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lunedì 11 ottobre 2010

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 30 settembre 2010, n. 7239

Il Consiglio di Stato alcuni giorni fa ha accolto l’appello presentato contro il Comune di Monte Argentario (GR) in materia di rinnovo automatico della Licenza Demaniale scaduta, senza l’osservanza degli obblighi di pubblicità preventiva e senza il rispetto delle procedure volte a una comparazione delle domande concorrenti (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 30 settembre 2010, n. 7239). I giudici di Palazzo Spada, infatti, hanno evidenziato che l’art. 18 del regolamento di attuazione al codice della navigazione, nell’imporre all’autorità concedente l'obbligo di pubblicazione (mediante affissione nell'albo comunale e inserzione per estratto nel foglio degli annunzi legali) delle domande di concessione di particolare importanza per l'entità e lo scopo, non delinea alcuna distinzione tra domande di concessione originarie e domande di rinnovo di concessione già scadute o in scadenza. La portata di tale norma, inoltre, va rapportata ai principi comunitari che salvaguardano la libera concorrenza, la non discriminazione e la trasparenza dell’azione pubblica: in numerose pronunce dello stesso Organo Giudicante (tra le più illuminanti, si veda Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 30 gennaio 2007, n. 362, nonché Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 17 febbraio 2009, n. 902), è stato chiarito che, a prescindere dall’esistenza o meno di norme interne che recepiscano i principi comunitari, dall’applicazione diretta di questi ultimi scaturisce che, ogni qual volta si tratti di riservare a privati l’occasione di lucro derivante dall’utilizzo di un’area demaniale, è necessario attivare le procedure dell’evidenza pubblica, idonee a garantire una reale competitività tra le domande concorrenti.

mercoledì 26 maggio 2010

Consiglio di Stato: idonea al servizio Poliziotta con tatuaggio in parti nascoste

Con decisione n°2950 pubblicata il 13 maggio 2010 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale si esprime in ordine al tatuaggio della candidata a partecipare al concorso per entrare in polizia. La problematica consiste nell'applicabilità del Decreto Ministeriale n°198 del 2003, che, nell'individuare le cause di inidoneità all'ammissione ai concorsi, si riferisce a "tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall'uniforme, o quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme". Il Collegio accoglie così l'appello della ricorrente che era stata esclusa dall'Amministrazione per la presenza di un tatuaggio di piccole dimensioni sulla caviglia sinistra ove, con un segno grafico in arabo, indicava la traduzione del nome di battesimo dell'aspirante poliziotta. Nulla di più di un vezzo che non ha davvero niente a che spartire per il Consiglio di Stato con le roboanti espressioni della normativa ("indice di personalità abnorme"). Oltretutto la visibilità del tatuaggio deve risultare evidente e l'ordinaria uniforme copre pressoché interamente la caviglia. La decisione, il cui estensore è il Dott. Roberto Garofoli (Presidente Giuseppe Barbagallo) annulla, quindi, la sentenza del Tar Lazio che aveva sancito l'inidoneità al servizio per tale minuzia, ponendo anche in risalto che nella divisa estiva femminile alla gonna non sono abbinate le calze.
Avv. Paolo M. Storani (civilista e penalista, dedito in particolare alla materia della responsabilità civile)