte contro il loro assistito. 
In definitiva Berlusconi Silvio da Arcore ha preso in giro milioni di italiani. E' un evasore fiscale e non può certamente rappresentare le istituzioni italiane e tanto meno gli italiani a nulla rileva che una parte di questi lo vorrebbero ancora come loro leader.
Questo è il mio personale commento sulla questione.
Gli amici del PDL che vorranno discutere lo potranno fare sulla base della ineccepibile sentenza dei giudici di legittimità.


Non hanno alibi.

mercoledì 14 marzo 2012

Finalmente chiarezza si spera in maniera definitiva sulla decurtazione dei punti dalla patente di guida.

Qualche ora fa avevo accennato su facebook al caos creato dalle Prefetture e dai Comandi accertatori delle sanzioni amministrative per violazione del codice della strada.
Ciò nonostante la chiarezza, a parere di chi scrive, delle norme previste dal codice della strada e la famosa sentenza della Corte Costituzionale (n. 27/05).
Un caos enorme è stato creato con grave danno economico anche per le PP.AA. che hanno continuato a notificare agli automobilisti fino a qualche giorno fa un secondo verbale per la decurtazione dei punti della patente in pendenza del ricorso principale.
Ebbene la Corte di Cassazione, sezioni unite, con la sentenza n. 3936/2012 ha finalmente fatto chiarezza confermando peraltro le recenti direttive del Ministero degli Interni.
Questa ultima sentenza di ben 30 pagine ripercorre l'intera disciplina normativa e giurisprudenziale sulla materia. Secondo i giudici di legittimità l'impugnazione del verbale principale si estende al "preavviso" di decurtazione dei punti. E si ribadisce "preavviso" che non è la stessa cosa - come è avvenuto fino ad oggi - della contestuale comunicazione sul verbale originario di "decurtazione" dei punti dalla patente di guida.
Prevalgono .... quindi... le esigenze di economia processuale e di semplificazione ...
Non solo. Le sezioni unite hanno riconfermato che non possono essere decurtati i punti dalla patente del proprietario del veicolo se non identificato il reale trasgressore.
Quindi, doppio verbale SI ma non decurtazione dei punti.

giovedì 10 novembre 2011

Valide le multe con il telelaser anche se non c'è la stampa dei dati sulla velocità.

A prescindere dalla legittimità o meno nell'utilizzo del telelaser senza un minimo di scontrino
io mi chiedo ma se l'agente viene costretto a svolgere servizio anche con problemi alla vista?
se l'agente viene costretto a svolgere servizio anche con problemi psicologici?
Ma come si può ledere il principio del giusto contraddittorio?


Multa inflitta con telelaser? sono valide anche se non c'è lo scontrino con la stampa dei dati sulla velocità e la targa del veicolo.
Non condivido assolutamente per mancanza del giusto contraddittorio quanto affermato dalla Corte di Cassazione che con la sentenza 23212/2011 ha dato ragione al Comune di Massa ribaltando il doppio verdetto con cui il Giudice di Pace prima e il Tribunale in sede di appello avevano accolto il ricorso di un automobilista sorpreso in eccesso di velocità dal telelaser.
La Cassazione ha accolto infatt la tesi difensiva del Comune sottolinendo che "è legittima la rilevazione della velocità di un autoveicolo effettuata tramite telelaser che non rilascia documentazione fotografica dell'avvenuta rilevazione nei confronti di un determinato veicolo, ma che consente unicamente l'accertamento della velocità in un determinato momento, restando affidata alla attestazione dell'organo di polizia stradale la riferibilità della velocità in quanto l'attestazione ben può integrare, con quanto accertato direttamente, la rilevazione elettronica attribuendo la stessa ad uno specifico veicolo".
Si tratta di un'attestazione, conclude la Corte, "assistita da efficacia probatoria fino a querela di falso".
I diritti del cittadino cosi vengono calpestati del tutto.
(Fonte: studiocataldi.it)

sabato 26 marzo 2011

Nessun addebito disciplinare può essere contestato al lavoratore che, a casa per malattia, si adegua alle prescrizioni del suo medico curante

Interessante la sentenza qui di seguito della Corte di cassazione che condivido per aver stabilito che nessun addebito disciplinare può essere contestato al lavoratore che, a casa per malattia, si adegua alle prescrizioni del suo medico curante. Nel caso di specie non é emerso lo svolgimento di alcuna attività lavorativa da parte del lavoratore ma solo l'attività quotidiana della vita .


Cassazione Lavoro, Sentenza n. 6375 del 21/03/2011
(Presidente, Vidiri – Relatore, Toffoli)
Svolgimento del processo
[OMISSIS] agiva con ricorso davanti al Tribunale di Alba nei confronti della sua datrice di lavoro s.p.a. [OMISSIS] impugnando il licenziamento intimatogli con lettera del 29.12.2004 che faceva seguito ad una contestazione disciplinare. Con la relativa lettera gli era stato addebitato di avere tenuto almeno nei giorni dal 29 novembre al 12 dicembre un comportamento incompatibile con la verosimile sussistenza dello stato patologico (distorsione della caviglia destra) denunciato come conseguente all’infortunio del 6.7.2004, chiuso il 12.8.2004 e riaperto il successivo 4 novembre, con prognosi di 20 giorni ripetutamente prorogata fino al 21 dicembre, oppure e comunque di avere tenuto un comportamento pregiudizievole per un buono e rapido recupero della integrità ed efficienza fisica.
La domanda era accolta dal Tribunale, che dichiarava l’illegittimità del licenziamento e condannava il datore di lavoro alla reintegrazione e al risarcimento del danno.
A seguito di appello della soc. [OMISSIS], la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza di primo grado.
La Corte di merito affermava l’inammissibilità, per la sua tardività, della produzione in appello da parte della [OMISSIS] di una perizia di parte, peraltro redatta da medico che non aveva mai visitato il G. Riteneva infondate le critiche mosse alle certificazioni mediche con cui era stato accertato in più occasioni e sedi lo stato di invalidità del lavoratore, le quali rappresentavano una serie coerente di documenti medici e attestavano anche il diligente sottoporsi del paziente a terapie orientate a favorirne la guarigione. Vi erano anche riscontri delle diagnosi nei rilievi strumentali eseguiti: radiografia del 27.7.2004, attestante flogosi estesa a carico del tendine flessore lungo il livello del cavo plantare, con versamento peritendineo; radiografia effettuata tre mesi dopo, pochi giorni prima della riapertura dell’infortunio, evidenziante notevole infiltrazione edematoso – flogistica a livello della sinoviale nei recesso peroneo – astragalico e con diagnosi attestante una discreta flogosi articolare tendinea in remota lesione legamentosa al momento da ritenere non risolta dei tutto, almeno dal punto di vista funzionale; risonanza magnetica del 16.11.2004, confermativa delle diagnosi precedenti, evidenziante la presenza di raccolta all’interno della guaina del tendine del flessore lungo dell’alluce e di os trigonum posteriormente all’astragalo, circondato da una modesta raccolta endoarticolare.
La Corte inoltre escludeva i dubbi sull’attendibilità del medico curante del G. sentito come teste e autore del certificato datato 22.12.2004, e quindi successivo alla contestazione disciplinare, con il quale egli aveva ricostruito la vicenda medica del lavoratore nei suoi vari passaggi, vicenda peraltro caratterizzata anche dall’attestazione dell’Inail. La Corte ricordava che tale medico aveva confermato di avere prescritto al G. , in particolare nell’ultimo periodo della sua astensione lavorativa, di compiere del movimento e, in particolare, di camminare. Secondo la Corte non doveva tanto discutersi circa l’appropriatezza o meno di detta prescrizione terapeutica, quanto rilevarsi, rispetto al fatto pacifico che il G. era stato visto mentre compiva delle uscite dalla propria abitazione pur essendo in infortunio, che tali uscite erano state ispirate da un parere del medico curante.
In definitiva, la Soc. [OMISSIS], che non aveva richiesto una visita di controllo ex art. 5 L. n. 300/1970 – come avrebbe potuto e dovuto al fine di contestare lo stato di inabilità lavorativa – avanzava ingiustificati dubbi riguardo alla vicenda, senza avere assolto l’onere della prova gravante sul datore di lavoro in materia di giustificazione del licenziamento; e insisteva per l’ammissione di una consulenza tecnica, (implicitamente) ritenuta dalla Corte non giustificata dal quadro probatorio. Quanto ai rilievi dell’appellante riguardo alle mansioni del G. indicate dal giudice di primo grado (addetto al reparto scelte speciali e ad attività da svolgersi costantemente in piedi, con continuo movimento dei corpo, sollevamento e spostamento dei carichi), osservava che, a parte che l’insieme dei compiti lavorativi indicati nel ricorso introduttivo non risultava essere mai stato contestato fino al giudizio di appello, sarebbe stato onere della Soc. [OMISSIS] fornire la prova della compatibilità delle mansioni con le condizioni di salute del ricorrente.
La s.p.a. [OMISSIS] ricorre per cassazione con tre articolati motivi. Il G. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso denuncia violazione degli artt. 116, 421 e 61 c.p.c. e insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento alla rilevanza e alla attendibilità attribuita alla deposizione del medico curante del lavoratore. Si sostiene la dimostrazione della compatibilità di attività extra lavorative svolte dal lavoratore durante la malattia con le esigenze terapeutiche non può essere basata su una deposizione testimoniale, anche se di un medico, invece che su una c.t.u..
Si lamenta anche che non si sia dato rilievo alla prova, quanto meno indiziaria, dello svolgimento di attività incompatibile, fornita dalla SIRE, e che si sia affermata l’imprescindibilità della richiesta di una visita di controllo.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. n. 300/1970, dell’art. 5. l. n. 604/1966 e dell’art. 2697 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si ribadisce sotto il profilo della violazione dell’art. 5 legge n. 300/1970 la tesi della non necessità per il datore di lavoro del ricorso alle visite di controllo ivi previste per la dimostrazione di circostanze di fatto evidenzianti l’inesistenza della malattia, l’insussistenza di un’incapacità lavorativa o l’adozione di comportamenti comportanti la violazione del dovere del lavoratore di non pregiudicare o rallentare la guarigione. Al riguardo si ricorda l’esito delle constatazioni compiute dal personale investigativo incaricato dalla azienda. Si sostiene anche che una volta provata da parte del datore di lavoro l’attività svolta durante il periodo di malattia dai lavoratore, spetti a quest’ultimo provarne la compatibilità con la malattia impeditiva dell’attività lavorativa, risultandone altrimenti l’assenza ingiustificata.
Il terzo motivo denuncia omessa o insufficiente motivazione su un atto controverso e decisivo per il giudizio e violazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2105 c.c., nonché dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 3 della l. n. 604/1966.
Si sostiene che il lavoratore, una volta verificato, anche a seguito delle direttive, terapeutiche del suo medico curante, di poter svolgere una vita normale, avrebbe dovuto evitare di sollecitare ulteriori certificazioni di inabilità al lavoro e quanto meno rendere nota tale situazione all’ente previdenziale e al datore di lavoro.
Il ricorso, i cui tre motivi sono esaminati congiuntamente per la loro connessione, non è fondato.
In effetti la sentenza impugnata è sorretta da una motivazione adeguata e logica, oltre che immune da errori di diritto, circa la mancanza di prova di una violazione disciplinare a fondamento del licenziamento intimato. In particolare è stato bene evidenziato come la malattia posta a giustificazione dell’assenza del lavoratore abbia trovato ampio riscontro non solo nelle certificazioni mediche relative, provenienti anche dall’Inail, ente previdenziale pubblico, ma anche in puntuali esami strumentali corredati da analitiche diagnosi. In questo quadro, il rilievo del giudice di merito riguardo al fatto che il datore di lavoro avrebbe potuto e anche “dovuto” ricorrere alla procedura di controllo della malattia prevista dall’art. 5 legge n. 300/1970, oltre a non avere evidentemente un ruolo essenziale nella complessiva motivazione, è interpretabile nel senso non di una affermazione di principio di carattere generale – che come tale sarebbe inesatto, in quanto come è pacifico in giurisprudenza l’effettiva insussistenza della malattia certificata è dimostrabile anche al di fuori del ricorso a detta procedura – ma nel senso che, in relazione ai margini di opinabilità sul piano medico legale eventualmente sussistenti, come spesso accade, riguardo alla più congrua misura della prognosi di inabilità temporanea, in pratica solo il ricorso alla visita di controllo avrebbe potuto offrire ulteriori rilevanti elementi di valutazione, tanto più essendo in questione un’ipotesi di illecito disciplinare, rispetto al quale rileva anche l’elemento soggettivo.
Riguardo all’addebito al lavoratore di avere tenuto una condotta contrastante con le esigenze terapeutiche e di un rapido recupero, la motivazione è in via assorbente basata sui rilievo che nessun addebito al riguardo poteva essere mosso al lavoratore che si era adeguato alle prescrizioni del suo medico curante. Rispetto a tale motivazione, e tenuto anche presente che dalle indagini investigative richieste dall’attuale ricorrente non era emerso lo svolgimento di attività lavorative ma la ripresa di alcune attività della vita privata (spostamenti in città a piedi e in auto per acquisti e altro), cioè di attività di una gravosità di cui non è evidente la comparabilità a quella di un’attività lavorativa a tempo pieno, non può ritenersi che, neanche su un piano logico e di fatto (aspetto rilevante ai fini della logicità della motivazione), sussistesse l’onere per il lavoratore di provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all’attività lavorativa. Né, alla stregua della sentenza e del ricorso per cassazione, la società datrice di lavoro risulta avere fornito, come in linea di principio sarebbe stato suo onere, la prova di una natura degli impegni lavorativi dell’attuale resistente idonea ad evidenziare aspetti di illogicità e malafede nel comportamento del lavoratore.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio vengono regolate facendo applicazione del criterio legale della soccombenza (art. 91 c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la s.p.a. [OMISSIS] a rimborsare a [OMISSIS] le spese del giudizio determinate in Euro trentacinque oltre Euro tremila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.
Depositata in cancelleia il 21 Marzo 2011

giovedì 20 gennaio 2011

Non puo` essere negato il risarcimento al pedone investito che non riesce a prendere la targa

Con sentenza n. 745 del 14 gennaio 2011, la Cassazione, Terza sezione civile, ha accolto, con rinvio, il ricorso presentato da un uomo avverso la decisione con cui i giudici di merito avevano respinto la domanda di risarcimento dei danni subiti a seguito di sinistro stradale, domanda avanzata dallo stesso nei confronti della compagnia di assicurazione designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada. Il ricorrente, in particolare, era stato investito da un'automobile di cui, tuttavia, non era riuscito a prendere la targa.

Dalle risultanze istruttorie i giudici di primo e secondo grado avevano desunto che l'infortunato, seppure sofferente, aveva avuto tutto il tempo necessario per identificare il mezzo investitore trasgressore anche grazie all'intervento di alcuni conoscenti sul luogo del sinistro che avrebbero ben potuto annotare il numero di targa.

Diversa la posizione dei giudici di legittimità, secondo cui, nei casi come quello di specie, per desumere la prova del fatto costitutivo della pretesa risarcitoria quanto all'avvenuto evento a opera di ignoti, non era da richiedere in capo alla vittima “un comportamento di non comune diligenza ovvero di complessa e onerosa attuazione diretto all'identificazione del responsabile, dovendosi al riguardo valutare l'esigibilità di un idoneo suo comportamento avuto riguardo alle sue condizioni psicofisiche e alle circostanze del caso concreto".

domenica 31 ottobre 2010

Possono essere usate come "prove atipiche" le riprese "di atti non comunicativi" girate da una dipendente sul luogo di lavoro per provare le molestie subite dal datore di lavoro.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 37197 del 19 ottobre 2010, che annulla con rinvio un verdetto di assoluzione "perchè il fatto non sussiste" pronunciato dal tribunale di Trani nei confronti di un datore di lavoro accusato di "vessazioni, molestie, complimenti lascivi e atti sessuali" compiuti con la minaccia di licenziare la dipendente. La vittima, su consiglio delle forze dell’ordine, aveva filmato le molestie avvenute nel suo studio ma secondo i giudici di merito le videoregistrazioni ambientali erano inutilizzabili “perché compiute oltre il termine dell'autorizzazione". La Suprema Corte, discordando con tale tesi e accogliendo i ricorsi della donna e della Procura di Trani, precisa che "con la ripresa visiva, sia pure eseguita furtivamente, la parte lesa non ha violato con interferenze indebite la intangibilità del domicilio né la necessaria riservatezza su attività che si devono mantenere nell’ambito privato" riprendendo "illeciti che la riguardavano" e trovandosi "nel suo abituale ambiente di lavoro che costituiva il suo domicilio per un periodo di tempo limitato della giornata, nell’arco del quale sono stati commessi i fatti". (Autore: L.S.)

Se un lavoratore non si sente bene può legittimamente allontanarsi del luogo di lavoro anche senza aver sentito il capo

Se un lavoratore non si sente bene può legittimamente allontanarsi del luogo di lavoro anche senza aver sentito il capo. Basta che abbia annunciato il suo allontanamento ai colleghi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza n.21215/2010 della sezione Lavoro) che ha bocciato il ricorso di un'azienda che aveva licenziato il suo dipendente adducendo come "giusta causa" l'assenza ingiustificata dal lavoro. L'azienda aveva optato per il licenziamento in tronco perchè l'operaio era tornato a casa abbandonando il posto di lavoro senza avvisare il datore di lavoro ma limitandosi a parlarne con i colleghi. Non che gli altri lavoratori abbiano licenza di "concedere permessi", sia chiaro, ma secondo la Corte l'allontanamento dal posto di lavoro nel caso di specie deve ritenersi "giustificato su un piano di buona fede". Il dipendente, si legge in sentenza, era reduce da un grave infortunio sul lavoro ed era rientrato dopo un periodo di riposo. Un pomeriggio, accusando disturbi, aveva avvisato i colleghi e questi gli avevano consigliato di tornare a casa dove poi era rimasto per altri tre giorni. Per l'azienda quell'allontanamento dal lavoro doveva ritenersi ingiustificato e per questo aveva deciso di sanzionare il lavoratore con il licenziamento. Immediata la reintegra da parte del Tribunale del Lavoro di Larino, confermata anche dai giudici d'appello che riconoscevano al lavoratore anche il diritto al risarcimento dei danni anche morali. Altre informazioni su questa sentenza
(Autore: Roberto Cataldi)

venerdì 16 luglio 2010

Cassazione: in piscina non basta un solo bagnino. In caso di incidente c'è responsabilità penale

Un solo bagnino per assistere i bagnanti può non essere sufficiente per evitare la condanna penale in caso di incidente. Specie se si tratta di una piscina di grandi dimensioni. Se si verifica un incidente infatti, in assenza del secondo assistente bagnante, il gestore del centro sportivo finisce sotto processo per colpa. La decisione arriva dalla IV sezione penale (sentenza n.27367/2010) che ha convalidato una condanna ad un anno di reclusione inflitta al gestore di un centro sportivo. La piscina aveva una superficie di 615 metri quadri ed aveva un solo bagnino anziche' i due prescritti. Era accaduto che una bambina era rimasta per diversi minuti sul fondo della piscina prima di essere soccorsa da altri bagnanti ed aveva perso la vita dopo 10 giorni di ricovero in ospedale. Già in primo grado i giudici di merito avevano emesso sentenza di condanna coinvolgendo anche il bagnino che aveva consentito l'ingresso della minore nella piscina per bambini omettendone il controllo. La Corte d'Appello assolveva il bagnino confermando invece la condanna del gestore. Ricorrendo in Cassazione l'imputato ha sostenuto che la presenza di un secondo bagnino non avrebbe comunque potuto evitare la morte della bambina poiche' comunque sarebbe stato impegnato a sorvegliare un'altra parte della piscina e non si sarebbe di certo trovato ai margini della vasca per i bambini dal momento che li vi svolgeva il lavoro l'unico bagnino presente (Autore: Roberto Cataldi)

venerdì 28 maggio 2010

Condannati i gestori del circolo per aver trasmesso partite con schede tv ad uso privato

Con sentenza n. 20142/2010, la Terza sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna impartita dai giudici di merito nei confronti dei titolari di due circoli privati per aver trasmesso o diffuso un servizio criptato al di fuori dell'accordo con il legittimo distributore sull'uso strettamente personale. Nel dettaglio, i gestori avevano trasmesso delle partite di calcio da una tv a pagamento senza avere l'autorizzazione del fornitore ma utilizzando schede destinate solo ad uso privato.
I giudici di legittimità hanno ritenuto congrue le motivazioni rese dalla Corte territoriale la quale aveva ravvisato un dolo specifico in capo agli imputati in considerazione dell'illegittimo incremento patrimoniale ottenuto a seguito della presenza di un notevole numero di avventori e la conseguente maggiore somministrazione di alimenti e di bevande.

mercoledì 12 maggio 2010

Interesante sentenza sulla pensione di reversibilità.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (sent. n. 9464/2010) risolve i numerosi casi di vedove, percipienti pensioni di reversibilità per il decesso del primo marito, ma risposate solo con il matrimonio canonico: la trascrizione del matrimonio canonico nei registri dello stato civile, azzera il diritto alla pensione di reversibilità a far tempo dalla data delle nuove nozze.Tale decisione è stata assunta a seguito di un ricorso dell'Inps nei confronti di una donna che, rimasta vedova nel 1967, si è risposata, solo con rito religioso, nel 1983 e ha usufruito della pensione di reversibilità del primo marito anche dopo le nuove nozze. Nel 1998, però, i coniugi, hanno deciso di regolarizzare la loro posizione sui registri dello stato civile e l'Inps ha comunicato alla donna l'indebito per i 15 anni precedenti chiedendo il recupero della somma.Il ricorso della donna ebbe esito per lei positivo in Tribunale e Corte di Appello ma l'Inps ha presentato ricorso in Cassazione. Secondo i Giudici di Piazza Cavour: "il matrimonio religioso a seguito della trascrizione ha effetti civili dal momento della celebrazione" e, conseguentemente, "l'eventuale stato vedovile di uno o di entrambi viene meno dal momento della celebrazione del matrimonio religioso" e cessa "il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità" del defunto.

domenica 2 maggio 2010

Non è evasione dagli arresti domicliari per chi fugge dalla famiglia.

Curiosa la sentenza della Corte di cassazione.
Secondo i giudici della legittimità non è evasione abbandonare gli arresti domiciliari per evitare un’impossibile convivenza con la famiglia.
Lo ha stabilito con la sentenza n. 16673 del 30 aprile 2010 decidendo sul ricorso di un uomo di Nocera Inferiore (Salerno) che era intenzionalmente uscito dalla sua abitazione dove era relegato agli arresti domiciliari per consegnarsi alla polizia.

lunedì 26 aprile 2010

Materiale incustodito sulla strada? Sotto processo l'appaltatore

Con sentenza n. 15081 depositata il 19 aprile, la quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che grava sull’appaltatore la responsabilità del materiale caustico abbandonato per strada e non custodito nei cantieri.
La Corte ha poi precisato che in particolari casi tale responsabilità grava anche sul committente. Secondo la ricostruzione della vicenda, i tre imputati (dirigente, datore di lavoro e committente dei lavori eseguiti) erano stati tratti a giudizio perché, mentre eseguivano lavori presso la casa della parte lesa, avevano omesso di porre in essere misure idonee di sicurezza finalizzate a custodire in appositi recipienti, sostanze caustiche. Dall'omisione era derivata la lesione grave a un bambino mentre giocava a pallone con un altro minore. L'amichetto gli aveva lanciato della polvere raccolta in strada (polvere formata da sostanze caustiche), facendogli perdere l'occhio destro. In primo e secondo grado, erano stati condannati per lesioni colpose, avendo violato la normativa antinfortunistica e per colpa generica. Erano stati inoltre condannati al risarcimento del danno in favore del padre del minore, costituitosi parte civile. Su ricorso proposto dai tre imputati, per quanto riguarda la loro convinzione dell’inesistenza del nesso causale tra l’evento criminoso e la loro responsabilità, gli ermellini hanno stabilito che “in tema di rapporto di causalità, ai sensi dell’ultimo comma dell’’art.41 c.p., secondo cui le disposizione precedenti si applicano anche quando la causa preesiste, simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto lesivo altrui”, il nesso di causalità non resta escluso dal fatto volontario altrui, cioè quando l’evento è dovuto anche all’imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiché il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch’esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali”. Inoltre, la Corte ha precisato che in ambito di reati colposi per l’esclusione del nesso causale rispetto alla condotta dell’agente “non è sufficiente che nella produzione dell’evento sia intervenuto un fatto illecito altrui, ma è necessario che tale fatto configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento”. Pertanto, “appare di tutta evidenza che la condotta (degli imputati) nella valutazione unitaria del complessivo determinismo eziologico dell’evento che ne occupa, non può in alcun modo ritenersi fatto imprevedibile ed eccezionale”. La Corte ha infine precisato che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in generale grava sull’appaltatore la responsabilità nell’esecuzione dei lavori ma che anche il committente rimane destinatario degli obblighi assunti dall’appaltatore nel caso in cui assuma una partecipazione attiva nella realizzazione dei lavori e quando l’omissione dell’appaltatore sia immediatamente percepibile.

domenica 18 aprile 2010

Giusta sentenza.

Se il nostro amico a quattro zampe morde qualcuno si dovrà risarcire il danno.
Io sono sempre stato del parere che gli animali devono essere "educati" dal proprio padrone e farli socializzare con altri simili ma soprattutto con le persone e avendo avuto dei cani sono convinto che se "educati" in tal senso non arrivano mai a mordere un uomo.
Altro discorso se l'animale viene tenuto legato per sempre con grosse catene.
Ebbene son d'accordo sul fatto che chi è proprietario di un animale dovrà pagare anche se ha fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Secondo la Corte di cassazione non basta neppure averlo legato alla catena ed aver apposto il cartello "attenti al cane" per scagionarsi dalla responsabilità. L'avvertimento arriva con la sentenza n. 9037/10 che sottolinea come per liberarsi da responsabilità non basta "la prova di avere usato la comune diligenza nella custodia del'animale". Insomma solo un evento improvviso tale da superare "ogni possibilità di resistenza o contrasto da parte dell'uomo", potrebbe eventualmente scagionare i proprietari. La decisione è della terza sezione civile della Corte che ha accolto il ricorso di un 80enne che dopo essere entrato per ragioni di lavoro in un edificio era stato assalito dal un pitbull ch eil padrone aveva legato con una catena di tre metri e lontano dall'ingresso. La responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. spiega la Corte "prevista a carico del proprietario o di chi si serve dell'animale per il periodo in cui lo ha in uso, in relazione ai danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno alla causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità".

lunedì 15 marzo 2010

Sentenza assurda: se sono clandestini anche i bambini come hanno fatto ad iscriverli a scuola?

Trovo assurda la decisione della Corte di Cassazione (sent. n. 5856/10 - I sez. civile)con la quale ha stabilito che i clandestini possono essere allontanati dal territorio italiano anche se hanno dei figli che vanno a scuola.
Qualcosa non mi torna in questa vicenda. Almeno che gli istituti scolastici non accettano a scuola anche i bambini clandestini.
Comunque secondo gli Ermellini la scolarizzazione rientrerebbe in una situazione "ordinaria" che non legittima la permanenza degli irregolari. Una decisione che si pone in contrasto con quanto la stessa Corte aveva in precedenza affermato consentendo invece la permanenza nel territorio italiano dei clandestini con figli in età scolare.
Ma che giustizia è questa cosi ballerina?
Nella precedente decisione la Corte aveva fatto riferimento al bisogno di garantire una "crescita armonica" ai minori. Ora con un evidente dietrofront la Corte afferma che la scuola non può essere un motivo "straordinario" per usare tolleranza nei confronti degli irregolari.
La decisione nella parte motiva afferma che diversamente si "finirebbe col legittimare l'inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l'infanzia". Piazza Cavour ha così respinto il ricorso di un extracomunitario padre di due figli in età scolare. L'uomo oltretutto aveva una moglie a Milano titolare di permesso di soggiorno e in attesa della cittadinanza italiana.
Il padre dei due bambini aveva anche evidenziato che un suo allontanamento avrebbe comportato per i piccoli "un vero e proprio depauperamento sentimentale" che avrebbe inciso negativamente sul loro futuro. Commentando la decisione, Navi Pillay, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha espresso viva preoccupazione. E ti credo.
"Come giudice - afferma - non posso esprimermi su una sentenza senza averla prima letta. Tuttavia se è cosi' è una decisione preoccupante. [...]
Devo comunque confrontare tale sentenza con la giurisprudenza già esistente sulla difesa e la tutela dei diritti dei bambini".
Resta comunque il fatto che la giurisprudenza italiana sta diventando troppo ma troppo ballerina.....

domenica 14 marzo 2010

Cassazione: lavoratore in malattia va a trovare mamma malata. L'assenza è giustificata

ll lavoratore in malattia che non viene trovato in casa al momento della visita fiscale, può essere giustificato dal fatto di essersi recato a trovare la mamma malata.
Esistono infatti esigenze di solidarietà e vicinanza familiare che legittimano la non reperibilità fiscale. Parola di Cassazione.
La Corte spiega che tali esigenze di "solidarietà e di vicinanza familiare" sono senz'altro meritevoli di tutela "nell'ambito dei rapporti etico sociali garantiti dalla Costituzione". Piazza Cavour (sent. 5718/10) ha così respinto un ricorso dell'INPS che non voleva invece riconoscere l'indennità di malattia per il fatto che il lavoratore, essendo in malattia, avrebbe dovuto farsi trovare in casa.
Sta di fatto che il lavoratore si era dovuto recare a fare visita alla madre ricoverata in un centro specialistico di riabilitazione a seguito di un intervento cardiochirurgico. Era però rimasto intrappolato nel traffico e non era rientrato in tempo per la visita fiscale.

sabato 6 marzo 2010

Bella gatta ... da pelare... per tanti ...

In materia di danni da vacanza rovinata la Corte di Cassazione ha ora riconosciuto nuove possibilità per i turisti di essere risarciti. Anche spiaggia e mare puliti sono una legittima aspettativa di chi va in vacanza. Con la sentenza n. 5189/10 la Terza Sezione Civile della Corte ha infatti respinto il ricorso di un tour operator che i giudici di merito avevano condannato a risarcire il danno ad una coppia di Pordenone che aveva trascorso una vacanza in Grecia. La coppia aveva acquistato un pacchetto vacanza che prevedeva l'alloggio in un club di Creta. Il depliant era senza dubbio invitante anche perchè riproduceva una spiaggia molto bella e un mare cristallino. All'arrivo la coppia aveva però constatato che non solo la spiaggia era sporca ma che il mare era inquinato da idrocarburi. In primo grado il Tribunale dava torto alla coppia sostenendo che la pulizia della spiaggia e la purezza del mare "non dipendevano dalla responsabilita' dell'albergo". Diverso il verdetto della Corte d'appello che condannava il tour operator a risarcire un danno di oltre mille euro per la settimana di vacanza rovinata. Ora anche la Cassazione ha confermato la condanna spiegando che "l'organizzatore o il venditore" di un pacchetto turistico "assumono specifici obblighi soprattutto di tipo qualitativo, riguardo a modalita' di viaggio, sistemazione alberghiera, livello dei servizi che vanno esattamente adempiuti" sulla base di quanto il turista vede sui "depliant illustrativi".

domenica 14 febbraio 2010

Non spetta al giudice disporre la rateizzazione delle multe

Condivido la decisione della Corte di cassazione secondo la quale il beneficio di rateizzare la multa può essere accordato solo a chi è povero.
La decisione è della II sez. civile (sent. n. 26932/09).
Con la stessa la Corte ha ricordato come il ricorso alle rateizzazioni deve essere limitato a chi si trova in "condizioni realmente disagiate". Nella parte motiva gli Ermellni ricordano peraltro che a decidere sulle rate è il Comune che ha inflitto la sanzione per violazione del codice della strada e queste non devono mai essere inferiori a 15 euro al mese per un totale massimo di trenta rate.
La Corte ha così accolto il ricorso contro una decisione del Giudice di Pace che aveva concesso ad un automobilista, in debito per diverse contravvenzioni, la possibilita' di rateizzarle, pagando 10 euro al mese. Piazza Cavour ha ricordato che non è certo il Giudice a poter stabilire le rate mettendo in chiaro peraltro che "il potere di suddivisione in rate è legato all'esistenza di condizioni economiche disagiate dell'obbligato e non può essere stabilito secondo equita'". L'automobilista aveva ricevuto diverse contravvenzioni per aver circolato in corsie riservate ad altri veicoli ed aveva collezionato multe per un totale di ben 2.777 euro. Il giudice di Pace aveva così deciso di autorizzare la rateizzazione in 278 rate da 10 euro al mese. Il Comune naturalmente si è rivolto alla Suprema Corte che accogliendo il ricorso ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto la rateizzazione del pagamento ed ha ricordato che "la rateizzazione" è appannaggio esclusivo del Comune e che "non puo' essere inferiore a 15 euro" così come non puo' superare le trenta rate. Ora l'automobilista dovrà pagare oltre alle multe anche ulteriori 400 euro per rifondere il Comune delle spese processuali.

domenica 7 febbraio 2010

Sentenza o barzelletta?

Non lo so se definire quanto ho letto una sentenza o una barzelletta.
Secondo la Corte di cassazione il giornalista che sottrae temporanemente un fascicolo dal Tribunale per dimostrare l'inefficienza dei sistemi di sicurezza non commette reato.
Quello che normalmente dovrebbe considerarsi un comportamento sanzionabile a norma dell'art. 351 del codice penale (Violazione della pubblica custodia di cose), non è applicabile se il fatto è compiuto con estrema rapidità.
La decisione è della VI sezione penale della Corte (sentenza n. 4699/10) che nella motivazione chiarisce come non può configurare reato la condotta del giornalista che per scrivere un pezzo di cronaca, si introduca in un Tribunale e prelevi atti dagli armadietti per poi ricollocarli al loro posto dopo averli consultati.
Si tratta secondo la Corte di una condotta che data la sua "assoluta immediatezza" (apertura , asportazione, uscita e rientro nel palazzo) non può ricondursi alla nozione di sottrazione. Mancherebbe in sostanza l'elemento oggettivo del reato giacché, spiega la Corte, nella fattispecie non vi sarebbe stata neppure quella "temporanea rimozione" che richiede quanto meno un apprezzabile mantenimento del bene nell'esclusiva disponibilità di chi lo sottrae. Nel caso esaminato dalla Corte una giornalista aveva scritto un articolo su un quotidiano locale dando conto del suo gesto per denunciare i disservizi della giustizia. Un fotografo aveva anche documentato l'accaduto.
A Voi il giudizio.